Palloni Gonfiati a spicchi: #1 Payton Pritchard

Alessandro Giura
Palloni Gonfiati
Published in
6 min readDec 30, 2020

Rubrica dedicata ai palloni gonfiati del mondo della pallacanestro.

Darron Cummings via AP

La classe di prospetti che si presentava al Draft NBA 2020 è stata probabilmente la più difficile da giudicare tra gli addetti ai lavori, a causa dei campionati sospesi per la pandemia. Se tra la prime scelte c’era una grande incertezza sulla posizione di chiamata questa si rifletteva con una ancora maggiore più si scendeva in basso durante il primo giro. Le partite già giocate in questa stagione si contano su una mano, eppure qualche rookie ha già fatto domandare ai più esperti come possano essere scivolati così in basso al draft. In particolare Haliburton a Sacramento — 12a chiamata — e Achiuwa a Miami — 20esima. Scendendo ancora più in basso c’è stata la chiamata alla 26 che sta facendo fregare le mani a chi ha potuto farla, ovvero i Boston Celtics che si presentavano al primo giro con la solita abbondanza di prime scelte acquisite negli anni tramite scambi. Il co-proprietario della franchigia Wyc Grouseback ha dichiarato che il GM Danny Ainge era tanto entusiasta che un giocatore fosse rimasto a portata di chiamata quanto quando riuscì a prendere Rajon Rondo con la 21esima nel 2006. E quel giocatore è Payton Pritchard, point guard di 22 anni, prodotto da Oregon. Alto 1 metro e 85, è un giocatore tutto da sviluppare atleticamente e per di più un tipo di profilo di cui già abbondavano a roster grazie alle chiamate dei Draft precedenti.

La prima volta che ho visto Payton su un campo NBA era durante la gara del giorno di Natale contro Brooklyn. Mi sono chiesto chi fosse quel ragazzo pallido, non troppo alto e atletico con le scarpe giallo-verdi che si presentava al tavolo per il cambio a fine primo quarto. L’ennesima guardia rookie che Boston tira fuori dal mazzo, pensai, troppo debole fisicamente per avere minuti importanti in ottica playoff, trovandolo un po’ inadatto al contesto di una partita tra due ambiziose rivali di division.
Dopo appena 19 secondi dal suo ingresso durante il primo possesso a cui partecipa, si fa trovare dietro l’arco da uno scarico di Grant Williams e realizza la prima tripla della sua partita. 19 secondi, primo possesso, un tiro difficile, a freddo. Ho pensato a quando giocavo in gioventù, a tutte le volte che gli allenatori mi hanno detto che non si prende un tiro difficile a freddo, specialmente al primo possesso in mano. Alla fine in realtà durante una partita succedeva che qualcuno se lo prendesse, magari da tre. Se sbagliato veniva rimproverato a livello di gogna al primo time-out, se realizzato invece diventava l’esempio migliore da dare ai suoi compagni, perché si era fatto trovare pronto, concentrato sulla gara.
Ecco, Payton Pritchard fin dai primi possessi si è fatto trovare pronto per la NBA.

All’esordio contro Milwaukee. Decisamente pronto.

L’impatto di Payton nelle rotazioni dei coach Stevens è stato subito importante. Ha sfruttato al meglio i minuti concessi dall’infortunio di Kemba Walker, venendo immediatamente preferito ai compagni di reparto Edwards e Water, nonostante l’anno di esperienza in meno tra i Pro. Questo anche grazie alle sue qualità offensive, sfoggiate nei 4 anni ad Oregon, di cui era il leader tuttofare dimostrando di essere un giocatore che sa vincere le partite — oltre 20 punti di media l’ultimo anno di NCAA.
Nel doppio confronto con Indiana degli ultimi giorni si è esaltato, esibendo al meglio tutte le sue qualità nella metà campo avversaria.
Nella prima partita ha messo ha referto 13 punti con 5/5 al tiro e tre triple in 23 minuti, nota più positiva nella sconfitta dei Celtics.
Nella seconda, vinta 116–111, è andato ancora in doppia cifra, aggiungendo 5 assist e 5 rimbalzi, con Stevens che lo ha tenuto in campo per 27 minuti, anche nel finale punto a punto, una cosa non banale per le prime partite di un rookie scelto a fine primo giro da una squadra che ambisce al titolo di Conference. Nel tiro da tre si è fatto trovare preciso sia in situazioni di spot up che di catch & shoot, anche ben oltre i 9 metri in un paio di circostanze, ma si è dimostrato un ottimo decision maker anche in situazioni dal palleggio, pericoloso in ogni tipo di situazione offensiva a cui è stato sottoposto, un arma dinamica in uscita dalla panchina. Stevens a fine partita ha dichiarato che lo vorrebbe vedere più coinvolto in fase di playmaking. “Ha giocato senza palla in mano più di quanto volessi”, ha detto di lui l’allenatore, “Penso che ci serva che lui abbia la palla in mano un po’ di più, perché è veramente bravo nel creare situazioni dal pick-and-roll” — da cui Payton ha servito 4 dei suoi 5 assist — “è un ragazzo che sa come si gioca”.

