5 Palloncini Gonfiati della Serie A 2020/21.

I migliori under 21 del campionato.

Alessandro Giura
Palloni Gonfiati
8 min readMay 26, 2021

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Giacomo Raspadori, Sassuolo.

Ci ha messo un po’, più di quanto immaginavamo dopo quello che ci aveva fatto vedere nella ripresa del campionato scorso. Più di un girone per la precisione, con appena 600 minuti giocati tra ottobre e marzo. Poi con l’arrivo della primavera il fiore che racchiudeva il talento di Giacomo Raspadori è ovviamente sbocciato. Da aprile Raspadori ha segnato ben 5 gol in campionato, dove spiccano il gol del pareggio nel 2–2 contro la Roma, gara in cui ha indossato la fascia di capitano, e la doppietta a San Siro contro il Milan. I gol hanno solo impreziosito prestazioni ottime che hanno convinto Mancini a inserirlo nella lista dei convocati per l’amichevole con San Marino in vista dell’Europeo. La sua è stata una primavera trascorsa a ricevere tra le linee, a sfuggire ai centrali avversari (ne sa qualcosa Tomori), a creare spazio per gli inserimenti dei compagni, a servirli in profondità. In costante movimento. Questo suo non stare mai fermo e il fisico atipico per un numero 9 è riuscito sempre a mettere in difficoltà gli avversari. Ed è proprio questa atipicità a renderlo speciale. A un fisico e qualità di tocco da trequartista rifinitore, Giacomo aggiunge un istinto all’interno dell’area di rigore invidiabile, in grado di attaccarla con intelligenza, di controllare e segnare nello spazio di un fazzoletto. Caratteristiche che invitano al paragone con Antonio Di Natale. Raspadori, classe 2000, si è trovato nella squadra giusta con l’allenatore giusto. Il sistema Roberto De Zerbi è stato in grado di esaltarlo senza forzarlo. La fine di questa primavera vedrà però i due separarsi, e per la sua crescita bisogna sperare che il Sassuolo scelga un allenatore in grado di riprendere al Mapei Stadium la semina di De Zerbi. Di sicuro le sue caratteristiche lo rendono in prospettiva l’attaccante ideale per l’Italia di Roberto Mancini, fatta di gioco palla a terra e pochi tocchi. Chissà che in Qatar non vedremo la sua grande esplosione.

Mikkel Damsgaard, Sampdoria.

Ci ha messo solo tre partite in Serie A Mikkel Damsgaard per far capire che fosse più di un acquisto ricco di hipsteria scandinava. Si era presentato dopo una manciata di presenze e gol con il Nordsjelland, un ragazzo esile con la faccia da bambino e un taglio di capelli troppo poco curato per il 2020, molto sgraziato al punto da sembrare totalmente inadatto per vedersela contro i corpulenti difensori del campionato italiano. Nella partita contro la Lazio ha ricevuto un pallone corto a rimorchio dentro l’area con ben due avversari pronti a intervenire sul pallone. Lui li ha dribblati con un tocco delicato sulla palla accompagnato da un saltello, e poi di piatto ha messo il pallone all’incrocio. Era il gol del 3–0, e la settimana dopo avrebbe servito un assist a Quagliarella per il primo gol dei doriani nel 3–1 contro l’Atalanta. Da lì abbiamo imparato a conoscerlo e innamorarci della sua capacità di dribbling, spalle o girato verso la porta, e delle sue scorribande, come quella che ha portato al gol vittoria nella gara di Marassi contro l’Inter, la sua migliore gara della stagione in cui ha giocato trequartista. Riceve spalle alla porta intorno al centrocampo, parte verso la porta con un virata di tacco che elude Gagliardini, resiste in corsa al recupero di Brozovic e dribbla Bastoni allungando il pallone verso il lato destro del campo e poi serve perfettamente rasoterra Keita al centro dell’area che segna in scivolata. Un’azione che mostra tutte le potenzialità di Mikkel, uno dei migliori dribblatori della serie A con 2.6 dribbling riusciti a partita su 4.4 tentativi secondo i dati di Whoscored. Dopo un bel girone di andata la qualità delle sue prestazioni è andata calando una volta che la Samp si è trovata definitivamente in acque tranquille. Pur servendo 4 assist non ha dato un contribuito significativo in termini di gol alla squadra con solo due reti, e in generale ha peccato nelle scelte chiave della manovra, anche quelle ben apparecchiate da un suo dribbling riuscito. Ma questi limiti sono anche plausibili per un 20enne che gioca in una squadra che non organizza troppo i suoi attacchi. C’è tutto il tempo per migliorare.

