Amo Ghost of Tsushima perché è una Lonely Planet con la katana

Fabio Di Felice
Panino al salame
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11 min readJul 29, 2020

Ghost of Tsushima non è il gioco che credevo fosse. E per fortuna. Avevo una gran paura di trovarmi davanti alla versione videoludica de L’ultimo samurai e invece ciccia, nonostante le origini americane, con una capriola e un fendente degni del miglior Miyamoto Musashi, il gioco ce la fa eccome. E nel mucchio di cose che fa bene ce ne sono alcune che fa in modo eccezionale. Il mio parere lo trovate su Outcast, ma su Panino voglio provare a fare una roba un po’ diversa e raccontarvi perché l’ambientazione di Ghost of Tsushima è il suo punto forte. E per farlo voglio usare gli scatti del gioco e quelli che ho realizzato io durante i miei viaggi in Giappone.

Premetto che non sono stato a Tsushima, che per inciso è un’isoletta che esiste davvero e si trova nella prefettura di Nagasaki. Sono stato in Giappone due volte, ho visitato diverse mete ma ovviamente ho visto solo una minima parte di ciò che il paese ha da offrire.

Giocando a Ghost of Tsushima non ho potuto fare a meno di pensare all'immenso valore estetico dell’esperienza e al valore culturale dei suoi riferimenti. Se n’è accorto per esempio anche l’ente del turismo della prefettura di Nagasaki, che sui social sta spingendo moltissimo la pagina dedicata alle vere ambientazioni del gioco. A me questa roba del turismo virtuale fa impazzire e mi ha fatto chiudere un occhio davanti a difetti che altrimenti sarebbero stati ben più pesanti nel giudizio complessivo. Ma d'altronde gli occhi erano impegnati a cogliere riferimenti, a farsi cullare dagli splendidi tramonti e a individuare possibili spot per la prossima foto da inserire nel pezzo.

Allora, eccoci: fatevi raccontare dalle foto perché camminare per la mappa di Ghost of Tsushima è stato un po’ come tornare in Giappone.

I Torii, le porte sacre e i santuari

Se siete stati in Giappone o se ci sono stati i vostri amici avete già subito il bombardamento delle foto dei torii e ora ve lo ribeccate in pieno viso. Si tratta infatti di uno dei simboli più conosciuti della cultura giapponese: grandissimi (ma possono essere anche piccolissimi) portali in legno o pietra, a volte pitturati di rosso, che indicano l’entrata a una zona sacra. Li trovate all'ingresso di un tempio, un jinja, ma anche ai piedi di una montagna o nel bel mezzo di una foresta. I più famosi sono sicuramente quelli che a Tokyo indicano l’ingresso al tempio Meiji Jingu, quelli che nel santuario Fushimi Inari Taisha di Kyoto formano dei tunnel rossi praticamente infiniti (e che avrete visto un mezzo miliardo di volte su Instagram), ma anche quello davanti al santuario di Itsushima, sull'isola sacra di Miyajima.

Sopra: Il Fushimi Inari Taisha; Sotto da sinistra verso destra: Meiji Jingu a Tokyo, Nikko e Fushimi Inari Taisha.

Sopra trovate le mie foto dei primi due spot. Il Fushimi Inari è un santuario appena fuori Kyoto, famoso per il lunghissimo (e credetemi, è lunghissimo davvero) percorso in salita che passa attraverso migliaia di torii rossi. Si dice siano oltre 32.000, io non li ho contati ma vi giuro non finivano più. Si tratta di un luogo magico. Camminare immersi nella luce rossastra del sole che filtra attraverso le fessure in questi fittissimi tunnel di archi è una sensazione unica. Io me la sono goduta a metà perché dovevo assicurarmi che Ilaria, in preda agli attacchi di panico per via degli abnormi aracnidi che abitavano le estremità dei torii, non decidesse di lanciarsi di sotto e terminare la sua sofferenza. Tra le foto trovate anche l’immenso torii all'ingresso del Meiji Jingu di Tokyo, a due passi da Harajuku, una delle vie dello shopping più frequentate della capitale, e del Toshogu di Nikko, a un paio d’ore di treno da Tokyo.

Alcuni dei torii e dei santuari che troverete in Ghost of Tsushima. Il gioco tende sempre ad esaltare gli elementi per farli spiccare nell'ambiente.

