Ore 23.40

Essere strumenti. Un racconto.

Angelo Moroni
Cristiano Errante
6 min readJan 31, 2019

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Quello che segue è un mio racconto intitolato, appunto, Ore 23.40. Mi piace scrivere, è un hobby che purtroppo non curo troppo, ma quando mi capita mi diverto. Ne ho già scritti altri, per esempio ne potete leggere uno qui, tuttavia non ne pubblico tanti. Sia perché non so dove farlo e sia perché, insomma, lo vedo come un divertimento e niente più.

Questo, invece, lo pubblico perché reputo che sia un buon modo per mostrare che, molto spesso, siamo strumenti nelle mani del Signore. Spero vi piaccia.

“oh, ma qua dentro c’è qualcuno! Chiama il 118"

Il cuore inizia a battere forte, la paura aumenta, di essere arrivati tardi, di essere inutili.

L’altra sera credo di aver salvato un ragazzo, sì, intendo, proprio salvato la vita. Tornavo da Santhià perché ero andato a prendere la mia ragazza alla stazione del treno: studia danza a Chivasso e, a quell’ora, non c’è il treno per Biella. Erano.. be’, insomma, il treno è arrivato alle 23.36 circa e non c’è la coincidenza fino alle 5 del mattino dopo, quindi sono andato io.

Comunque, al ritorno, passavo dal Brianco, quella stradina che unisce Salussola a Santhià, senza passare per Cavaglià, ha presente? Una strada di campagna, appena dopo la discesa, dopo il semaforo di Salussola, sulla sinistra c’è un incrocio, eh, quello. Ha capito? Sì, non ci passa nessuno. C’ero passato anche all’andata, tutto tranquillo, neanche una mezz’ora prima.

Fatto sta che, al ritorno, circa a metà, quindi saranno state le 23.40, abbiamo visto una macchina bianca, in un fossato a lato della strada, era dritta sul muso, tutto schiacciato, sì, esatto, ma sembrava spenta. “Strano, prima non c’era. Che facciamo? Vediamo che è successo?” ho chiesto a Laura. Non nascondo che avevo un po' di paura, se ne sentono di ogni in giro, ma quella macchina mi sembrava messa male per essere l’esca di un’imboscata. Scendiamo e subito ho sentito suonare il clacson, sordo, forse perché l’incidente l’ha danneggiato, ma qualcosa usciva. Subito ho pensato che ci fosse qualcuno.

“oh, c’è qualcuno?!” ho urlato e mi ha risposto la voce di un ragazzo “sì, aiuto”. Subito Laura ha chiamato l’ambulanza e, se mi ricordo bene, ci ha messo un po’ a fargli capire dove fossimo. Un po’ 'sta cosa mi ha sorpreso, perché ok che il Brianco è una stradina di campagna, va bene tutto, però, anche su Google Maps compare. Fai una ricerca al volo, dico io. Ci può stare che non capisci la prima volta, ma Laura lo avrà ripetuto tre o quattro volte, a una certa, fai questa ricerca. Comunque, alla fine hanno capito.

Manuel si chiama questo ragazzo, sì è vivo, sta bene, ha riportato un po’ di danni, soprattutto alle ossa e all’intestino, ma ringraziando Dio sta bene. Lì per lì, ho avuto paura, per come era messo. Sì, perché l’ho visto.

La prima cosa che ho fatto — e nel mentre gli tenevo compagnia, al ragazzo- è vedere se si aprisse qualche sportello, per capire, appunto, come stesse, ma tutti gli sportelli erano chiusi, forse l’urto avrà piegato un po’ l’abitacolo. Era anche scomodo, visto che il fossato, al buio, era un avversario ostico. Alla fine, Manuel, mi ha invitato a rompere un vetro: da lì, ho iniziato a fare avanti e indietro perché non sapevo con cosa romperlo, non l’avevo mai fatto, non so che forza ci volesse. Prima ho preso il triangolo catarifrangente, non per rompere, ma per segnalare a chi sopraggiungesse che c’era un pericolo, ma tanto, da lì, ne saranno passate due o forse tre di auto e niente più, poi ho preso la scatola delle catene, ma è risultata troppo debole. Avevo pensato sin da subito al crick, ma non lo vedevo, poi alla fine, menomale, l’ho trovato e ho rotto il finestrino posteriore: “attento, Manuel, sto rompendo quello dietro, copriti!” gli ho detto.

Era lì, disteso trai due sedili anteriori non in bellissime condizioni, senza giacca e il volto sanguinante; cosa non proprio piacevole visto che faceva freddo, -3, quindi non oso immaginare che cosa stesse provando. “Mi dai un numero di qualcuno? Chi posso chiamare?” e mi ha dato il numero del padre.

Laura, allora, lo ha chiamato e non so con che forza sia riuscita a essere chiara e tranquilla mentre diceva, ad uno sconosciuto, in piena notte, che suo figlio era uscito di strada.

“Salve, Signor …, senta, suo figlio è uscito di strada con la macchina, è cosciente e abbiamo già chiamato i soccorsi, ci ha dato lui il suo numero… eh, non posso passarglielo, la macchina è in un fossato, aspetti…”

Laura passa il telefono ad Angelo: “…prova a farlo parlare con Manuel” gli dice.

