Di cosa parliamo quando parliamo d’amore in Nier Replicant

Fabio Di Felice
Panino al salame
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5 min readMay 5, 2021

Attenzione, c’è uno spoiler su una missione secondaria del gioco. Quella della donna del faro.

Sono nel pieno della terza e ultima (circa) run di Nier Replicant. Il mio unico precedente con la serie è stato un lungo, tormentato momento di passione con Nier Automata finito una volta, due volte e sto’, senza vedere il true ending. Siamo rimasti in buoni rapporti perché come fai a voler male a 2B (no, seriamente, come fai?) ma non ho ancora avuto modo di riprenderlo per sbloccare il vero finale. L’uscita di Replicant però è arrivata al momento giusto, con le release giapponesi un po’ scariche, la voglia di jrpg e la rinnovata determinazione di andare fino in fondo e vedere tutti e cinque i finali. L’obiettivo già dichiarato: ricominciare Automata subito dopo per un quadro d’insieme più chiaro e finalmente colmare la lacuna.

Ora, dicevamo, Replicant, trenta ore e tre run sul groppone. Mi piace o non ci avrei speso tanto tempo, non mi sarei infognato per sapere la “verità” e non avrei provato — senza successo — a spiegare a Ilaria la storia di tutto il baraccone messo in piedi da Yoko Taro. Ho finito per raccontarglielo attraverso frasi ermetiche tipo: “ecco, vedi, lui è lui, quella è la sorella ma 1400 anni dopo. Capito?”. Lei, che mi ama tanto, ha sorriso e annuito facendo finta di capire la mia incomprensibile spiegazione del non così incomprensibile plot del gioco.

Il protagonista deve salvare sua sorella che è molto malata. In mezzo l’apocalisse.

Ilaria mi sta ad ascoltare mentre le racconto di un mondo fatto di ombre, di bambole e di libri parlanti. Ed è proprio questa sua prova di immenso affetto che mi ha acceso la lampadina sul perché Nier Replicant mi sta piacendo così tanto. Perché è una delicata raccolta di poesie d’amore. Amore tra fratelli, amore tra amanti, tra genitori e figli, tra un uomo e il suo cane, tra ombre e robot, tra mostri ed esseri umani.

Di cosa parliamo quando parliamo d’amore? Se lo chiedeva Raymond Carver nell’omonima raccolta di racconti brevi, storie affilate, violente, controverse, suggerendo che probabilmente non lo sapremo mai considerata la natura sfuggente di un sentimento a volte subdolo, a volte meraviglioso.

Ecco, torniamo a Ilaria, che ogni tanto mi guarda giocare con curiosità, che fischietta le canzoni del gioco, che qualche volta mi fa domande su quello che succede a schermo. C’è un momento in cui Nier Replicant l’ha catturata nella sua rete spietata ed è questo qui.

Nel corso di una quest secondaria la vecchia guardiana del faro di Frontemare ti spedisce avanti e indietro da casa sua alla posta per recuperare le lettere che le manda il suo vecchio amore al di là del mare. Nel breve tempo in cui queste sostano nel tuo inventario, hai la possibilità di sbirciare cos’è che si dicono due ottuagenari innamorati e io, da bravo guardone, non ho perso occasione e ci ho ficcato il naso. Sono lettere piene di sentimento, addirittura fuori luogo vista l’età dei due. Ma questo sono io che a trent’anni penso che l’amore passionale abbia una data di scadenza. Di nuovo, di cosa parliamo quando parliamo d’amore? Bo.

La carriera da portalettere va avanti per due o tre volte finché l’anziana non si ammala e sul letto di morte esprime un ultimo desiderio: partire per rivedere il suo grande amore un’ultima volta. Sono lontani da moltissimi anni e si sono scritti ogni mese, ogni settimana, ogni giorno. Come fai a dirle di no? Subito dopo però il postino ti spiffera un’orribile verità e cioè che a scrivere le lettere sono stati lui e tutti gli abitanti di Frontemare perché il vero amante della donna del faro è morto un sacco di tempo fa. Le hanno scritte un po’ perché volevano tenerla al suo posto, lassù al faro — e dove la trovi un’altra sciroccata che se ne sta tutta sola a salvare gli uomini dispersi in mare — , e soprattutto per affetto. Una donna sola, che viveva unicamente per quelle lettere. E anzi, in quel momento il postino ti porge un ultimo messaggio per lei. Un pezzo di carta in cui l’uomo che la ama le dice che sta tornando per vederla. Per vederla morire, presumibilmente. E che lei non deve muoversi di lì.

Il postino l’ha scritta per farla morire serena. Per farla morire mantenendo l’illusione che la sua vita non sia stata una grande bugia. Il postino ti dà la lettera e ti chiede: conserverai la nostra storia o pensi che sia giusto confessarle la verità in punto di morte?

La casa nel faro dell’anziana.

Ecco. Potrebbe essere effettivamente un dilemma degno dei racconti di Carver. Però stavolta il finale devo sceglierlo io. Anzi, noi, perché come vi dicevo Ilaria ha seguito tutto. Lei vorrebbe mantenere la bugia. Che muoia, ‘sta vecchietta, ancora immersa nell’illusione che è stata la sua vita. D’altronde che senso ha sfilargliela da sotto il naso mentre tira le cuoia? Io, invece, che solo all’idea di mentire mi sento già il più infame dei complottisti di Frontemare, temo di lasciarmi sfuggire di bocca la verità. Che sappia, ‘sta vecchietta, che la sua vita è stata un’illusione. Che sia libera dalla bugia dell’amore a cui ha creduto per tutto questo tempo.

Di cosa parliamo quando parliamo d’amore? Di quello del postino e degli altri abitanti di Frontemare per la donna del faro? Dello stomaco che si torce a me e Ilaria nel momento in cui decido di spifferarle la verità in nome della libertà? O della donna del faro che mi confida che sì, lo sapeva da un po’ di tempo ormai che erano tutte balle, ma che era bello vivere pensando che anche nel dolore aveva attorno una comunità che le voleva bene? E per l’amor del cielo, mi dice prima di tirare l’ultimo respiro, promettimi che non dirai niente di questa conversazione. Che mentirai dicendo a tutti che sono morta credendo alla loro favola. Va bene, questa bugia posso dirla. Non so perché, ma questa sì.

L’epica di Nier Replicant è quella degli eroi che piangono, che si emozionano, che fanno scelte drastiche in nome di ciò in cui credono. Che a volte sembrano estreme, a volte irresponsabili o perfino pericolose. Che mettono in pericolo gli altri e la menzogna che chiamiamo mondo. Che in fin dei conti cercano a modo loro di rispondere alla domanda che mi ronza in testa da quando ho iniziato a scrivere il pezzo: di cosa parliamo quando parliamo d’amore?

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Fabio Di Felice
Panino al salame

Qualche giorno fa ho pensato “dovrei proprio cambiare la bio del profilo” e poi eccoci qua: non avevo idea di cosa scriverci.