In Ghost of Tsushima i torii sono posti alla base dei santuari, sezioni di platforming in cima alle quali troverete alcuni degli amuleti dedicati ai kami. Nonostante questi momenti da saltimbanco non siano particolarmente complessi, secondo me sono ottimamente coreografati e godono di un flow ben bilanciato che non trasforma mai la scalata in un’attività faticosa. A volte il percorso non è nemmeno così banale, visto che i mongoli hanno bruciato i ponti che collegano l’altare con il resto del santuario e bisogna utilizzare rocce, alberi e rampino per girargli attorno e godersi il giro panoramico. Una volta sulla cima ci si becca una ricompensa niente male: degli equipaggiamenti che modificano sensibilmente le statistiche del personaggio e, quasi sempre, una splendida vista su ciò che si ha attorno, utile anche per fissare i punti di interesse e decidere il prossimo obiettivo da esplorare.

Le volpi di Inari nel santuario dedicato al kami della fertilità.

In particolar modo in Ghost of Tsushima hanno un ruolo di spicco i santuari dedicati a Inari, il kami della fertilità e del riso. Nella tradizione giapponese questa divinità si serve delle volpi come messaggeri e quest’ultime sono divenute in un certo qual modo il suo simbolo.

Ovviamente le statue delle volpi abbondano nel santuario dedicato a Inari — sì, quello con i tunnel di torii rossi di cui vi ho parlato prima. Sono sempre rappresentate come animali nobili e fieri, dallo sguardo feroce, e spesso indossano al collo lo yodarekake, il bavaglio rosso.

I santuari dedicati a Inari in Ghost of Tsushima, anche questi posizionati in punti strategici che offrono spesso panorami mozzafiato.

Esplorando la mappa di Ghost of Tsushima le kitsune, le volpi rosse tipiche della zona di Honshu, vi guideranno verso i santuari dedicati a Inari. Vi basterà individuarle e provare a star loro dietro mentre partono a razzo verso l’orizzonte. Spesso si arrampicano su pareti rocciose, si infilano in pertugi tra le fronde o scendono lungo pendii scoscesi per arrivare finalmente all'ubicazione esatta dell’altare. Una volta pregato, Jin avrà a disposizione slot aggiuntivi per equipaggiare talismani e successivamente alcuni dei manufatti più potenti del gioco. Mi raccomando, dopo aver pregato, accarezzate l’animale che la maggior parte delle volte resta li in attesa di un vostro pat pat. Che dolcezza.

Giardini giapponesi e foreste di bamboo

Il rapporto tra i giapponesi e la natura è complesso e bellissimo. Ma probabilmente potremmo dirlo del rapporto tra i giapponesi e qualsiasi altra cosa. La loro cura maniacale unita all'eterogeneità dei paesaggi, alla ricchezza delle specie e ai colori straordinari delle piante ha trasformato i loro giardini e le loro foreste in alcuni dei posti più belli che abbia mai visto in vita mia.

Si va dalle incredibili foreste di bamboo, come quella di Arashiyama, dove il silenzio ti ammanta nonostante le frotte di turisti e il cielo è oscurato dalle fronde degli alberi che oscillano al vento, ai giardini super curati come il Koko-En di Himeji dove ho trascorso una giornata indimenticabile. Passati i torii che spesso indicano l’ingresso nelle foreste sacre, ci si trova a percorrere sentieri contornati da decine di lanterne di pietra che dettano il passo fino al tempio. Quello che vedete di seguito è il sentiero che porta al Kasuga Taisha di Nara, l’antichissima capitale giapponese.

Alcuni degli spot naturali più belli che ho visitato: in apertura il ponte di Nikko, sotto il Koko-En di Himeji, quindi la foresta di bamboo di Arashiyama e le lanterne di pietra di Nikko e di Nara.

Questi sono alcuni dei miei posti preferiti. Impossibile non innamorarsene e trottare con la bocca aperta (occhio ai ragni però, altrimenti sai che scorpacciata). Sono stato in Giappone due volte e in entrambe le occasioni durante il periodo autunnale, quindi quando i momiji si tingono di rosso. Durante la mia prima visita ho passeggiato nel bamboo grove di Arashiyama. Esperienza davvero surreale e profondamente zen. Sempre dal mio primo viaggio potete vedere le centinaia di lanterne di pietra che portano al santuario più famoso di Nara. Era il crepuscolo e vi assicuro che faceva un certo effetto trovarsi soli nel bel mezzo di una foresta sacra giapponese (leggi: mancava tanto così dal cagarsi sotto). Infine, direttamente dall'ultimo viaggio, le foto del giardino di Himeji, il Koko-en, che mi ha letteralmente fatto innamorare, e il famosissimo ponte Shinkyo di Nikko.

Ho trascorso un sacco di tempo nel gioco cercando di immortalare i raggi di luce che filtrano tra le chiome degli alberi. I paesaggi naturali di Ghost of Tsushima sono davvero meravigliosi.

