C’è un gioco nel gioco nel gioco Lost Judgment

Fabio Di Felice
Panino al salame
Published in
6 min readOct 20, 2021

Nel corso delle 40 ore che ci ho messo a finirlo, Lost Judgment è diventato il mio “Yakuza” preferito. Ha molta più identità rispetto al primo capitolo, sono state limate le cose che funzionavano meno e migliorate quelle che funzionavano di più. Tak è un protagonista immensamente migliore del personaggio tipo di Yakuza, e in generale tutto l’impianto narrativo è estremamente più realistico e plausibile rispetto alla serie principale. E poi la storia è tostissima: giustizia, risentimento, ambiguità morale. Pare uscita dalla trilogia della vendetta di Park Chan-wook e in special modo da Lady Vendetta. Però con le botte di Old boy.

Lei è una delle ragazze bullizzate a scuola.

Questa volta l’aspetto più sorprendente della produzione però non è l’eccezionale qualità della scrittura, la recitazione alle stelle o l’esaltazione del sistema di combattimento, quanto piuttosto il gioco a matrioska contenuto in una delle ambientazioni principali, il liceo Seiryo. La serie degli Yakuza è già ricchissima di attività secondarie: c’è il mahjong, il poker, il baseball, i cabinati SEGA, le corse dei droni… un botto di roba. Tanta, tantissima. Realizzata con discreta cura, totalmente opzionale, del tipo che potreste arrivare alla fine dell’avventura principale fregandovene e tirando dritti per la storia.

Nel caso di Lost Judgment però SEGA ha pensato bene di aggiungere un ulteriore strato di complessità, praticamente un gioco nel gioco: il Club del Mistero del Liceo Seiryo.

Amasawa insieme al suo mitico cagnolino.

Buona parte della vicenda principale è ambientata proprio all’interno della più classica delle scuole giapponesi. È una storia tosta, che parla di bullismo, suicidi, vendette, con toni molto forti al punto che a volte può risultare persino difficile da sopportare. Per indagare nella scuola, Yagami si fa assumere come consulente esterno del Club del Mistero. La presidentessa del club è una studentessa di nome Kyoko Amasawa, una sorta di incrocio folle tra Sherlock Holmes, John Watson e una idol giapponese. Nel giro di dieci minuti è diventata il mio personaggio preferito del gioco.

Amasawa vi chiederà di infiltrarvi all’interno dei dieci club scolastici del Seiryo al fine di impedire a un criminale che si fa chiamare “Il professore” (un richiamo al professor Moriarty di Conan Doyle) di portare gli studenti sulla cattiva strada. I dieci club scolastici hanno ognuno una storyline, dei protagonisti, dei rivali, spesso degli alberi delle abilità dedicate e, cosa più importante, un sistema di gioco totalmente diverso rispetto all’avventura principale. Rappresentano in tutto e per tutto dieci piccoli videogiochi a sé.

Poco prima della gara di ballo la tensione è alle stelle.

Per dire, nel club di ballo si procede vincendo le gare scolastiche contro gli altri team in un minigioco che richiama in tutto e per tutto Dance Dance Revolution. Ci sono diversi livelli di difficoltà, diversi outfit (che potete comprare in un negozietto a Yokohama) che modificano la partita, e perfino delle mosse speciali che incrementano il punteggio. Ci sono solo quattro canzoni, ma il sistema è studiato in modo così genuinamente divertente che ne avrei volute tante altre.

