Il mio primo mese con Xbox Series X e Game Pass Ultimate

Fabio Di Felice
Panino al salame
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7 min readOct 21, 2023

Tagliamo la testa al toro: com’è, fa’, che con tutti i cazzilli elettronici che hai a casa ti sei comprato pure una Series X? Hai vinto alla lotteria? Devi riciclare dei soldi sporchi? il business dei blog in cui scrivi una volta al mese è diventato incredibilmente redditizio?

In realtà, cari amici miei, è proprio il contrario. Non c’ho una lira e ho comprato una nuova Xbox in ottica di risparmio dal momento che tra novembre e marzo usciranno su Game Pass almeno una decina di titoli che avrei dovuto comprare a prezzo pieno su PlayStation. E con la casa nuova, le rate da pagare, la macchina che è più vecchia di me e il Nandino che sta male un giorno sì e l’altro pure, qua tocca ingegnarsi. Così ho approfittato dell’offerta in abbonamento All Access e buona notte al secchio. Adesso sono lì che riempio la mia lista dei “gioca dopo” e… be’, devo ammettere che è una pacchia.

In questo mese circa da possessore di una nuova Xbox ho giocato moltissimo, e perlopiù a roba che mi piace e mi sta piacendo. Devo ammettere di essere sempre stato lontano dal marchio Xbox, a parte la felice parentesi Xbox360, perché la maggior parte del mio tempo gioco a titoli giapponesi. Ma a conti fatti, carta canta, in meno di trenta giorni ho giocato 6 titoli e mezzo (ci sarebbe Forza Motorsport, ma ho fatto giusto qualche giro di pista) e tra questi c’è perfino la mia sorpresa dell’anno.

Ecco i titoli a cui ho giocato.

Bloodborne con un tocco di Bioshock?

Lies of P

Ecco, questa è la suddetta sorpresa dell’anno. Se avessi dovuto scommettere cinque euro su questo souls like ispirato al mondo di Pinocchio non lo avrei fatto.

Prima che uscisse ero molto scettico, dal momento che nessuno che non fosse From Software o Team Ninja è riuscito a dare giustizia a questa formula. E soprattutto perché ero un po’ indispettito del fatto che un team di coreani esordienti avesse avuto un’idea così geniale: prendere una delle favole italiane più famose al mondo e realizzare un’ambientazione steampunk, vintage e molto oscura. Possibile, mi dicevo, che qua in Italia non sia venuto in mente a nessuno? Sì, possibile.

Comunque non ci avrei scommesso una lira e poi è venuto fuori che Lies of P è una bomba atomica. Un miracolo su gambette di legno solidissime, che non si limita solo a sgraffignare estetica e meccaniche dai titoli From (su tutti evidentemente Bloodborne) ma prova anche a metterci del suo con un paio di idee niente male e qualche quality of life che forse andrebbe riproposto anche dai grossi del settore. L’ho finito in una trentina di ore, godendomi praticamente ogni aspetto. È un titolo curato, pulito e limpido. Non so come gli sia uscito fuori, dal momento che sono praticamente degli sconosciuti. Chapeau.

Vabe’, qua sono venuti pure troppo bene.

Hi-Fi Rush

Se un pochino seguite Mustacchi, il podcast che registro ogni martedì sera su Twitch, saprete che mi sono scagliato contro questo titolo di Tango Gameworks fin dall’annuncio. Il mio astio non aveva nulla a che fare con il titolo in sé, porino, quanto piuttosto con il fatto che l’unico studio giapponese in seno a Microsoft realizzasse un titolo con un’estetica da cartoon americano.

E quindi niente, sì, gliene ho dette di peste e corna nel corso dei mesi. Ora l’ho giocato e finito e devo ammettere che mi è anche piaciuto. Continuo a pensare che stilisticamente non si può vedere e che a volte mi sembrava di giocare con il tie-in di Ben 10, ma il core gameplay è interessante e divertente. Ha tutte le limitazioni di un titolo realizzato con un budget non proprio stellare, per esempio ha in playlist tipo 6 brani famosi, che per un rhythm game quasi totalmente basato su questo aspetto direi che sono un po’ pochini, e anche una certa ridondanza di livelli (esageratamente lunghi) e ambientazioni troppo “aziendali”. Però, ecco, lo si porta a termine in una decina di ore, è fresco e ha pure un doppiaggio italiano nemmeno male.

SerT, 2023.

Cocoon

Ho apprezzato Limbo all’uscita e amato alla follia Inside, quindi non potevo non giocare al nuovo titolo di Carisen. Devo dire che lì a Geometric Interactive probabilmente girano dei bei bomboni potenzianti perché Cocoon è lisergico ai massimi livelli. Mi viene perfino difficile raccontarvelo: nei panni di un uomo insetto si manipolano sfere colorate che in realtà sono degli universi che custodiscono al loro interno degli enigmi da risolvere. Suddetti enigmi richiedono di portare dentro alle sfere gli altri mondi, creando delle matriske di realtà le une dentro le altre. Ve l’avevo detto che è un casino.

