Balcani: l’Italia stia in campo

Piero Fassino
Piero Fassino Official
4 min readJul 18, 2019

Quando 24 anni fa con la pace di Dayton si mise fine alle guerre balcaniche — le uniche guerre conosciuta dall’Europa dal ’45 ad oggi — e si riconobbero le nuove nazioni indipendenti sorte sulle ceneri della Jugoslavia, la comunità internazionale indicò nella loro integrazione nelle istituzioni euro-atlantiche l’obiettivo strategico per dare stabilità e sicurezza alla regione. Una regione — è bene ricordarlo — di “cerniera”: punto di incontro/scontro tra est e ovest, per secoli terra di invasioni, luogo di coesistenza difficile tra cristianità — cattolica e ortodossa- e mondo musulmano, crogiuolo di popoli e nazionalità e per questo esposta a continue conflittualità, da cui il termine “balcanizzazione” a indicare una condizione di frammentazione conflittuale.

Di fronte a una identità così complessa spesso sorge la domanda “ma perché dobbiamo integrare paesi così rischiosi ?” La risposta sta nelle cose. È l’integrazione europea che può ancorare stabilmente la Serbia all’Europa, sanando la ferita dei bombardamenti Nato del ’99. E’ la prospettiva dell’integrazione che ha spinto Atene e Skoplje all’accordo sulla denominazione “Nord Macedonia”. Belgrado e Pristina sanno che per entrare in Europa devono la normalizzazione i loro rapporti. L’integrazione è essenziale perché la Bosnia Erzegovina consolidi la sua identità statuale pluricomunitaria, sempre esposta a rischi di separazioni. Ed è l’integrazione che può offrire all’Albania la possibilità superare la aspra conflittualità interna. E integrazione comporta l’adozione di standard europei essenziali per la tutela delle tante minoranze che vivono nei Balcani.

D’altra parte il percorso di integrazione è stato avviato. Dal Consiglio Europeo di Salonicco (2003) fino alla adozione della “Strategia per l’integrazione dei Balcani occidentali” (2018), l’UE ha ripetutamente dichiarato di voler l’inclusione della regione. E dopo aver integrato Slovenia, Bulgaria, Romania e Croazia, ha avviato i negoziati con Serbia e Montenegro, ha accolto la richiesta di aprirli di Albania e Macedonia (e su cui il Consiglio Europeo si è impegnato a decidere a ottobre) e ha riconosciuto a Bosnia e Kossovo il titolo di “potenziali candidati” subordinando i successivi passi alla loro stabilizzazione politica.

A sua volta la NATO ha aperto le sue porte a Slovenia, Croazia, Albania, Montenegro e quest’anno a Nord Macedonia. In funzione dell’integrazione è stata rilanciata l’Iniziativa Centro Europea (Ince) che include tutti i 18 Paesi dell’Europa centrale e sudorientale. Nel 2000, promossa dall’Italia, è nata l’Iniziativa Adriatico-Ionica. Da ultimo si è attivato il “Processo di Berlino”.

Tuttavia, la crisi economica che ha colpito l’Europa e le molte turbolenze vissute in questi anni dall’Unione Europea — da Brexit alle spinte centrifughe dei Paesi di Visegrad, dalla crisi ucraina alla emergenza migranti — hanno via via dilazionato l’accoglimento delle nazioni balcaniche a tempi indefiniti e l’Unione continua a oscillare tra promesse di adesione e indeterminatezza di decisioni.

Le negative conseguenze di questa assenza di certezze sono già oggi visibili. Delusione e frustrazione si manifestano tanto nelle cancellerie dei Paesi balcanici quanto nelle loro opinioni pubbliche, favorendo il riemergere di pulsioni nazionalistiche che già tante tragedie hanno provocato in quelle terre. Ne’ va mai dimenticato che i Balcani si affacciano su quel Mediterraneo percorso da molteplici crisi. Peraltro la crescente presenza di Russia, Cina e Turchia sottolinea l’ importanza della regione negli equilibri geopolitici del Sudeuropa e del Mediterraneo.

Per l’Italia in particolare i Balcani sono un’area di interesse strategico. Fin dal 1995 il nostro Paese ha contribuito alla missione di stabilizzazione K-For (di cui abbiamo oggi la guida ). Siamo il secondo partner commerciale della regione, il primo per stock di investimenti e un export di 6 miliardi di euro. Lungo i Balcani corrono flussi migratori che approdano in parte in Italia e richiedono strategie condivise di governo delle migrazioni e di contrasto al traffico di migranti. L’Italia — come recita la Risoluzione approvata all’unanimità nelle scorse settimane in Commissione Esteri della Camera — è dunque chiamata a svolgere il ruolo di partner dei Paesi balcanici, accompagnandoli nel loro percorso di integrazione. E non si comprenderebbe davvero un atteggiamento reticente da parte del nostro Paese, con l’unica conseguenza di consegnare la regia ad altri paesi europei.

E invece tocca all’Italia battersi perché l’Unione Europea esca dalle sue incertezze, indicando una road map, gli step progressivi, le modalità (anche innovandole) e i tempi con cui dare risposta alle aspirazioni di integrazione di quei popoli. A 100 anni dalla prima guerra mondiale — che proprio a Sarajevo ebbe la sua miccia esplosiva — e’ tempo che i Balcani siano e si sentano parte integrante della famiglia europea.

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Piero Fassino
Piero Fassino Official

Deputato del Pd e vicepresidente Commissione Esteri e membro Consiglio d’Europa. Presiede il CeSPI. Ultimi libri: Pd Davvero (2017) e Tav, perché si (2018).