Il minigame di Robot Wars

Nel club di robotica si partecipa a una sorta di Robot Wars. Ve la ricordate la trasmissione che andava in onda su Italia 1 nei primi anni 2000? Ecco. Ci si può costruire un robot scegliendone il corpo, le armi, la mobilità e perfino il ruolo all’interno della squadra. Il minigame è riuscito (bisogna conquistare la plancia di gioco incastrando dei pezzi simil Tetris prima che lo faccia l’avversario), ma è un po’ minato dall’IA dei compagni al limite del tontolone. Fa paura comunque che una roba così complessa sia stata inserita all’interno di un altro titolo già stracompiuto di suo. Altrettanto assurdo per esempio è il club dello skateboard che trasforma Yagami in un epigono di Tony Hawk. Si può competere sfidando l’avversario a chi fa il punteggio più alto oppure a una sorta di Mario Kart su pista. Ci sono almeno almeno una dozzina di circuiti diversi. Sì, pazzesco.

Le corse in moto coi motociclisti pazzi.

E il club di motociclismo? Un altro gioco. In sella alla moto (ce ne sono quattro modelli, tutti personalizzabili), bisogna affrontare una corsa mortale contro un altro motociclista, eliminando prima gli scagnozzi a sportellate per poi tagliare il traguardo prima del boss. Anche qui il sistema è inedito e totalmente avulso dal resto del gioco. Stesso discorso per il club di boxe. Qui avrebbero potuto giocare facile, visto che per buona parte del gioco non fai altro che menare criminali, invece il gameplay della boxe è una roba che esiste solo all’interno di questa storyline: si schiva, si menano colpi, il gioco diventa una sorta di Fight Night ma molto più arcade. E c’è perfino un albero delle abilità aggiuntivo per migliorare i talenti da boxeur.

Il fighissimo minigame della boxe.

Alcuni club non sono così riusciti. Quello dell’e-sport, per esempio, vi vede semplicemente fare a cazzotti all’interno di Virtua Fighter 5. Che di per sé è incredibile, perché l’idea che all’interno di un videogioco possa esserci un altro videogioco completo è sempre una feature che mi fa scoppiare la testa, ma diciamo che da questo punto di vista la serie Yakuza ci ha già abituato bene, e che comunque basta andare in una delle sale giochi di Kamurocho per accedere al cabinato. Anche il club di fotografia non è niente di che (un brevissimo excursus alla Pokemon Snap, in cui devi scattare una foto al momento giusto catturando il soggetto in un dato momento). Comunque sempre un’altra reinterpretazione della formula di gioco in un pot-pourri di possibilità.

Gara tra skatebordisti.

Questi micro mondi sono perfettamente integrati poi all’interno di una trama parallela a quella principale, con dei protagonisti ricorrenti e delle tematiche che gira gira ruotano sempre attorno ai temi scottanti della vicenda: il bullismo, la difficile fase dell’adolescenza e della scoperta di sé, persino il conflitto molto sentito dalla società giapponese tra la passione e il dovere, tra ciò che vuoi fare della tua vita e ciò che la società si aspetta da te. E ripeto: tutto questo bordello di roba è un di più che non siete tenuti ad approfondire ma che se decidete di affrontare vi raddoppia la longevità del titolo. E sicuramente vi offre la sua parentesi più eclettica e sopra le righe.

Considerate infine che solitamente io salto alla bell’e meglio tutto il contorno negli Yakuza per dedicarmi alla storia. Adoro la scrittura di questi titoli, mi piacciono le tematiche, ne amo immensamente le tamarrate e i toni melodrammatici. Quindi cerco di mantenere l’esperienza più pura possibile, dedicandomi esclusivamente alla parte più cicciotta del titolo. Questa volta mi sento, senza alcun ombra di dubbio, di consigliarvi di provare questa storyline alternativa. Non vi dico di portarla a termine perché alcuni minigiochi sono lunghi e difficili (specie quello dei robot e la boxe) ma perlomeno dategli una chance perché immaginare, scrivere e realizzare tutti questi piccoli snack di gameplay totalmente diversi all’interno di un unico contenitore, merita senz’altro uno sguardo.

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Fabio Di Felice
Panino al salame

Qualche giorno fa ho pensato “dovrei proprio cambiare la bio del profilo” e poi eccoci qua: non avevo idea di cosa scriverci.