Keiichirō — Secret ending: Delitto e castigo

Fabio Di Felice
Panino al salame
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6 min readApr 9, 2024

Oltre settemila chilometri, due lingue con due alfabeti completamente diversi, politiche agli antipodi, una socialista, l’altra per secoli basata su un rigido sistema di caste, eppure nessun altro ha mai influenzato l’arte giapponese come hanno fatto i russi con la loro letteratura. Durante il periodo Meiji, che va dal 1868 al 1912, dopo migliaia di anni di isolamento dal resto del mondo, il Giappone scopre la letteratura mondiale. Come sarà un secolo più tardi con il boom dell’occulto, un fervore particolare si impossessa dei lettori e le grandi opere vengono tradotte un po’ tutte insieme. Per esempio nel 1844 arrivano sugli scaffali le traduzioni di Shakespeare e insieme a lui Goethe e Tolstoj. I giapponesi ficcano il naso tra le pagine dei libri, affascinati da storie e mondi così distanti, da vicende apparentemente inconciliabili eppure sorprendentemente affini al momento storico di profondo rinnovamento che stanno vivendo. Quando uno dei personaggi chiave dell’intellighenzia giapponese, Uchida Roan, critico e romanziere, legge per la prima volta Dostoevskij, un brivido lo percorre dalla testa ai piedi. Scriverà: «È stato come essere colpiti da un fulmine nel bel mezzo della steppa» (Numano, 2014). Futabatei Shimei, ovvero l’autore di Ukigumo (1887), il primo romanzo moderno della storia giapponese, è un profondo cultore della letteratura russa. Il suo libro è la pietra angolare su cui si fonderà la letteratura giapponese a venire. E si può dire che quella pietra è in buona parte sovietica.

Ma come diavolo è possibile che queste due culture così distanti si siano corteggiate in modo così spudorato? C’è un fattore determinante da tenere in considerazione quando ci si fa questa domanda. Fino a questo momento, in Giappone, i romanzi sono considerati poco più che un passatempo per donne e bambini (Britannica, 1998). Mancano di concretezza e spesso hanno come fondamento il kanzen chōaku, ovvero la morale classica secondo cui il malvagio viene punito e il virtuoso viene premiato. Manca quasi del tutto un elemento che invece i giapponesi ritrovano nella letteratura mondiale e in particolar modo in quella russa: il realismo. I russi come Dostoevskij fanno della loro scrittura un’arma contro la politica zarista. I loro sono testi politici, intrisi di forza eversiva, sono puntuali nell’osservazione, nell’analisi e perfino nella predizione dei fenomeni sociali in corso. Si tratta di un approccio totalmente diverso, che però si sposa perfettamente con l’atmosfera di cambiamento tipica della fine di un’era.

Questo concetto entrerà nelle teste di tutti i creativi giapponesi di qui in poi, così come la letteratura russa entrerà nei loro cuori. Per esempio, chiamando in causa Haruki Murakami, sicuramente uno dei romanzieri giapponesi più noti al mondo, è frequente sentirlo professare nelle interviste il suo amore per Dostoevskij (Numano, 2012). È noto che in adolescenza leggeva esclusivamente letteratura russa e che il suo libro preferito sia I fratelli Karamazov (1880). Nel corso degli anni è arrivato a leggerlo ben cinque volte. Un altro celebre appassionato di letteratura russa è Akira Kurosawa, maestro dell’arte cinematografica giapponese. Nel 1951 diresse un adattamento de L’idiota (1869) e dichiarò che Dostoevskij è stato «il migliore a trattare con sincerità l’esistenza umana» (Kamalakaran, 2020).

C’è un romanzo russo in particolare che fa girare la testa ai giapponesi: Delitto e castigo, scritto nel 1886 da Fëdor Dostoevskij. È un’opera capace di prenderti le budella e usarle per il salto della corda: viscerale, visionaria e anche profondamente morale. È la storia di un uomo che compie un duplice omicidio e che sprofonda in un inferno personale fatto di orribili visioni dettate da incolmabili sensi di colpa. Si tratta del libro preferito di Shimei (il primo romanziere moderno che dicevamo in apertura). Anche quella citazione di Roan che avete letto in apertura, quella del fulmine e della steppa, arriva proprio dopo la lettura di Delitto e castigo.

Ormai dovreste aver capito che spesso i giapponesi vivono queste passioni come una vera e propria ossessione. Delitto e castigo non fa eccezione: sono moltissimi per esempio gli adattamenti dell’opera, specialmente sotto forma di manga. Il più noto è sicuramente quello di Osamu Tezuka, il papà del manga, che lo adatta nel 1953. E, sempre come per il boom dell’occulto, anche il boom della letteratura russa — e in particolare di Delitto e castigo — ci ha regalato i suoi brividi giapponesi. Nel 1942 un ragazzo di 23 anni entra in una casa a Mabashi, nella prefettura di Gunma e, armato d’ascia come il protagonista del romanzo, uccide un’intera famiglia proprietaria di un banco dei pegni. Dirà di essersi ispirato all’idea di giustizia contenuta nel racconto di Dostoevskij. La vicenda è analizzata nel libro del 1986 検事の控室 (kenji no hikaeshitsu, traducibile come: sala d’attesa del procuratore), scritto da un procuratore distrettuale di Tokyo che fu coinvolto in una serie di casi di cronaca nera particolarmente noti in Giappone.