Il gioco è super creativo e interessante. Ha dalla sua delle intuizioni di game design inedite e uniche, e riesce nell’incredibile magia di raccontarti queste meccaniche strambe senza una singola riga di testo. I tutorial, se così vogliamo chiamarli, sono diegetici, inseriti così a fondo nella narrazione da non esistere nemmeno. Così come The Witness, Cocoon semplicemente ti insegna un linguaggio base e poi lo arricchisce di passaggi e meccaniche più complesse fino a renderlo familiare. Una bellissima sensazione.

Ma risparmia quelle munizioni!

Signalis

Questo in teoria è proprio campo mio: un horror di fantascienza che si rifà ai classici PSX come Resident Evil e Silent Hill. Realizzato da un minuscolo team tedesco, con rimandi piuttosto forti alla letteratura di genere, alla filosofia nichilista (inevitabile) e con un’atmosfera cupa e soffocante. Si tratta perlopiù di un gioco basato su enigmi ambientali, raccolta di chiavi, piccoli puzzle da risolvere e qualche scontro che è meglio evitare vista la natura survival e le poche munizioni a disposizione.

Anche questo dura una manciata di ore, mi ha inquietato e intrattenuto, anzi direi che mi ha ossessionato per un paio di giorni e non vedevo l’ora di proseguire per arrivare al punto di questa narrazione così criptica. Quando l’ho finito però mi sono reso conto che il gioco utilizza quel vecchio trucchetto alla Nier Automata: il gioco termina ma ricominciando una nuova partita la storia prosegue. E devo dire che è un espediente narrativo che non mi piace per niente. Così, l’ho un attimo lasciato da parte, aspettando che mi torni voglia della mia “seconda run”. Quanti danni che hai fatto Yoko Ta’.

Quanti altrigiochi ti gasano con un fermo immagine?

Like a Dragon: Ishin!

Questo ce l’avevo in canna da un bel po’, lo avrei recuperato a due soldi su PlayStation ma…

Hai capito young Jerry Scotti?

Ci ho fatto ancora troppe poche ore per inserirlo coscientemente nella mia classifica degli Yakuza preferiti (chissà se riuscirà a scalfire la sacra triade: Yakuza 0, Lost Judgment, Yakuza: Like a Dragon). Al netto del fatto che è chiaramente un gioco di una decina di anni fa e che il glow up grafico gli ha fatto un gran bene, i sistemi sono chiaramente quelli ora scricchiolanti della generazione PlayStation 3. Questo spin-off è infatti un remake (?) dello spin-off uscito solo in Giappone dove i protagonisti della saga principale vengono trasformati in samurai e spadaccini durante l’epoca Edo. La storia mi sembra molto classica: una vicenda di vendetta e tradimenti, come al solito raccontata alla grandissima dal team di scrittori di Ryu Ga Gotoku Studio.

L’area di gioco da esplorare è nettamente più piccola e meno densa di attività secondarie rispetto ai capitoli originali e questo nelle prime ore si traduce in una narrazione più compatta e coerente. E non potrei chiedere di meglio. Ogni volta che gioco un titolo Yakuza mi sento a casa, ed è una sensazione dolce e piacevole.

(Tra l’altro se non li avete mai giocati sappiate che su Game Pass è presente l’intera serie, tranne i due Judgment)

Simulatore di copertine Urania? Sì.

Starfield

Oh, qua ti voglio. Il mio giudizio su Starfield, al netto della decina di ore che ci ho trascorso dentro, è ancora molto confuso. Lo trovo un gioco immensamente affascinante ma dall’identità complessa e divergente. È un simulatore di viaggi spaziali ma senza viaggi spaziali. Ti dà l’opportunità di esplorare migliaia di pianeti ma in realtà vorrebbe tenerti ancorato a quelli che dice lui, perché all’esterno regna il piattume e la noia del procedurale. Ti offre la più grande superficie calpestabile di tutti i titoli Bethesda ma ti costringe a saltellare da un pianeta all’altro, creando di fatto tanti piccoli set cinematografici, buoni per una storia e niente più.

Praticamente togliete da Skyrim e da Fallout tutto l’intorno, le foreste, i resti delle città, le caverne e le metropolitane e grosso modo avrete Starfield com’è ora: un concentrato di avventure e luoghi significativi che devi esplorare, conditi da un mucchio di spazio poco rilevante che non vuoi toccare nemmeno per sbaglio. Al di là di questo immenso problema, il resto funziona perché la struttura è quella granitica dei titoli Bethesda: lo shooting è divertente, è pieno di missioni, è anche capace di raccontarti situazioni interessanti.

Il problema è concettuale ma diventa inevitabilmente pratico quando l’unico viaggio che ti concedi è quello attraverso tre diversi menù per atterrare su un pianeta. Anche se poi una volta a terra sa regalarti dei momenti mozzafiato.

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Fabio Di Felice
Panino al salame

Qualche giorno fa ho pensato “dovrei proprio cambiare la bio del profilo” e poi eccoci qua: non avevo idea di cosa scriverci.