Mike Conley è l’uomo chiave dei Jazz

La seconda stagione a Utah della guardia ex Grizzlies gli è valsa la prima chiamata all’All Star Game a 33 anni.

Alessandro Giura
Palloni Gonfiati
7 min readMar 13, 2021

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Crediti foto: Jeffrey Swinger/USA TODAY Sports

Record di 27–9 alla pausa per l’All Star Game. Primo posto a Ovest con il miglior record della lega. Quarto miglior attacco e quarta miglior difesa. Miglior net rating. Due giocatori da All-NBA Team. Allenatore dell’All Star Game e in lizza per il premio di Coach of the year. Probabile sesto uomo dell’anno. Questi sono gli Utah Jazz 2020–21. La regular season più assurda della storia NBA sta venendo quasi dominata dalla squadra che guarda caso fu il paziente zero un anno fa. Tralasciando questa irrilevante ma curiosa coincidenza, il motivo dei recenti filotti di vittorie della ciurma di coach Sneyder vanno cercati nell’ottimo uso del tiro da 3 in attacco e nella grande coesione difensiva aiutata dall’avere il miglior difensore dentro il pitturato della lega in Rudy Gobert. Tutto questo non è sorprendente: i Jazz erano già tra le migliori squadre della Wester Conference e nella bolla di Orlando impegnarono i Nuggets in una serie da 7 gare al primo turno venendo sconfitti nonostante un Donovan Mitchell da 36 punti di media. Cosa è cambiato da quella serie di playoff? Non molto, rispetto ai playoff è tornato Bogdanovic — arma da oltre l’arco mancata come il pane — e la free acengy ha riportato nello Utah Derrick Favors, garantendo un buon back up per Gobert. Ottime aggiunte si, ma per un salto di qualità del genere quello che è cambiato davvero è l’affiatamento tra i compagni. In particolare quello di Mike Conley.

Quando i già promettenti Jazz misero le mani sulle prestazioni di Conley durante l’estate 2019 fu una chiara intenzione di diventare una delle migliori squadre della Conference. Conley è un ottimo difensore nonostante la stazza, forgiato dalla mentalità dei Grizzlies che li aveva anche portato in finale di Conference. Per tutta la carriera è stato una costanza su entrambi i lati del campo. Ma l’impatto di Conley a Salt Lake City non è stato eccezionale: ha peggiorato le statistiche personali raggiungendo minimi che non vedeva da quasi 10 anni e proprio ai playoff è mancato nel dare un ulteriore alternativa a Mitchell nella creazione dei tiri dei Jazz. Non a caso Mitchell sembrava l’unico in grado di fare canestro, mettendo a referto per ben due gare oltre 50 punti. Non un fallimento completo, ma certo un delusione.

Dopo la tiepida scorsa stagione, prima in maglia Jazz, quest’anno ha preso le misure degli schemi di Snyder e dei compagni. La musica che suonano i Jazz è migliorata nella nuova stagione, compresa la sua. Segna di più, serve più assist e sta vivendo la sua miglior annata da dietro l’arco dei 3 punti, il principale fattore che mette Utah davanti a tutti in questo momento della stagione. Tira con il 42% dalla lunga distanza, il migliore dietro a Ingles che però è uno specialista dell’arte di farsi trovare pronto sugli scarichi e tenta una tiro da 3 in meno a partita. “Ho cambiato squadra e città dopo 12 anni, avevo bisogno di adeguarmi, aggiustare il mio gioco in base ai nuovi compagni e migliorare l’intesa con Gobert” ha ammesso pubblicamente.

L’intesa con Gobert diceva appunto. L’anno scorso i due facevano fatica a intendersi in pick & roll. Gli assist di Conley serviti al centro francese erano inferiori a 1 per gara, 0.7 per l’esattezza. Va detto che Conley nella sua lunga carriera NBA ha giocato solo con Marc Gasol e Zach Randolph come lunghi di appoggio, due buoni rollanti certo ma con caratteristiche diverse da Gobert.

Con il lungo francese Conley ha trovato un giocatore in grado di ricevere un lob sopra il ferro. Inoltre Gobert ha un pacchetto di movimenti meno vario rispetto a Gasol e Randolph che potevano ricevere anche fuori dal pitturato. Rispetto alla scorsa stagione la guardia riesce a trovare il compagno sotto canestro molte più volte, raddoppiando gli assist che gli serve a gara è raddoppiata rispetto allo scorso anno. Da 0.7 a 1.4. Non è un miglioramento clamoroso, ma pur sempre qualcosa no? La voce degli assist a partita di Conley è passata da 4.4 a 5.7.

