Giornalisti video-maker: il futuro è dei “tuttofare”?

Caterina Panfili
Perugia Giovane
Published in
5 min readApr 7, 2019

In video veritas, scriverebbero i latini nel 2019.
Nell’era del web 3.0 i video sono indispensabili per catturare l’attenzione dello spettatore con immagini dirette, sintetiche e accattivanti. Fare un prodotto giornalistico con i video, dunque, funziona. E anzi, ad oggi, sembra la strada migliore soprattutto in un giornalismo che per continuare ad esistere deve evolversi continuamente.
A sostenerlo quattro giornalisti video-maker protagonisti del panel dal titolo:“In video veritas? Quattro storie di giornalisti e video maker” (qui e in fondo all’articolo il video integrale dell’incontro), presentato nella prima giornata dell’International Journalism Festival, in scena a Perugia da mercoledì 3 a domenica 7 aprile 2019.

Ma chi sono i giornalisti video-maker?
In una parola: i tuttofare. Coloro, cioè, che trasportano la loro redazione in spalla e con una camera adatta ad ogni esigenza, un microfono ed un pc hanno le competenze per riuscire ad essere giornalisti, tecnici e registi nella stessa giornata per consegnare alla testata un prodotto giornalistico finito fatto di testo, voce e montaggio. Un lavoro ancora più impegnativo in cui a dover essere organizzata al meglio è sia la parte giornalistica che quella tecnica.
E’ finita l’era delle popolose troup televisive che spostandosi costavano alla redazione migliaia di euro. Oggi chi trova lavoro nelle sale stampa è chi è completo sotto più punti di vista.
A sostenerlo a gran voce Simona Berterame di Fanpage.it, Fabio Butera giornalista e film-maker freelance, Manolo Lanaro del Fatto Quotidiano e Antonio Nasso, video-giornalista e documentarista. Ognuno di loro si è presentato al pubblico con un proprio prodotto: un filmato che tratta di uno specifico tema dando il via ad un evento da molteplici riflessioni.

Simona Berterame, per Fanpage.it, ha analizzato i casi di bulimia e anoressia fomentati dalla partecipazione a gruppi online dal nome “Pro Ana” e “Pro Mia” creati appositamente per istigare alle malattie del disturbo alimentare. Vere e proprie community di cui si entra a far parte rispettando regole assurde e in cui ci si scambiano consigli ed incoraggiamenti per assumere il minor numero di calorie al giorno.

Fabio Butera, invece, ha documentato la sua esperienza romana da ciclofattorino per il noto sito di consegne Deliveroo, filmata quotidianatamente con una go-pro che, in sella alla sua bicicletta, ha ripreso ben 100 ore, poi riassunte per Repubblica.tv.
“Tutti parlavano di questa piattaforma ma nessuno aveva ancora analizzato il vero lavoro dei ciclo fattorini, chiamati rider — ha spiegato Butera — e così per un mese sono entrato a farne parte. Iniziare a lavorarci è semplice: basta avere una bicicletta, uno smartphone, collegarsi al sito e attendere che l’algoritmo dell’applicazione inizi ad incrociare la propria posizione gps con le richieste di consegna di cibo dai ristoranti della città. Della sicurezza per i dipendenti tanto millantanta online, però, poche tracce nell’esperienza reale dato che, all’inizio del lavoro, non viene richiesto nessun certificato medico nonostante ciascuno può trascorrere in bicicletta anche 12 ore”, ha raccontato il giornalista video maker.
Una ricerca pubblicata dal Daily Telegraph, a settembre 2017 ha calcolato che i riders di Deliveroo erano 30.000 in tutto il mondo. Nessuno di loro ha orari prestabiliti, ognuno è artefice del proprio contratto. Come? Semplice, più si lavora, più si guadagna. Meglio ancora se lo si fa nelle serate del weekend. Un lavoro non flessibile, dunque, a dispetto di ciò che si sponsorizza.
I ciclo fattorini del venerdì, sabato e domenica sera acquisiscono più punti in classifica e hanno quindi più possibilità di essere contattati dai clienti frequentemente. Ogni consegna vale 5 euro, pagati con un conto inglese che permette di pagare meno tasse, ma dal cui totale va detratta l’iva.
“Più o meno quanto guadagna un giornalista per un pezzo”, afferma Fabio Butera senza ironizzare troppo.