Wilfried Singo, Torino.

Wilfried Singo è stato l’unica cosa che potesse invogliare a guardare una partita del Torino in questa stagione. In particolare nel periodo con Giampaolo in panchina, dove il terzino destro ivoriano andava almeno 3 marce più forte dei suoi compagni. In una squadra allo sbando lui era un lampo di sfrontatezza e convinzione dei propri mezzi, un appoggio sicuro con cui risalire il campo ad una velocità folgorante, che non ha niente da invidiare a Theo Hernandez o Hakimi. Se lo guardi bene gli si legge negli occhi la voglia scattare verso la porta come un treno: ancora prima di ricevere il pallone ha sempre già in mente di attaccare la profondità, a prescindere se possa farlo palla al piede o dopo averla appoggiata ad un compagno, facendo mangiare la polvere agli avversari. È ben con conscio della potenza del suo corpo statuario, 1 metro e 91 per 79 chili, incontenibile quando lanciato sulla fascia. Ma non c’è solo un fisico su cui appoggiarsi, anche estro e spensieratezza, un desiderio di provare sempre la giocata decisiva. Una qualità non scontata visto lo stress che si è respirato a Torino nell’ultimo anno. Un clima che non ha aiutato e ha regalato molti errori, come quando si è perso McKennie nel derby della Mole perso contro la Juve, una gara dove comunque non aveva sfigurato, prendendosi anche la briga di esibirsi con un doppio passo davanti a Cristiano Ronaldo. I limiti ci sono, ma l’atteggiamento competitivo gli ha permesso di diventare un titolare affidabile rapidamente, anche grazie a quello che aveva già fatto vedere sul finire del campionato scorso quando contro la Roma aveva trovato un gol tutto velocità e muscoli partendo sulla linea laterale del centro del campo. Il prossimo allenatore del Torino sarà Juric, che ha ereditato dal suo mentore Gasperini la capacità di esaltare i propri terzini nel 3–5–2. Chiedere a Dimarco e Faraoni per conferma. Singo ci aveva già fatto saltare dal divano per buoni tratti quest’anno, ora non stiamo nella pelle per vedere cosa farà nella prossima stagione.

Tommaso Pobega, Spezia.

Il fatto di avere le stesse lettere e solo una vocale in più nel cognome ha liberato la fantasia di varie persone pagate per scrivere titoli di articoli o servizi televisivi di associare Tommaso Pobega a Paul Pogba. Del resto due anni fa il Pordenone ne annunciava l’acquisto facendo proprio con una gag in base alla somiglianza del nome con quello del campione del mondo francese. Il gioco di parole però può dare un minimo di credito al paragone grazie ad alcune caratteristiche di Tommaso in comune con Pogba, ovvero il fisico tutto centimetri e spalle larghe e la capacità di essere letale negli inserimenti in area di rigore. Pobega è una mezz’ala molto abile nel gioco palla a terra in grado di utilizzare il suo fisico per tenere a bada gli avversari. Non è però un giocatore di riferimento per la manovra molto diretta dello Spezia, con solo 22 passaggi di media a partita e nessun assist. Il suo compito è stato prettamente finalizzativo, un attaccante fantasma, e ha pagato con ben 6 gol, il secondo miglior marcatore della squadra di Vincenzo Italiano al pari di Daniele Verde. Il più bello è probabilmente quello nel derby ligure contro la Samp del 12 maggio, finito 2–2. Il suo attacco alla profondità è stato premiato da un passaggio alto, dopo il rimbalzo della sfera ha mandato Yoshida al bar fintando un tiro al volo con il sinistro, rientrando invece sul destro e battendo Audero con un secco rasoterra ravvicinato. È il centrocampista più giovane ad aver segnato più di cinque reti in questa Serie A e, in generale tra i marcatori, è più anziano solo di Raspadori e Vlahovic nel torneo in corso. Il suo cartellino è di proprietà del Milan e sarà curioso vedere cosa succederà in estate, se mandato a farsi un altro anno di prestito o trovare un posto nella rosa, magari sostituendo Meite numericamente. Non sarà Pogba, ma Pobega alla prima stagione di A e in una squadra che ha schierato ben 35 giocatori si è messo subito in luce.

