Pensieri euro-gonfiati del 29/05/2021

10 considerazioni gonfiate sulla finale di Champions League tra Chelsea e Manchester City.

Alessandro Giura
Palloni Gonfiati
7 min readMay 30, 2021

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1. Il Manchester City aveva decisamente cominciato la partita in maniera più convinta, pressando alto e con chiari intenzioni di voler dominare il controllo del pallone. Al settimo minuto, a seguito dell’ennesimo pazzesco rinvio/passaggio lungo 70 metri perfetto di Ederson, Sterling ha sprecato un’ottima occasione sbagliando il controllo del pallone dovendo così concludere girato di spalle rispetto a Mendy usando il tacco, costringendo comunque il portiere dei Blues alla deviazione in corner. Allora non potevamo immaginarlo ma quello rimarrà l’unico intervento di Mendy per il resto della gara.

2. Da quel momento lo spirito e il pressing del Chelsea l’hanno fatta da padrone. La difesa del City è sembrata eccessivamente invitante per le rapidissime ripartenze dei Blues, costruite su massimo tre tocchi e cronometrati attacchi dello spazio. Sarebbe andato in vantaggio presto se non fosse stato per la poca precisione di Timo Werner che prima al nono minuto ha lisciato un pallone a 5 metri dalla porta senza pressione e poi ha ha fallito un’altra occasione simile sbagliando il primo controllo del pallone, rimastogli troppo sotto impedendogli così di angolare o dare potenza al tiro finito tra le braccia di Ederson. I gol sbagliati dal tedesco si sono confermati un leitmotiv anche in finale. Ma in qualche modo si farà perdonare: il suo moto perpetuo sarà un chiave nel gol del vantaggio.

3. Al 40esimo minuto, il momento ideale per sbloccare una gara in qualsiasi partita figuriamoci una finale, il Chelsea è passato in vantaggio. Azione manovrata per costruire sulla destra e muovere lo schieramente del City, per poi riappoggiarsi sul portiere. Cambio di gioco lungo di Mendy su Chilwell che resta sulla linea laterale del centrocampo. Il terzino appoggia di prima su Mason Mount, una mossa che ha portato Stones e Walker a stringere molto su di loro. Nel frattempo Werner taglia verso l’esterno del campo, portandosi dietro Ruben Dias e aprendo il campo a Havertz che a sua volta taglia verso il centro ed ha un vantaggio incolmabile su Zinchenko, che ha fatto molto poco per impedirglielo. A quel punto c’è una voragine di campo enorme per il centrocampista tedesco che viene servito in corsa da una gran palla in verticale di Mount, e, a tu per tu con Ederson, è fortunato nel rimpallo dopo la prima conclusione respinta dal portiere brasiliano e segna a porta vuota. In pochissimi secondi tante scelte sbagliate del City e tante scelte giuste del Chelsea. Un gol a immagine e somiglianza della gara.

Tre su quattro difensori del City sono tutti schiacciati nella stessa zona di campo. Dall’altra parte Zinchenko ha uno svantaggio incolmabile.

4. Il City non ha sistemato l’approccio nel secondo tempo e dopo pochi minuti ha dovuto fare a meno di Kevin De Bruyne, fermato da Rudiger con un violento body check. Talmente violento da lasciarlo con un occhio nero e stordito al punto da essere sostituito. Il fuoriclasse ha lasciato il campo in lacrime, miste tra dolore e dispiacere di lasciare anzitempo la partita della vita, quella che sogni e per cui lavori da anni. Un peccato che era già toccato a Thiago Silva nel primo tempo, uscito anche lui infortunato. Mentre abbandonava il campo, Reece James lo rincuorato con un “La vinceremo per te”. Il risultato era ancora 0–0.

5. L’uscita di De Bruyne ha tolto al City il leader tecnico e emotivo, in quanto capitano, una cosa che lì per lì ha lasciato spaesati i Citizens che hanno cominciato a sbagliare passaggi semplici, come quello di Ruben Dias verso Zinchenko al 61esimo. Se già la serata del City era storta fino a lì, quello è stato uno dei segni che dal divano hanno fatto pensare “non la raddrizzano più”.

6. E pensare che il City, dopo non essere mai riuscito a impensierire Mendy e la compatta difesa del Chelsea se non con cross bassi dal fondo, ha avuto la grande occasione del pareggio a tempo quasi scaduto. Un tiro al volo dal limite di Mahrez con il destro, il piede debole, che ha fatto la barba all’incrocio dei pali. Una di quelle classiche situazioni raccontate dai radiocronisti come un “tiro imparabile, per cui il portiere può solo pregare vada fuori”. Mendy in quella dinamica si era buttato in ginocchio, enfatizzando ancora di più questo tipo di immagine.

7. E poi è finita. Il Chelsea ha vinto la sua seconda Champions League in 10 anni. E per la seconda volta con in panchina un allenatore subentrato a stagione in corso. Una cosa su cui quasi ci poteva scherzare un paio di mesi fa, ma che invece evidentemente porta bene. Thomas Tuchel però ha messo una firma ben più grossa di quella di Di Matteo, ha trasformato la squadra giovane e sfiduciata ereditata da Lampard in un trappola troppo difficile da disinnescare per gli avversari. E che avversari. Simeone, Zidane e Guardiola, tutti in sequenza. È il terzo tedesco alzare il trofeo consecutivamente, dopo Klopp e Flick, sintomo di come il calcio tedesco sia la miglior scuola al momento. E si è preso una bella rivincita su chi aveva deciso di dargli il bel servito al Parsi Saint-Germain. Come Thiago Silva.