E quando il lungo francese non viene servito? Mike ha imparato a utilizzare i famosi screen assist (blocchi che portano ad un canestro) del compagno sfruttando anche il fatto che le Gobert venga considerato la principale minaccia in un pick & roll che lo coinvolge. L’azione sopra ne è un buon esempio. Conley esita cercando sempre il compagno con lo sguardo invitando la difesa a concentrarsi su Gobert creandosi invece una più comoda soluzione personale. Non a caso anche la voce punti a partita è migliorata rispetto allo scorso anno. È il terzo realizzatore di Utah, l’anno scorso era il quinto. Piccoli miglioramenti nelle cifre che erano proprio quello che mancò a Utah la scorsa stagione per avere anche solo un match più favorevole ai playoff.

Nonostante due settimane di assenza (in cui Utah ha vinto tutte le partite) e numeri a partita non certo da capogiro le statistiche avanzate ci dicono che Conley è un dei giocatori più efficaci della lega. Il modello di statistiche metriche RAPTOR che calcola l’efficienza offensiva e difensiva lo mette tra i migliori giocatori in questa stagione e terza miglior guardia.

Tra le guardie è anche secondo in plus-minus reale e plus-minus stimato.
Quelle elencate sono tutte statistiche che cercano di misurare l’impatto del giocatore sulle performance della sua squadra. In realtà basterebbe guardare alle statistiche plus-minus con o senza di lui in campo per capire l’impatto che ha nell’efficienza dei compagni.

  • Jazz con Mitchell e Conley: plus-16.8 punti per 100 possessi.
  • Jazz con Mitchell senza Conley: plus-5.6 punti per 100 possessi.
  • Jazz con Gobert e Conley: plus-14.8 punti per 100 possessi.
  • Jazz con Gobert senza Conley: plus-11.2 punti per 100 possessi.
  • Jazz con Bojan Bogdanovic e Conley: plus-17.5 punti per 100 possessi.
  • Jazz con Bogdanovic senza Conley: plus-7.9 punti per 100 possessi.
  • Jazz con Jordan Clarkson e Conley: plus-15.6 punti per 100 possessi.
  • Jazz con Clarkson senza Conley: plus-4.2 punti per 100 possessi.

Se guardate una partita di Utah Conley non è il più appariscente dei giocatori in campo. Di sicuro le giocate individuali di Mitchell, le stoppate di Gobert, le triple di Bogdanovic, la difesa di Royce O’neale, l’espolisività di Clarkson e le magate di Ingles rubano di più l’occhio. Ma Conley è il fattore che sta alzando l’asticella. La sua costanza su entrambi i lati del campo lo rende il fattore mancante della scorsa annata e ora Utah sta giocando per il primo posto a Ovest, fondamentale da mantenere per evitare entrambe le squadre di Los Angeles fino alle finali di Conference.

L’impatto e il miglior record di Utah hanno permesso a Conley di poter finalmente diventare un All-Star. A 33 anni, nessuno ha mai esordito nella gara delle stelle così tardi. A dire il vero ci è arrivato grazie all’infortunio di Booker, che ha dovuto sostituire anche nella gara del tiro da 3 perdendo la finale 28–27 contro Steph Curry. La convocazione è stata un giusto premio per la carriera di Conley, arrivata probabilmente all’ultima occasione dopo tante ottime stagioni a Memphis. Ma per anni è rimasto dietro alle altre guardie della Western Conference in un modo crudele che neanche Damian Lillard (che recita da sempre la parte dell’eterno snobbato) conosce.

Mike Conley è uno dei giocatori più intelligenti e competitivi della lega, forgiato della mentalità della “Grit & Grind” era a Memphis, dove è ricordato come un leggenda. Utah se lo è portato a casa ad un costo tutto sommato esiguo: Crowder che ha cambiato altre due squadre dopo lo scambio, Korver a basket già spremuto al massimo e Grayson Allen. Tutti asset spendibili per un giocatore che ha alzato il livello della squadra in una Conference che negli stessi giorni si muoveva molto aggressivamente sul mercato. Oltre un anno dopo quello scambio è ancora tra le migliori point-guard della lega nonostante non sia la più eccitante o virale, per quanto in campo non è che disdegni colpi alla Trae Young. A giugno il suo contratto scadrà e dopo averne firmato uno dei più ricchi della storia NBA dovrebbe accontentarsi di molto meno. Qualsiasi contender sarebbe ben lieta di accoglierlo e deve provarci. Ma lui l’ha già trovata. A fine febbraio ha dichiarato di voler restare a Salt Lake City. “Non penso di andare da nessun’altra parte e trovare il modo in cui giocano qui. Vedremo a fine stagione, perchè ci saranno molte discussione. Ma questa squadra è unica per come giochiamo”. E la dirigenza di Utah se vuole continuare l’eccitante percorso intrapreso non deve pensarci troppo a fare uno sforzo per rifirmarlo.

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Alessandro Giura
Palloni Gonfiati

Studente di scienze della comunicazione a UniTo. Editor e Copywriter. Scrivo su Palloni Gonfiati e Ultimo Uomo. Conduco il podcast Britannia.