Non si fa intimidire neanche da Sabonis.

L’alto QI cestistico di cui dispone, il motivo principale che lo ha portato in NBA, lo ha aiutato anche in situazioni difensive, il grande punto interrogativo in valutazione scout per il draft. La stazza è quella che è, deve crescere atleticamente e le guardie più esperte potrebbero andare in uno contro uno con lui molto spesso, come già ha fatto vedere Brogdon nelle due partite. Lontano dalla palla ha invece mostrato ottime qualità di lettura difensiva, anche in fase di recupero in transizione, con una media di 1.5 rubate a partita. L’obiettivo è quello di massimizzare il limitato atletismo anche in difesa.

Nella prima azione in transizione difensiva aspetta il momento giusto per propiziare il recupero su Oladipo. In tutta la corsa sembra già sapere che prima o poi farà quel recupero.

Oltre a questo deve migliorare nella gestione delle palle perse, perdonabili agli esordi, ma che lo sono meno se in situazioni di ricezione pesti continuamente la linea laterale, come se dovesse imparare le dimensioni del campo. Una cosa che ha scatenato ilarità tra i tifosi dei Celtics su Twitter e anche dello stesso Stevens. “Se riuscisse a disputare un partita intera senza uscire dal campo, sarebbe una piccola vittoria”.

L’entusiasmo nei suoi confronti è partito sia tra i tifosi che tra i suoi compagni — E’ il GOAT, stando a Jaylen Brown — che si sono ritrovati a roster un giocatore più interessante ed utile del previsto, in grado di potersela giocare fin dalle prime partite e dare un contributo alla squadra, magari anche in ottica playoff.
Gli sono bastati pochi tiri per cominciare ad essere considerato un furto al draft. La pensa così anche Kevin O’Connor, che su The Ringer è salito anche lui sul carro degli elogi, sostenendo che se nelle previsioni del draft — dove lo aveva messo alla 33 — gli avessero chiesto di classificare i prospetti in base alle migliori chance di una carriera NBA lunga 10 anni, Pritchard sarebbe stato messo in alto.

Al momento Pritchard viaggia a 8.3 punti, 2 assist, 2 rimbalzi a partita e 13.1 di efficency rating, tirando vicino al 60%. Come detto le partite sono veramente poche fin qui per dare giudizi importanti. I numeri di Pritchard sono destinati a regredire perché è difficile aspettarsi questa consistenza ogni due sere da un rookie come lui per il resto della stagione. Lui ne è consapevole, “Non andrà sempre così. Fa parte del processo, lo so”. Allo stesso tempo sono innegabili la sua intelligenza e la sua consapevolezza in campo, che hanno fatto scommettere prima Ainge e ora Stevens sul contributo che possa dare nella lega. “Sono consapevole di essere migliorato stagione dopo stagione al college, e voglio continuare su questa strada”.
Subito in grado di adeguarsi al passaggio da leader assoluto al college a quello di comprimario NBA, i Celtics potrebbero aver trovato il loro TJ McConnell o Alex Caruso di turno, in grado di diventare un beniamino dei tifosi, ma anche essere fondamentale nella seconda unità quando il gioco si farà più serio.

di Alessandro Giura

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Alessandro Giura
Palloni Gonfiati

Studente di scienze della comunicazione a UniTo. Editor e Copywriter. Scrivo su Palloni Gonfiati e Ultimo Uomo. Conduco il podcast Britannia.