Antonio Nasso, sostenitore convinto dell’attenzione all’efficacia piuttosto che alla lunghezza, ha invece realizzato per Repubblica.tv un reportage di 40 minuti sulle barriere interne di Cipro, in Grecia, affermando un anacronismo tra il mondo digitale interconnesso e libero da ogni rete e le barriere tecnologiche poste dalle politiche interne cipriote.
A quasi 30 anni dalla caduta del muro di Berlino, in Europa c’è ancora un muro che da 44 anni resiste anche al nuovo millennio. Nasso ha deciso di soffermarsi qui, ai check-point militari capaci di dividere anche le storie d’amore tra uomini e donne che hanno come unica colpa quella di essere nati nella Repubblica di Cipro Sud, guidato dai greco-ciprioti, piuttosto che nella Repubblica di Cipro del Nord, condotta dai turco-ciprioti.
Parlando della sua professione, durante l’incontro targato #ijf19, ha definito fondamentale sia l’utilzzo dei social che il saper scegliere l’attrezzatura più consona da utilizzare nei vari servizi, consigliando anche di imparare a ricorrere ad escamotage qualora il video fosse molto lungo e ad integrare le immagini riprese con la reflex con quelle del cellulare per conferire più naturalezza al girato.

https://video.repubblica.it/mondo/filo-spinato-militari-e-check-point-vivere-separati-a-cipro-nell-ultima-capitale-divisa-d-europa/310763/311400?refresh_ce

Infine, Manolo Lanaro a gennaio 2019 per ilfattoquotidiano.it ha unito la politica al caso di Giulio Regeni raccogliendo in un solo prodotto il punto di vista dei presidenti e dei principali esponenti del governo sulla questione: da Renzi a Gentiloni, da Salvini a Di Maio, da Conte a Roberto Fico: unico finora, quest’ultimo, ad aver concretamente sostenuto la famiglia del ricercatore italiano interrompendo i rapporti tra la Camera dei deputati italiana e il parlamento egiziano.
L’Italia, dal 2016, chiede verità per Giulio Regeni. Lanaro si è interrogato sull’operato della politica, in un momento in cui la distanza tra le parole e i risultati è sotto gli occhi di tutti.

Tutti e quattro fanno parte dell’associazione nazionale giornalisti video maker, GVPRESS, e possono essere seguiti sul loro canale Facebook ed Instagram.

Tutti e quattro condividono alcuni capisaldi: il primo è che ad essere vincente, in un prodotto giornalistico, è l’idea. Il secondo è che nella consapevolezza di un giornalismo che sta cambiando, l’imperativo è andare nella direzione che sta prendendo per non continuare a sfruttare giornalisti, che magari riescono a produrre anche 5 servizi al giorno, continuando a chiamarli collaboratori. Questo è essenziale per un giovane che intraprende quest’avventura e si auspica possa divenire un lavoro.

Consigli per gli aspiranti giornalisti?
Diventare giornalisti video-maker.
Essere curiosi ed appassionati.
Seguire un tema originale ed intrigante, filmarlo, approfondirlo e confezionare un prodotto giornalistico finito per inviarlo alle varie testate.
Il tutto innovandosi continuamente per non perdere mai il passo con il linguaggio-video in continua evoluzione.

Chi vuole, può.

--

--

Caterina Panfili
Perugia Giovane

Il mio sogno? Scrivere. La mia passione? Comunicare. Tra 10 anni mi vedo davanti ad un pc a raccontarvi storie. Laurata in comunicazione ora studio Com Digitale