Qual è il vostro “videogioco della vita”?

Fabio Di Felice
Panino al salame
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5 min readJun 9, 2020

Ogni tanto il lunedì sera mi faccio una chiacchierata in live sul canale Twitch di IGN Italia nella trasmissione Nightline, condotta dall’amico shelteriano Davide Mancini. Da un po’ di tempo abbiamo iniziato questo format chiamato “i giochi dell’apocalisse” che sta intrippando un sacco di gente. In pratica questa è la premessa: il mondo sta per finire e dobbiamo scegliere 50 videogiochi da ficcare in un’astronave e spedire in orbita per salvare i migliori esponenti per ogni categoria. Ovviamente non ci si limita al semplice genere di appartenenza ma le categorie possono essere anche più concettuali tipo: “gioco con il miglior villain” o “gioco più importante”. A turno ognuno di noi ha il potere di compiere questa importantissima scelta che detterà la cultura videoludica di Eustachio47beta23, il bambino della colonia spaziale che sarà sottoposto alla Cura Ludovico.

Nell’episodio di ieri (che vi linko qui con piacere visto che sono state 3 ore super divertenti insieme a Mauro Ferrante e ad Andrea Basilio) mi è toccata una categoria per nulla banale: “il gioco della vita”. Non volevo dare una risposta scontata — avevo Death Stranding a fior di labbra da inizio live — e quindi ho cominciato a pensarci su.

L’interpretazione superficiale sarebbe stata: qual è il gioco che ha fatto da spartiacque nella mia vita, quello che mi è piaciuto più di tutti? La risposta sarebbe stata Final Fantasy 7, ma era troppo poco. Un altro strato della risposta poteva essere quello letterale: il gioco della vita è quello che meglio degli altri simula la vita umana, come in The Sims o in Animal Crossing. Questi titoli potevano essere degli ottimi esempi per insegnare a Eustachio47beta23 come funzionava la vita sulla Terra prima dell’apocalisse. Che se ti tolgono le scalette mentre nuoti in piscina crepi e che lavorerai tutta la vita per pagare il mutuo di casa. Ma io volevo andare ancora più in profondità. E qui è nato un ragionamento in cui vorrei coinvolgere anche voi lettori. Mi piacerebbe un sacco sapere la vostra.

L’interpretazione della categoria “gioco della vita” probabilmente la dice lunga su come vediamo l’esistenza, su cosa ci colpisce più profondamente, sulle nostre ossessioni. In questo senso, per quanto mi riguarda, ho pensato che il gioco che descrive meglio cosa significhi vivere è probabilmente quello che più degli altri è riuscito a darmi un’interpretazione convincente su cosa significhi morire.

Il buon vecchio Stephen King nel suo On Writing: Autobiografia di un mestiere scrive che ogni autore è legato a due o tre temi e che per tutta la sua carriera artistica ci sbatte contro costantemente. Secondo me è vero e volendo allargare il discorso all’intera umanità penso che ognuno di noi abbia le proprie ossessioni e che se le porti appresso in ogni contesto. Per quanto mi riguarda, dal momento in cui ho cominciato a scrivere, la mia è stata: cosa c’è dopo la morte? Per chi muore, certo, ma anche per chi resta. Quanto profondo, terribile e spaventoso è l’abisso che si spalanca nel cuore di chi resta dopo un trauma apparentemente insormontabile. Uno dei miei romanzi preferiti, infatti, è Pet Sematary che esplora le soffocanti e dolorose atmosfere di un lutto prematuro.

What Remains of Edith Finch sarebbe stata la mia prima risposta, ma sono contento che sia andata diversamente.

Dopo questo ragionamento il mio primo istinto sarebbe stato di rispondere What Remains of Edith Finch, che nel suo essere un’esperienza breve riesce perfettamente a porre l’accento sulle tematiche di lutto, di eredità e di ricambio generazionale. Solo che Edith Finch era già al sicuro sull’astronave, vincitore della categoria “gioco da lacrimoni”.

Ci ho pensato ancora un po’ e la scelta successiva è stata un titolo che mi perseguita all’incirca da vent’anni. Non è il mio gioco preferito, non è un gioco a cui rigiocherei a cuor leggero e nemmeno uno di quelli che consiglierei a chiunque, ma penso che nessun altro videogioco mi abbia raccontato il dolore di essere umani come Silent Hill 2.

I primi secondi di Silent Hill 2 sono impressi a fuoco nella memoria di una generazione di videogiocatori.

Sicuramente lo conoscete e non c’è bisogno che ve ne parli, ma una rinfrescata per sicurezza ve la do lo stesso. Silent Hill 2 è la storia di James Sunderlan, un uomo che riceve una lettera dalla moglie morta tre anni prima. Sulla lettera c’è scritto:

“Nei miei sogni agitati vedo quella città: Silent Hill. Mi avevi promesso che un giorno mi avresti riportato lì ma non l’hai mai fatto. Ora sono lì da sola, nel nostro posto speciale. E ti aspetto.”

Ora io il titolo non l’ho più toccato da quanto avevo tredici anni, ovvero dal 2001, anno in cui è uscito. Ricordo perfettamente però di aver sentito un peso sullo stomaco per settimane dopo averlo portato a termine con il finale “bad ending”, che in questo caso è — secondo la mia visione — l’unico davvero coerente.

Nel 2001 (e in realtà anche oggi) era impossibile trovare in altre produzioni di questo tipo temi come l’eutanasia, le molestie sessuali, il bullismo e la malattia. E Silent Hill 2 è uno di quei videogiochi che col tempo si colorano di sfumature che da ragazzino, alla prima passata, non hai notato e che coinvolgono la sessualità, la depressione e il sacrificio. Un racconto che ti mette nei panni di un antieroe, tale non perché moralmente sopra le righe ma perché totalmente umano: debole, vigliacco e bugiardo con se stesso. Una trovata potentissima che nel finale, durante la lettura di quella lettera straziante letta finalmente per intero, ti prendeva le budella e le portava a fare un giro.

Altra scelta possibile, stesse motivazioni, Silent Hill: Shattered Memories.

Su Silent Hill 2 si potrebbe aprire una parentesi infinita ma non lo farò perché voglio sentire anche voi. Posso però consigliarvi un podcast italiano, condotto dal mio amico Giuseppe Atria e con la partecipazione di Alessandro “Aku” Carboni e Gianluca Santillio dove la trilogia originale di Silent Hill viene raccontata alla grandissima.

Torniamo a noi: qual è quindi il vostro “gioco della vita” e soprattutto perché? Che interpretazione date alla domanda? Potete rispondere qua nei commenti o anche nei social. Mi raccomando, scavate bene.

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Fabio Di Felice
Panino al salame

Qualche giorno fa ho pensato “dovrei proprio cambiare la bio del profilo” e poi eccoci qua: non avevo idea di cosa scriverci.