8. Quello che più è emerso è stato lo spirito e la compattezza difensiva di tutti gli interpreti dei Blues. “Volevamo essere il sassolino nelle loro scarpe” ha detto Tuchel, “I giocatori erano determinati, pronti a farsi avanti, essere coraggiosi e creare ripartenze pericolose, È stata una gra fisica. Dovevamo aiutarci l’un l’altro”. E lo hanno fatto. Per esempio il grande intervento di Chilwell su Mahrez a inizio gara. E quello ancora più spettacolare di Rudiger su Phil Foden a botta sicura. Christensen è entrato a posto di Thiago, ma non ci siamo quasi accorti della cosa. E ovviamente capitan Azpilicueta, determinante a negare a Gundogan il pareggio a pochi minuti dalla fine, deviando un cross basso oltre la traversa. Di Kante abbiamo parlato tanto nelle puntate precedenti, come di Jorginho, che farà scrivere sui giornali dello stivale che “c’è un po d’Italia nella vittoria del Chelsea”. Chiunque abbia seguito il Chelsea da gennaio è familiare con certe prestazioni. Tuchel ha reso il reparto difensivo per intero migliore delle singole individualità dei giocatori. Anzi di più, li ha fatti diventare campioni d’Europa.

9. Il grande protagonista è ovviamente Kai Havertz. Era in ballottaggio con Pulisic, Tuchel lo ha preferito per il maggiore approccio fisico che garantiva e il gioco associativo con Werner. Non ha tradito l’allenatore connazionale, segnando il suo primo gol in Champions League. Mai tempismo fu più azzeccato. Oltre a questo, i suoi tocchi delicati sono stati l’appoggio su cui il Chelsea ha costruito la manovra e i contropiedi. Come la giocata che ha mandato proprio Pulisic a un passo dal 2–0, sfiorando il palo. Una prestazione che ha fatto smettere di pensare a quanto lo avesse pagato il Chelsea la scorsa estate, ovvero una cifra che con i bonus potrebbe raggiungere 90 milioni di sterline. È stato acquistato proprio per essere decisivo in una serata così. Prima della premiazione Azpilicueta ha interrotto la sua intervista dicendo “se lo merita. Questa ragazzo diventerà una super-star. Ha una mentalità pazzesca”. Ha 21 anni, siamo solo all’inizio.

10. Sembrava tutto apparecchiato. Ma alla fine Pep Guardiola non è riuscito a riconquistare la coppa dalle grande orecchie senza Messi e il Barcellona. Il Chelsea è stato indiscutibilmente migliore e il City ha lasciato tanti pensieri sulla gestione di Guardiola. Una formazione probabilmente sbagliata, aver preferito Sterling, la posizione di Gundogan più profonda, il piano di approccio alla gara che ha disattivato i vari talenti, quelli di Foden e Mahrez su tutti. Ma forse ciò che più ci ha stupito è stato il non riuscire a correggere la rotta nella ripresa. “Ho deciso di avere giocatori di qualità” ha detto a fine gara. Non che in panchina non ce ne fossero. Ci ha lasciato Cancelo e Rodri, l’ingresso al 63esimo di Fernandinho forse era un cercare di mettere ordine non ancora pervenuto ed è stato tardivo anche l’ingresso di Aguero, probabilmente necessario subito dopo l’infortunio di De Bruyne. Pep a fine partita ha fatto trapelare la solita calma e classe, ma mentre aspettava il suo turno per la medaglia d’argento mi è sembrato di scorgere un notevole sforzo nel trattenere le lacrime. Questa è probabilmente la sua sconfitta più grande, quella più cocente e rumorosa. I suoi detrattori non aspettavano altro che questo passo falso per alimentare il fuoco dei dubbi. Ma ridurre il lavoro che ha fatto Guardiola quest’anno a una partita, seppur sentita e importante, è riduttivo e forse una mancanza di rispetto. La stagione del Manchester City è stata un dolce buonissimo, con una punta di amaro all’ultimo boccone.

Un ultimo ultimo pensiero va a Sergio Aguero, una leggenda del City che ha giocato la sua ultima partita con il club. La partita per cui più di tutti li dentro aveva lavorato per giocarla. È entrato nel finale, e chi non ha pensato a quanto sarebbe stato poetico un suo gol. Non c’è stato il lieto fine e al fischio finale ha provato a diventare una statua, lottando con se stesso per non far sgorgare lacrime. Non ci è riuscito. Un immagine che ha spezzato il cuore, quanto l’uscita per infortunio di De Bruyne, e che ci ricorda di che emozioni sono fatte le finali e del rispetto che bisogna portare per chi ha dato tutto ma per un soffio, anche leggerissimo visto quanto questo sport dipenda da episodi irripetibili, non c’è riuscito.

di Alessandro Giura

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Alessandro Giura
Palloni Gonfiati

Studente di scienze della comunicazione a UniTo. Editor e Copywriter. Scrivo su Palloni Gonfiati e Ultimo Uomo. Conduco il podcast Britannia.