ho perso l’autore di questa vignetta. l’avevo trovata su medium qualche mese fa. qualcuno mi aiuta?

1. Come cominciare?

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Oh... davvero interessante Fate pure, ma... Fantastico: tu e tu potreste...

Questa vignetta esprime in modo molto spiritoso ed efficace quello che succede normalmente quando si è di fronte a una proposta informale di dar vita a una comunità “di intenti”. La grande maggioranza di adesioni sono formalmente entusiaste (davvero interessante...) in realtà esprimono un non detto molto chiaro: “bad”, che tradotto in modo esplicito vuol significare: “non mi interessa...”. Poi ci sono gli entusiasti veri, in genere già minoranza per definizione, che si suddividono in due sottogruppi. Nell’area gialla ci sono i consiglieri critici e con deludenti esperienze già vissute (fate pure, ma...) nell’area rossa ci sono invece gli “entusiasti veri” (Fantastico: tu e tu potreste....) tutti dediti ad elencare le cose che... gli altri sono tenuti a fare!

L’impegno richiesto per disegnare i percorsi assistenziali non è risolvibile utilizzando questo “collaudato” modello interpretativo delle proprie responsabilità. La condizione minima per permettere una aggregazione in grado di sviluppare una vera innovazione qualitativa nei processi assistenziali territoriali è la condivisione di un diverso modello di responsabilità, un modello in cui innanzitutto tutti gli attori dell’assistenza territoriale siano coinvolti in maniera significativa anche nella fase ideativa.

Le motivazioni su cui puntare possono essere ricercate in un equilibrio che consideri aspetti di varia natura, ovvero

- di natura formativa - di natura economica - di soddisfazione professionale

Alcuni esempi che farò via via forse permetteranno di capire meglio il senso di queste motivazioni cui faccio riferimento, ma la domanda cui intendo rispondere subito è un’altra:

Perché un medico pratico dovrebbe mettere al centro del suo interesse la definizione dei percorsi assistenziali?

Attualmente c’è una separazione netta tra due domini, quello delle attività formative e quello delle attività dedicate alla programmazione dei servizi.

La definizione dei percorsi assistenziali tradizionalmente (e inspiegabilmente) appartiene esclusivamente a questo secondo dominio.

Ma è davvero così? Queste due attività possono essere realmente separate, e le attività formative possono davvero ignorare la reale definizione di un percorso assistenziale in un dato territorio? E viceversa?

E ancora cosa significa davvero “programmare servizi”? In che cosa differisce “programmare servizi” da “definire percorsi assistenziali”?

Partiamo da un esempio, un problema affrontato quasi quotidianamente da tutti i pediatri: lo screening della displasia d’anca.

Chi programma servizi ha interesse che ci siano i pediatri che si occupano dello screening clinico, che ci sia un sufficiente numero di ecografisti in grado di eseguire l’ecografia e infine che ci sia un servizio di ortopedia in grado di accogliere i “casi”.

Chi si occupa di formazione (in modo “nobile”) ha interesse, al più che i pediatri “conoscano il problema”, siano in grado di fare lo screening clinico, ma non conosce spesso la realtà locale e programma le sue attività indipendentemente dagli ecografisti (che avranno un percorso di formazione diverso) e dagli ortopedici che potranno contare su percorsi formativi ancora diversi.

Ma qualcuno si occuperà del percorso assistenziale reale? Nella maggior parte dei casi, semplicemente no.

Che significa infatti occuparsi di un percorso assistenziale?

Innanzitutto accertarsi per esempio che:

(a) la visita del pediatra sia fatta seguendo alcuni standard, che sia ripetuta a certe età definite (eccetera)

(b) l’ecografista faccia l’ecografia e i suoi referti seguendo altri standard,

(c) l’ortopedico abbia un comportamento ben definito a seconda del problema che ha di fronte.

Ma chi si occupa nella realtà di tutto questo? E come cambia la “necessità di formazione” a seconda che gli standard (come sempre succede nella realtà) non siano ben definiti?

Proviamo a leggere insieme questo referto ecografico

(…)

Proviamo a confrontare questo referto con uno degli standard disponibili in letteratura sulla modalità con cui deve essere refertata una ecografia di anca.

Bene. Come cambia il bisogno formativo del pediatra se quello che abbiamo letto è il tipo di referto con cui deve confrontarsi abitualmente nel suo territorio?

E ancora: chi programma servizi può ignorare che il SSN paga un compenso per ecografie dell’anca così refertate?

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salvo fedele
Percorsi Assistenziali di “area pediatrica”

pediatra a Palermo; mi piace scrivere, ma cerco di non abusare di questo vizio per evitare di togliere tempo al… leggere (╯°□°)