Ghost of Tsushima è ricchissimo di paesaggi naturali opulenti, ipersaturi e a volte capaci di una delicatezza davvero commovente. Il titolo essenzialmente è una lista infinita di panorami lussureggianti che giocano coi colori dell’autunno: il giallo dei ginkgo, il rosso degli aceri, il bianco dei ciliegi, tappeti di foglie a terra e fittissime foreste di bamboo che ondeggiano in modo ipnotico. E poi ancora, piccoli cimiteri dove le tombe di pietra e le lanterne si alternano creando altari suggestivi, ponti sospesi su acque cristalline e giardini la cui composizione è studiata nei minimi particolari.

Nel dettaglio ci sono due spot che mi sono rimasti nel cuore entrambi nella tenuta dei Sakai, la famiglia di Jin. Un enorme acero all'ombra del quale il giovane samurai si allenava insieme allo zio (calpestando un tappeto di foglie rosse spesso tanto così) e un isolotto, dove si erge un unico ciliegio in fiore al centro di un grande lago.

Palazzi, castelli e pagode

Nel periodo in cui i samurai facevano il bello e il cattivo tempo imperversando per il Giappone, il castello, o meglio il palazzo dei daimyo, era il centro economico della regione. Nel corso dei secoli, man mano che le armate diventavano più numerose e il potere del signore cresceva, la fortezza è passata dall'essere un palazzone sulla cima della montagna a immense costruzioni come quelle di Osaka e Himeji. Io ho avuto la fortuna di visitare proprio il castello di Himeji, di accedere alla parte interna, e di poter entrare per ammirare le sale in legno, cercando di sopravvivere alle scale assassine che portavano da un piano all'altro. Talmente ripide e scivolose (specialmente scalzi!) che probabilmente sono la causa di morte numero uno tra i turisti.

Il babbeo che vedete in foto sono io, al centro il Castello dell’Airone Bianco in tutta la sua bellezza. A destra una pagoda del complesso Toshogu di Nikko.

Il palazzo visto dall'esterno è semplicemente colossale. Non ci sono altri aggettivi con cui poterlo descrivere. Non appena si esce dalla stazione di Himeji ce lo si trova davanti, stagliato contro l'orizzonte, bianco candido come un’immensa nuvola. Non a caso si chiama “Castello dell’Airone Bianco”. Mica pizza e fichi.

Prima di entrare si è ovviamente obbligati a togliersi le scarpe. L’esplorazione del castello è libera, non c’è un percorso obbligatorio. Non che ci sia molto da vedere al suo interno: le sale sono vuote, si procede risalendo i piani per arrivare in cima e godere della vista.

Il babbeo che vedete nella prima foto è Jin, poi alcune foto della fortezza di Lord Shimura e sotto la pagoda nella foresta dorata.

L’avventura di Jin in Ghost of Tsushima, ambientata ben prima che si erigessero i palazzi di cui sopra (considerate che le invasioni mongole risalgono più o meno al 1270 e i castelli di Himeji e Osaka sono stati costruiti secoli più tardi), è orfana di queste strutture maestose. Restano i complessi che ospitavano i signori feudali giapponesi, comunque imponenti perché dominano la valle dalla cima di montagne fortificate, e vengono utilizzati fondamentalmente comemilestone” tra un capitolo e l’altro, tra le zone della mappa.

Da sottolineare il ruolo delle pagode all’ombra delle quali si raccolgono comunità di personaggi tra cui fabbri, artigiani e monaci che spesso assegnano a Jin le missioni secondarie. Uno dei primissimi insediamenti che si visitano sorge proprio attorno a un’altissima pagoda che si distingue altissima nel cuore della foresta dorata. Sarà meta fissa per le ore successive perché qui si concentra la presenza dei vendor che permettono di potenziare l’equipaggiamento da samurai.

C’è tanto altro in Ghost of Tsushima che mi ha ricordato le mie esperienze giapponesi. Mi ha fatto sentire il sapore erboso del matcha in bocca e mi ha incantato con i giochi di luce che fa il sole filtrando tra le canne di bamboo. Ed è una roba francamente fuori di testa visto che Sucker Punch è americana che più americana non si può.

Ovviamente questo pezzo è anche un invito, appena sarà possibile, a visitare il Giappone (come abbiamo fatto io e Ilaria, e se vi siete persi i nostri viaggi ci sono una cinquantina di video abbondanti sul nostro canale youtube Red Edamame che potete recuperare). Certo, ora è un po’ un dramma visto che le frontiere sono chiuse, ma a prezzi decisamente più contenuti potete portarvi a casa Ghost of Tsushima. Avrete tra le mani un buon gioco e un’eccezionale ricostruzione romantica del Giappone feudale. Garantito al limone. Anzi al wasabi.

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Fabio Di Felice
Panino al salame

Qualche giorno fa ho pensato “dovrei proprio cambiare la bio del profilo” e poi eccoci qua: non avevo idea di cosa scriverci.