Dusan Vlahovic, Fiorentina.

A dicembre 2019 Vlahovic segnava un gol all’Inter che trasudava fenomenalità resistendo in corsa a Skriniar e scaraventando il pallone all’incrocio, innestando così nel nostro cervello l’idea che potesse diventare qualcosa di molto speciale. Poi il 2020 e il marasma disfunzionale che è stata la Fiorentina hanno abbassato le nostre aspettative, mostrando evidenti limiti del suo gioco, in particolare quello spalle alla porta dove mostra un po’ di disagio e nel colpo di testa, da affinare visti i suoi centimetri. Poi nel 2021 è arrivata la svolta che ci ha fatto dimenticare questi limiti. Ha cominciato a segnare a valanga, 17 reti nell’anno solare. Una crescita di freddezza davanti alla porta rapidissima, tutta concentrata nella potenza del suo sinistro. Il 13 marzo contro il Benevento ha segnato la sua prima tripletta in Serie A, dove spicca il terzo gol. Prima ha vinto un duello corpo a corpo con Glik, non certo un avversario leggero, divincolandosi sul sinistro, e poi accerchiato da 3 avversari si inventa un tiro di piatto dai 20 metri che si infila in maniera chirurgica all’incrocio, senza neanche dare il tempo a Montipò di provare a tuffarsi. Uno di quei gol che fanno innamorare qualsiasi appassionato. Vlahovic è proprio lo stereotipo dell’idea che abbiamo di un giocatore che indossa il 9, quello grosso, che passa il tempo a sgomitare gli avversari, più ruvido che elegante, che cerca di controllare ogni palla verso la porta e appena ha un minimo di margine di vantaggio per concludere lo fa, con forza e precisione. Un giocatore coraggioso e valoroso, che sembra uscito da un torneo cavalleresco di Game Of Thrones. Ha terminato il campionato a quota 21 reti, il primo nato nel 2000 a raggiungere quota 20 in Serie A. Gli unici altri 2000 a essere andati in doppia cifra di gol quest’anno, tra i cinque maggiori campionati europei, sono Erling Haaland e Amine Gouiri del Nizza. Probabilmente il disastro tattico che è stata la Fiorentina lo ha agevolato. È stato un punto fermo nell’attacco sia per Iachini che per Prandelli, che ha detto “alla stessa età, è più forte di Adriano”. È stato sempre preferito a Koaume, un giocatore più fine e più forte nel gioco spalle alla porta, trovando in questa titolarità fissa fiducia nel proprio gioco e maggiore responsabilità. È diventato l’attaccante che tutti i tifosi delle grandi squadre italiane vorrebbero. Magari non subito visto che potrebbe essere interessante vederlo con Gattuso in panchina, un allenatore che arriva da una squadra capace di segnare 86 gol. Ma è ormai forte nel nostro immaginario l’idea che Dusan diventerà uno dei grandi volti della prossima decade di Serie A.

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Alessandro Giura
Palloni Gonfiati

Studente di scienze della comunicazione a UniTo. Editor e Copywriter. Scrivo su Palloni Gonfiati e Ultimo Uomo. Conduco il podcast Britannia.