I migranti, il dumping e i poveri
Leggevo l’altro giorno che tra i raccoglitori d’uva a giornata quest’anno è scoppiata una doppia conflittualità: i braccianti italiani contro gli stagionali provenienti dalla Bulgaria e dalla Macedonia (che accettano paghe sotto i 4–5 euro l’ora), ma anche gli stagionali dell’est contro gli immigrati africani che stanno nei centri d’accoglienza: i quali, avendo vitto e alloggio gratuiti, ne accettano pure due e mezzo, di euro all’ora.
Non è un fenomeno nuovissimo, il dumping salariale determinato dalle migrazioni, e già da tempo ha colpito altri settori lavorativi: dall’edilizia a quello delle domestiche e badanti, per esempio.
È evidente che il primo effetto di questo dumping è una guerra tra poveri, quella su cui soffia robustamente Salvini per accrescere i suoi consensi.
Il secondo effetto è il convincimento sempre più diffuso (specie nel mondo pentastellato ma serpeggiante anche in parte della sinistra) che l’accoglienza verso i migranti sia un deliberato disegno delle élite economiche per creare un “esercito industriale di riserva”: insomma per abbassare all’infinito le paghe, dato lo smisurato aumento di lavoratori disposti a prendere pochissimo senza nemmeno bisogno di esternalizzare le produzioni.
Questa convinzione è ragionevole ma un po’ ideologica e, nel 2015, semplificatoria. Le migrazioni sono un fenomeno con ciclopiche e globali cause strutturali, tecnologiche, geopolitiche, belliche, religiose e talvolta perfino ambientali-meteorologiche: mica un disegno a tavolino dei padroncini nostrani. Tuttavia essa viene rafforzata nel cuore di molti da un ulteriore dato di realtà, oltre al dumping: a subire le conseguenze problematiche dell’immigrazione non sono quasi mai i quartieri benestanti, ma quelli periferici, dove vengono sistemati i centri di accoglienza o dove semplicemente gli immigrati vanno a vivere in massa, non potendo certo permettersi la cerchia dei Navigli o il rione Monti.
Il risultato concreto è che è molto più facile schierarsi a favore dell’accoglienza se grazie alla tua posizione sociale non subisci gli effetti del dumping salariale e se per la stessa fortuna vivi appunto dentro la cerchia dei Navigli o al rione Monti (anziché a Casal San Nicola o in fondo a via Padova).
Detto tutto ciò, non è affatto strano che gli avversari dell’accoglienza siano più diffusi tra i ceti più bassi: dove si insinua facilmente, quando non c’è un minimo di alfabetizzazione culturale ed etica, anche il veleno del razzismo, per quanto coperto (“Non sono razzista, ma…”),
Ora, tutto ciò porta a un paio di opzioni possibili.
La prima è, appunto quella che per semplicità chiameremo opzione Salvini-Orban: mettere muri e fili spinati per guadagnare consensi. Soluzione non solo eticamente ributtante, ma anche praticamente destinata a fallire: la paura di quei fili spinati sarà sempre minore della disperazione che porta milioni di persone ad andar via dalle loro terre, guerre o non guerre (by the way, sapete che quest’estate tra Kenya e corno d’Africa ha piovuto pochissimo, insomma oltre dieci milioni di persone sono a rischio siccità e fame, perciò presto scapperanno di lì, e tecnicamente molti di loro non saranno profughi quindi in teoria dovremmo rimandarli a morire di fame?).
La seconda opzione è quella che con altrettanta semplificazione chiameremo Renzi-Alfano: l’importante è accogliere in qualche modo, salvare vite, evitare altre foto di Aylan, fare mense e donare abiti, poi per il resto vedremo. Di certo questa scelta è assai più umana e anche più realistica, dato che non si ferma il vento con le mani: diciamo che è il minimo igienico, per chi ha uno straccio di consapevolezza e di coscienza. Tuttavia è un’opzione che, se non va oltre, porta con sé l’effetto di accentuare il suddetto dumping salariale (che conviene all’upper class nostrana, ormai spostatasi da Berlusconi a Renzi).
Poi c’è quello che invece non conviene né a Salvini (perderebbe la sua ragion d’essere) né all’upper class renzizzata: cioè gestire l’immigrazione anche con norme sociali, quelle che possono impedire il dumping e il resto.
Ad esempio, con la paga oraria minima (che in Italia non esiste, caso quasi unico tra i Paesi occidentali) accompagnata da sanzioni durissime per chi la viola; con i controlli a tappeto sul territorio contro il lavoro nero (più che tollerato, ormai proprio istituzionalizzato in molte regioni d’Italia); rendendo dignitose le condizioni di vita e di mobilità delle periferie (abbandonate da tempo, almeno qui a Roma); investendo nell’edilizia pubblica popolare nella quale siamo stati eccellenti in passato (Dio benedica le inimitate “case Fanfani”); distribuendo piccoli centri di accoglienza e integrazione in tutti i quartieri, anziché ammassare i nuovi arrivati in quelli periferici e popolari.
Eccetera eccetera, la lista è lunga. La lista di cose da fare per provare ad affrontare con giustizia e onestà intellettuale una questione epocale e gigantesca, dico: che nessuno può pensare di risolvere ma che di certo non finisce il giorno dell’accoglienza.
Anzi, comincia proprio quel giorno: se non vogliamo finire bestie come Salvini o altrettanto bestie nel foraggiare il dumping salariale e le guerre tra poveri.
Originally published at gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it on September 5, 2015.