“Salve, signore, provo a passarle Manuel” e lo allunga, per quanto possibile, verso il ragazzo, attraverso il vetro frantumato: “Papà, tutto ok, sto bene”

Ho rassicurato il padre che saremmo stati lì fino a che non sarebbe arrivato: abitava lontano, a circa 30 minuti, da quanto ho capito.

Mentre stavamo aspettando i soccorsi ogni tanto mi allontanavo dall’auto per pregare, chiedevo aiuto per Manuel e per noi perché, sa, l’ansia comincia a salire quando non sai che altro fare in quelle situazioni. Credo che la risposta non si sia fatta attendere troppo perché poco dopo altri ragazzi si sono fermati, quanto meno per chiederci se stavamo bene, se era tutto ok, e mi ha fatto piacere, ci ha fatto sentire che non eravamo soli. Perché, posso confermarglielo, che la solitudine riesce ad appesantire il tutto e non avrei mai pensato che sentimenti come la solitudine, appunto, potessero presentarsi. Invece, ti senti impotente e hai paura che ogni momento possa essere troppo tardi. Quei ragazzi, invece, quelli che si sono fermati, ci hanno dato coraggio. Comunque erano ancora lì quando è arrivata l’ambulanza e Manuel era ancora cosciente, quindi ho iniziato a tranquillizzarmi.

Ricordo di aver abbracciato Laura, “Ora ci pensano loro”, mi ricordo di averle detto, “grazie a Dio!”.

“Eh, bisogna chiamare i Vigili! Qua non si apre nulla” e uno degli operatori del 118 chiama i vigili.

“Potete anche andare, grazie mille, davvero” un altro dice ad Angelo e Laura.

“No, aspettiamo che arrivi il padre, glielo abbiamo promesso” è la risposta dei due.

Alla fine il padre è arrivato dopo che arrivassero i vigili e mi ha dato una stretta di mano veloce e distratta e lo credo bene. E’ arrivato che già stavano provando ad aprire gli sportelli anteriori per tirare fuori Manuel. Io lo aggiornavo scrivendogli messaggi su whatsapp. Sì, gli avevo mandato anche la posizione di dove fossimo. Il freddo era ancora più intenso, ma c’era una luce, generata dal faro del camion dei pompieri, che sembrava giorno. In pochissimo tempo, da che eravamo in due e al buio, ci siamo trovati in mezzo a tanta gente e tutto era illuminato. Dopo il padre sono arrivati anche i carabinieri. Mi hanno fatto un paio di domande, tanto per ricostruire l’accaduto. In effetti non si sa ancora bene cosa sia successo: è probabile che sia stato un colpo di sonno, ma non so dirle altro. Manuel non si ricorda nulla e la sua memoria comincia dopo essersi ritrovato a terra tra gli sedili, ma non gli dice niente di prima, quindi è probabile che sia così. A terra non c’erano neanche segni di franata. Sarà sicuramente andata così, è l’opzione più plausibile.

Sì, dottore, poi ce ne siamo andati. Scossi, ma ce ne siamo andati sereni.

Questo racconto è tratto da una storia vera, anzi, per essere precisi, è una storia vera perché ciò che è narrato è successo davvero. Sì, abbiamo aiutato questo ragazzo in difficoltà che era solo dentro l’auto, al freddo, e chissà che fine avrebbe fatto se noi, io e Laura, avessimo preso un’altra strada quella sera. Infatti, quella strada di campagna non è affatto trafficata di notte e noi ci siamo passati quasi distrattamente, perché parlavamo del più e del meno senza renderci conto di dove stessimo andando.

Ho deciso di raccontarvi come ci sentiamo usati da Dio, come crediamo si essere stati posti lì, in quel determinato momento, perché dovevamo essere lì. Ci ha dato la forza per agire nel miglior modo possibile; mi ha dato l’adrenalina per rompere il vetro e rimanere calmo per dare conforto a Manuel; ha dato a Laura la forza di chiamare i soccorsi e poi suo padre; non ci ha fatto sentire soli quando ha fatto fermare quei ragazzi che avrebbero potuti tirar dritto senza battere ciglio. Anche per quanto riguarda i soccorsi, Laura ha l’impressione che fosse tutto preparato: tutti pronti, tutti che sapevano cosa fare e i tempi di entrata farebbero invidia a qualsiasi spettacolo teatrale.

Non so dire altro. Ora, Manuel sta bene, è tornato a casa dopo due settimane di ospedale. Le ferite che ha riportato sono gravi, ma si sta riprendendo alla grande. Ci teniamo in contatto e questo mi fa enorme piacere.

Spero che questo racconto vi spinga a continuare ad avere fede.

Contatti della Chiesa di Cristo Re di Biella:

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Angelo Moroni
Cristiano Errante

Code Monkey #Android per Bemind Interactive e ciarlatano digitale. (Aspirante) Scrittore e Filosofo. http://instagram.com/hooloovoochimi…