Perché Alan Wake 2 è il miglior titolo che ho giocato quest’anno

Fabio Di Felice
Panino al salame
Published in
6 min readNov 7, 2023

È un anno unico per i videogiochi questo 2023. Sembra assurdo che non uno, non due ma ben tre titoli abbiano provato a mettere in discussione il concetto di creatività nel mondo delle produzioni ad alto budget, le stesse che solitamente lasciano ben poco spazio alle sperimentazioni. Nel corso degli ultimi 12 mesi, in maniera perfettamente cadenzata, abbiamo avuto The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom che ci ha permesso di plasmare il mondo di gioco secondo nostri desideri, Baldur’s Gate 3 che ci ha dato gli strumenti per replicare il potere interpretativo della fantasia e infine Alan Wake 2, che prende il concetto di narrativa nei videogiochi e lo piega ad angolazioni impossibili senza mai spezzarlo.

Alan Wake 2 è un thriller, un horror, un noir, un poliziesco e poi anche un musical. È drammatico, comico, weird, stramboide, onirico, divertente, terrorizzante, galvanizzante, allegro e triste. È la storia di un libro maledetto che è la storia di un film maledetto che è la storia di uno scrittore maledetto che è la storia di una canzone maledetta che è la storia di un videogioco maledetto che è la storia di un libro maledetto… e così via a risalire una catena infinita di rimandi, un gioco di specchi e illusioni sul rapporto tra autore e creazione, tra l’essere umano e il divino.

Certo, Remedy non è nuova a questi colpi di testa, né a discorsi sul potere della metareferenzialità e la stratificazione della realtà e della fiction. Nel 2001 Max Payne era covinto a un certo punto della sua discesa negli inferi della malavita di trovarsi all’interno di un videogioco. Alan Wake provava continuamente a trascendere il virtuale: all’interno della edizione limitata del gioco si trovava un libro scritto da un personaggio che Alan sognava ricorsivamente e che in qualche modo anticipava il finale del gioco. Quantum Break era totalmente basato sull’idea di una serie TV che era anche un videogioco che era anche una serie TV che era anche un videogioco. Control era la fusione di queste influenze, portate all’eccesso, trasformate in narrativa. A Remedy è sempre stata cara l’idea di alzare l’asticella di cosa si può raccontare e di come si può farlo.

Sovrapposizioni di video e videogioco, realtà e universi paralleli che si intrecciano.

Alan Wake 2 ha l’ambizioso compito non solo di raccogliere quest’eredità, questo gioco al rialzo ormai inafferrabile, ma di farlo secondo le regole del genere. Un concetto questo della coerenza narrativa caro allo stesso Alan, che durante la vicenda è sempre ben attento a muoversi nei confini della sua storia dell’orrore. Perché Alan Wake 2 è, prima di ogni altra cosa, un horror. Un horror d’autore, che pesca da altri horror d’autore.

Un interessante articolo sulla versione americana di IGN a cura di Simon Cardy sostiene che il titolo di Remedy è quanto di più vicino avremo mai a quel famoso Silent Hills in mano a Hideo Kojima. In effetti ci sono scelte estetiche e funzionali incredibilmente risonanti con Silent Hill: Bright Falls è un luogo di confine, una porta che si apre tra due mondi, quello reale e quello oscuro, dove tempo e spazio non hanno più importanza. Ma le vicinanze con il lavoro di Kojima sono anche concettuali: il PT, Playable Teaser, era totalmente costruito intorno al concetto di loop. Il giocatore era condannato a ripetere per l’eternità un percorso lungo un corridoio, mentre i fantasmi e le presenze lo divoravano. Alan Wake 2 fa un uso sapiente di questo topos: la ripetizione è l’essenza stessa della storia di Alan e di Saga. Si percorrono più e più volte gli stessi paesaggi, solo per vederli gradualmente cambiare, a volte accarezzati da un tramonto caldo e rassicurante, altre volte avvolti dalle tenebre, minacciosi e irriconoscibili.

L’influenza di Silent Hill è evidente.

