Natura in Pixel, un libro che mi ha fatto riflettere sulla forza e sull’amore della natura nei videogiochi

Fabio Di Felice
Panino al salame
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5 min readDec 30, 2023

In questi giorni di festa sono costretto a casa da una brutta febbre che con Ilaria ci siamo rimpallati almeno un paio di volte come regalo di Natale. Alterno momenti di delirio ad altri di lucidità e ho dedicato questi ultimi alla lettura di Natura in Pixel, un bellissimo progetto a cura di Chiara Ambrogio e Francesco Toniolo con il contributo di moltissimi autori e autrici. L’ho adorato per almeno un paio di motivi: il primo è umano, e cioè i proventi del libro saranno utilizzati per sostenere l’Oasi Lipu Bosco del Vignolo; il secondo è che contiene dei pezzi eccezionali.

Quello che ho sempre fatto su Panino è di cercare di raccontare i videogiochi trattandoli in maniera laterale, incastrati in tematiche più ampie, in modo che chiunque, anche chi non ne è particolarmente appassionato, possa trovare qualcosa in ciò che scrivo. I contributi che trovate in Natura in Pixel sono proprio così: il filo conduttore è il rapporto che abbiamo con l’ambiente e come spesso venga raccontato nel virtuale. Questo è lo spunto per analizzare opere, sensazioni, idee e suggestioni, gettare una luce tutta nuova su titoli che abbiamo amato o anche spingerci a rivalutarne altri che non abbiamo apprezzato particolarmente.

Devo ammettere con estremo rammarico di aver mancato il bando per partecipare. Starò più attento in futuro, perché mi sarebbe piaciuto moltissimo inviare un contributo al progetto. Prometto che drizzerò le antenne! Leggere il libro però mi ha fatto fare un paio di domande su come vedo io il rapporto tra natura e videogiochi e be’, prima di tutto, con grande senso di colpa.

Ricordo abbastanza bene questa scena di almeno venticinque anni fa. Eravamo in casa di un mio amico e stavamo giocando a un videogioco sulla primissima PlayStation. Avevamo dieci anni, forse undici. Infognati con le faccette a pochi centimetri dallo schermo, un CRT microscopico, forse un quindici pollici di quelli che si tenevano nelle camerette dei bambini. La mamma del mio amico entra in camera un po’ arrabbiata e, puntando il dito verso la finestra, ci fa: rimpiangerete queste belle giornate quando sarà inverno. Perché non spegnete i videogiochi e non andate fuori a giocare?

Gli indimenticabili tramonti di The Witcher 3.

Sinceramente sono passati troppi anni per ricordare la nostra risposta. Immagino che sia stata una bella alzata di spalle salvo poi tornare a rovinarci la vista sul minuscolo televisore. Il fatto è che quella è una frase che mi sono sentito ripetere così tanto spesso e a volte in modo così spiacevole che mi è entrata dentro. Nel mondo della mia infanzia un concetto escludeva l’altro: il virtuale era una cosa, la natura era un’altra. E in effetti, etimologicamente, virtuale si dice di qualcosa che è contrapposto al reale. Quindi per me il rapporto tra natura e virtuale era di assoluta antitesi. Da una parte c’erano le partite di calcio nel parco, le giornate in spiaggia, le passeggiate nei boschi e poi, in un altro lontanissimo universo, quel videogioco sulla piccolissima Mivar del mio amico.

Questo rapporto era destinato a cambiare con il tempo. Devo ammettere che a trentasette anni a volte ho ancora quel senso di colpa latente appiccicato addosso quando scelgo di videogiocare e fuori c’è una bella giornata. Immagino la mamma del mio amichetto, che ormai è una signora con i capelli bianchi bianchi e la faccia ancora più arrabbiata di prima, affacciarsi allo stipite della porta e puntare quel dito nodoso fuori dalla finestra. Ma nel frattempo grazie al progresso tecnologico e alla maggior cura che si investe nella creazione degli ambienti virtuali, certe geografie di pixel hanno ormai un’incredibile personalità.

I paesaggi di Death Stranding sono rimasti nel mio cuore.

Chi vi scrive è sempre stato un grande fan dell’idea del turismo virtuale. Nella serie Yakuza, lo sapete, non manco mai di camminare con nostalgia tra le vie di Kabukicho ricordando alcuni dei giorni più belli della mia vita, quelli trascorsi in Giappone nel 2017 e nel 2018. E in quasi ogni videogioco ormai ho preso l’abitudine di perdermi nelle foreste o concedermi passeggiate virtuali che rinfrancano lo spirito. L’esempio massimo probabilmente è il mio amato Death Stranding, dove nonostante una pletora di mezzi ipertecnologici a disposizione per accorciare le distanze tra una consegna e l’altra, a volte preferivo mettermi un paio di stivali nuovi in spalla e andare a piedi, calpestando chilometri e chilometri di erbetta fresca, sedendomi a osservare lo scorrere dei fiumi e le nuvole nel cielo. Ma non è l’unico esempio: in The Witcher 3 passavo più tempo con lo sguardo rivolto all’aria per vedere il tramonto che con la spada in mano. E alcuni dei ricordi più suggestivi legati a The Legend of Zelda: Breath of The Wild contemplano fili d’erba mossi dalla brezza e il suono delle fronde degli alberi che danzano al vento.

In Ghost of Tsushima la natura è una forza benevola: il vento indica la via per la prossima meta.

Mi sa che in questo eterno voler trovare qualcosa che i videogiochi mi hanno insegnato, quasi come se volessi legittimare l’uso smodato che ne faccio, questa volta è stata la natura a insegnarmi ad amare di più alcuni videogiochi. A interpretare sfumature di certi personaggi, a dotare titoli di un carattere romantico, nostalgico o decadente.

Per esempio, il più bel ricordo che ho di Ghost of Tsushima, videogioco nel quale ho passato una quantità di tempo imbarazzante a fotografare foreste di bambù, alberi di glicine o macchie dorate di ginko, è un particolare così prezioso che mi ha dato un brivido. Quando Jin Sakai, il nostro protagonista, cammina in un campo di giunchi, allunga sempre la mano per accarezzare l’estremità superiore delle piante e sentirle scorrere sotto al palmo. C’è una forza e un amore in quel gesto che da solo caratterizza il personaggio e un po’ anche l’opera di cui fa parte.

Vi ricordo che potete acquistare Natura in Pixel su Amazon, e che potete sostenere l’Oasi Lipu Bosco del Vignolo anche attraverso donazione diretta su www.lipu.it/dona specificando nella causale “Donazione a sostegno dell’Oasi Lupo Bosco del Vignolo”. Mentre sul sito di Francesco Toniolo potete avere tutte le informazioni sul libro e sulle donazioni.

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Fabio Di Felice
Panino al salame

Qualche giorno fa ho pensato “dovrei proprio cambiare la bio del profilo” e poi eccoci qua: non avevo idea di cosa scriverci.