Senza ombra di dubbio però, quello che interessa a noi, è che ad aver afferrato perfettamente il senso questo romanzo immortale è stato un videogioco.

All’uscita di Keiichirō Toyama dal Team Silent nel 1999, i membri che sono rimasti si sentono praticamente orfani. È una situazione paradossale, perché il videogioco che hanno appena realizzato, ovvero Silent Hill, è un vero e proprio successo quasi senza precedenti. In pochi mesi è diventato l’altra pietra di paragone di un genere, lassù in alto insieme al cugino Resident Evil. Forse a Konami lo sanno, o forse no, ma sarà destinato a restarci per sempre. Nel frattempo però anche Resident Evil 2 è stato un trionfo commerciale e Capcom è quasi pronta a lanciare sul mercato il terzo capitolo del brand, tenendo fede a una tabella di marcia serratissima che ha visto la serie nascere e arrivare alla terza iterazione nel giro di tre anni scarsi. È inevitabile quindi che Konami raduni molto velocemente gli scampoli del Team Silent e chieda di realizzare un secondo capitolo. E in fretta. Perché c’è la volontà di testare se Silent Hill sia stato una felice casualità oppure una tangibile prova di talento.

L’uscita dal gruppo di Toyama, di Naoko Sato e di Isao Takahashi però è stata una botta difficile da assorbire. In particolare Toyama: come director, nonostante la poca esperienza, il suo lavoro si è riflesso su tutti gli aspetti del titolo. Sulla storia, sul design delle creature, sul look e sul feeling generale dell’opera. Nei quasi tre anni di lavorazione del primo Silent Hill, Keiichirō è stato l’essenza del progetto. Se prima il Team Silent era una squadra di reietti, ora è una squadra di reietti senza anima. E, a dirla tutta, senza alcuna idea per la realizzazione di un secondo capitolo. Quanto Takayoshi Sato, Masashi Tsuboyama e Akihiro Imamura, tre dei membri più anziani del team, si guardano in faccia, sanno che l’eventualità di realizzare un nuovo videogioco all’altezza del primo è lontana, quasi irraggiungibile. Dovranno tener testa a un progetto che è stato parimenti un colpo di genio e un colpo di fortuna. Inoltre dovranno farlo su un nuovo hardware, perché PlayStation 2 è alle porte.

Tormentato dalla paranoia di fallire, Takayoshi Sato ha un’illuminazione. Proprio quando non sa dove sbattere la testa per realizzare un background narrativo che sia intrigante e altrettanto crudo del primo capitolo, finisce per pensare a un libro che ha letto diversi anni prima, nei corsi di letteratura della Tama Art University: Delitto e castigo (Sato, 2005). Con quest’idea che rimbalza da una testa all’altra del team — che nel frattempo è quadruplicato passando dalle 15 alle 60 persone — inizia la produzione del sequel di Silent Hill, ovvero Silent Hill 2. Un videogioco (e un libro) su un uomo tormentato da un inconfessabile delitto che sprofonda nell’oscurità della sua anima, al punto di dar vita ai suoi incubi.

Questa è un’altra storia, lunga e altrettanto appassionante: è la storia di come il fallimento di un team possa portare alla realizzazione di uno dei survival horror più amati di sempre. Un videogioco che ancora oggi, a distanza di vent’anni dall’uscita, è una pietra di paragone non solo del genere, ma dell’intero medium. Ed è una storia che non racconteremo qui. È un nuovo inizio.

Leggi la storia completa della creazione di Silent Hill su:
Keiichiro. La vera storia del team di reietti che ha inventato Silent Hill

BIBLIOGRAFIA

Britannica (1998), Japanese Literature, britannica.com. Disponibile al sito: https://www.britannica.com/art/Japanese-literature/Modern-literature [Ultimo accesso 09/04/2024]

Kamalakaran Ajay (2020), La passione lunga una vita di Kurosawa per la Russia, Russia Beyond. Disponibile al sito: https://it.rbth.com/cultura/85136-la-passione-lunga-una-vita [Ultimo accesso 09/04/2024]

Numano Mitsuyoshi (2012), Haruki vs. Karamazov — The influence of the Great Russian Literature on COntemporary Japanese Writers, The Todai-Yale Initiative Lecture Series, Yale University.

Numano Mitsuyoshi (2014), The Role of Russian Literature in the Development of Modern Japanese Literature from the 1880’s to the Present: Some Remarks on Its Peculiarities, University of Tokyo.

Sato Takayoshi (2005), Interview with Takayoshi Sato — Silence is golden: Sato’s occidental journey, Gamasutra. Disponibile al link: https://www.silenthillmemories.net/creators/interviews/2005.08.23_sato_gamasutra_en.htm [Ultimo accesso 09/04/2024]

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Fabio Di Felice
Panino al salame

Qualche giorno fa ho pensato “dovrei proprio cambiare la bio del profilo” e poi eccoci qua: non avevo idea di cosa scriverci.