Sentirsi troppo grande giocando a Persona 5 Striker

Fabio Di Felice
Panino al salame
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4 min readMar 10, 2021

Da adolescente mi giurai una cosa: mai e poi mai avrei provato nostalgia per quel periodo della mia vita. E così è stato.

Ero un ragazzo basso, cicciotto, introverso che pensava di essere più furbo degli altri e come ogni ragazzo basso, cicciotto, introverso, che pensa di essere più furbo degli altri ho vissuto malissimo quegli anni. Con un perenne senso di inadeguatezza, un brutto rapporto con la scuola, a rimuginare sui miei pensieri tragici e a raccontarmi quando fosse ingiusto il mondo che non si piegava al mio volere. L’adolescente standard insomma. Sono passato attraverso la pubertà a fatica, depresso, disconnesso, ancora troppo bambino quando tutti cominciavano a fare cose “da grande”. Avevo tanti amici, quello sì, per fortuna, ma non è un periodo che ricordo con piacere.

Avete capito che c’è un “ma” fin dalla seconda riga del pezzo. Ecco il “ma”: giocando a Persona 5 ho nostalgia della scuola, dell’amicizia totalizzante che si vive durante l’adolescenza e di quella — ahimè falsa — sicurezza che, nel bene o nel male, sarai destinato a cambiare il mondo.

Persona 5 Striker inizia poco dopo il finale di Persona 5.

Per quei tre che non sapessero cos’è Persona 5: si tratta di un jrpg ambientato in Giappone nel quale si vestono i panni di un liceale che combatte le ingiustizie della società. Il protagonista e i suoi amici possiedono il potere di entrare nell’inconscio degli adulti più corrotti e provocarne un “risveglio del cuore” obbligandoli a confessare le proprie malefatte. Il tutto condito da una buona dose di life sim: si studia, si affrontano gli esami, si tengono in piedi i rapporti con gli altri ragazzi, si esplora Tokyo e via discorrendo. Il titolo dura oltre cento ore, dense di avvenimenti, di personalità e di rapporti che, sebbene dall’animo molto giapponese (quindi formalmente rigidi per i nostri standard occidentali) ti scaldano il cuore. Questa illusione di umanità funziona perché Persona 5 è geniale nell’inserirti come componente fantasma all’interno di un gruppo di amici, di outsiders, talmente ricchi di dettagli da sembrare veri. Ecco una breve storia triste: ho giocato Persona 5 durante la quarantena dello scorso anno e a un certo punto mi sono reso conto che passavo più tempo a chattare con i ragazzi nel gioco (c’è una sorta di Whatsapp nel quale Ann, Ryuji, Makoto e gli altri si scambiano messaggi e foto) che con i miei amici veri. Questo vi dà l’idea di quanto sia potente l’illusione di amicizia che il gioco è in grado di costruire.

Ecco l’interfaccia della chat di gruppo in P5.

In questi giorni sto giocando al nuovo Persona 5 Striker, a tutti gli effetti un sequel in salsa action. Sinossi: è estate e i ragazzi organizzano un tour in camper lungo tutto il Giappone. Tappa dopo tappa continuano a dispensare giustizia smascherando quel mondo adulto, corrotto, insensibile che di lì a poco dovrebbe accoglierli.

Il paradosso è questo: interpreto un adolescente idealista che lotta a tutti gli effetti contro il me stesso reale. Quello che si è arreso al mondo sporco e infame; quello che a volte ne è entrato a far parte per mancanza di spina dorsale; quello che si è piegato ai compromessi per portarsi a casa la pagnotta. Quello che sogna poco e che lentamente, assorbito dai mille cazzi della vita, si fa scivolare tra le dita amicizie, momenti preziosi e speranze. Quello intrappolato nella routine. Perché in fin dei conti i mostri contro cui lottano i protagonisti di Persona 5 non sono solo concetti astratti come l’avidità, il mobbing, la prepotenza, il bullismo e il culto della personalità, ma anche chi si piega a questi comportamenti. Chi deve essere risvegliato strappandogli via la maschera.

L’uniforme da Ladri Fantasma, fa tanto Milord di Sailor Moon.

Infatti, quando i Ladri Fantasma entrano nei “palazzi” costruiti dall’inconscio degli adulti, trovano al loro interno un mucchio di ombre da combattere. Queste ombre sono uomini e donne comuni, esseri umani che fanno girare gli ingranaggi, che per colpa delle loro volontà spezzate alimentano l’ingiustizia sociale. Seguono le regole del loro carceriere segnalando gli intrusi, cercando di scacciarli, per fare in modo che le cose continuino a girare come è sempre stato. Oppure subiscono passivamente il sistema, perfette vittime sacrificali di un rito che non hanno la forza di contrastare. Sì, in fin dei conti siamo noi che abbiamo lavorato in nero, che non ci siamo fatti pagare gli straordinari, che abbiamo sputato sentenze, che non abbiamo pagato le tasse, che abbiamo giudicato gli altri, che ci siamo sentiti più furbi. Che aspettiamo i Ladri Fantasma sperando che raddrizzino quello che ci fa male.

Persona 5 è raccontato talmente bene che l’illusione di essere un ragazzo di diciott’anni che non vuole fare parte di un meccanismo destinato a stritolarlo è viva ed esaltante ma facendo un passo indietro la verità è una: e cioè che io (e forse anche tu che stai leggendo il pezzo) sono uno dei mob che si trovano nei dungeon del gioco.

(Piccola postilla piena di speranza: in Striker c’è un personaggio adulto che entra nei Ladri Fantasma. Ha 40 anni e sembra mio nonno in carriola ma che bello tornare a sperare che anche noi “vecchi” possiamo fare la differenza).

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Fabio Di Felice
Panino al salame

Qualche giorno fa ho pensato “dovrei proprio cambiare la bio del profilo” e poi eccoci qua: non avevo idea di cosa scriverci.