Per quanto Silent Hill sia un’influenza chiara, però, ancora una volta lo stampino più evidente è il carattere eclettico di Twin Peaks e di David Lynch. Ne parleremo altrove, in un articolo dedicato, ma in Alan Wake 2 è l’atmosfera sospesa, onirica, notturna a farla da padrone. Un’opera di confine dove il genere è pura etichetta. Una montagna russa che alterna fasi in cui quasi spezzi il pad per la tensione a momenti in cui ridi di gusto perché Sam Lake appare sullo schermo per fare il buffone. Corridoi bui dove ogni rumore ti fa sussultare e parentesi di totale relax alla fine di ogni episodio, quando molli tutto per ascoltare le splendide chapter song che non sono mai soltanto canzoni: sono narrazione, perché a Bright Falls l’arte influenza la realtà che influenza l’arte che influenza la realtà.

Alan Wake 2 è comunque un titolo horror molto spaventoso.

Certo è che Alan Wake 2 non si limita a essere un’enorme strizzata d’occhio a David Lynch e a Twin Peaks, anche se palesemente ne rappresenta il più grande omaggio videoludico di sempre.

Capita davvero poco di frequente di citare il coraggio tra i pregi delle grosse produzioni videoludiche. Ancora più raramente capita di scrivere che non si sarebbe potuta raccontare una certa storia se non sotto forma di videogioco. Ci capita più spesso invece di dire che un videogioco è talmente incredibile dal punto di vista produttivo che “sembra un film”. Il coraggio, il fegato, è invece l’ingrediente base di produzioni più piccole come Her Story o Return of the Obra Dinn, opere che assumono un senso unico, perché la componente ludica aggiunge un layer che sarebbe impossibile replicare altrimenti. Una consapevolezza spesso scardinante, che mette in ombra tutto il resto.

Alan Wake 2 è totalmente diverso. La sovrapposizione di universi narrativi ma anche di strumenti narrativi è il suo punto focale. È la storia di una storia, dentro una storia: la parola scritta, la musica, il cinema e il videogioco si rincorrono continuamente, come mondi dentro mondi. C’è un momento in cui nei panni di Alan ci si può fermare in un cinema a vedere Nightless Night, un film perduto e oscuro, uno snuff movie dove l’attore protagonista, ovvero Sam Lake (ovvero lo scrittore che ha inventato lo scrittore Alan Wake), viene ucciso. Un altro momento in cui il mondo di Alan diventa un musical sulla sua vita che procede o si ferma a seconda di come ci si muove nel livello. La struttura del gioco si crea e si disfà sotto gli occhi del giocatore, ponendo il videogioco idealmente al vertice di questa cascata di opere le une dentro le altre. Idealmente, sì, perché in realtà non c’è una giusta chiave di lettura.

Sam Lake che fa Max Payne in Alan Wake 2.

Alan Wake 2 ha una gran voglia di sovvertire le regole, di inventare, di tradire le aspettative. È un po’ come Death Stranding prima di lui, che rivoluzionava gli open world trasformando lo spostamento, il viaggio, nel centro nevralgico dell’esperienza. Alan Wake 2 prende la struttura del TPS horror e ne ribalta l’equilibrio tra esplorazione e combattimento. È un survival horror dove si passa gran parte del tempo a risolvere enigmi ambientali, a raccogliere indizi, a esplorare. Si spara occasionalmente e mai con gusto, se non in un paio di frangenti che sono costruiti proprio per quello scopo.

Sarà forse la presenza di un autore così centrale, Kojima da una parte, Sam Lake dall’altra, ma probabilmente Death Stranding è stato l’ultimo gioco ad alto budget che mi aveva colpito così tanto prima di questo. Che mi aveva suggerito che c’è ancora un certo gusto nel non inseguire le previsioni del giocatore. Di provare a fargli cambiare prospettiva.

È un’ambizione pericolosa ma necessaria, che sfida il senso comune e le convenzioni, che può non piacere e può portare a errori clamorosi. Ma che va inseguita. E Alan Wake 2, pur con i suoi inevitabili inciampi, lo fa sempre con coraggio e con una voce inconfondibile. Per questo motivo non può essere che il mio gioco dell’anno.

--

--

Fabio Di Felice
Panino al salame

Qualche giorno fa ho pensato “dovrei proprio cambiare la bio del profilo” e poi eccoci qua: non avevo idea di cosa scriverci.