La trasmutazione del tempo. Enoteca Pinchiorri Firenze
Il tempio dell’alta cucina di Giorgio Pinchiorri e Annie Féolde, con chef Riccardo Monco trascende i concetti di tempo e genere per una dimensione esperienziale ultra appagante
L’intersezione fra presente e passato è un concetto che si sgretola di fronte a certi scenari, come ad esempio quello che si materializza dopo aver superato la soglia di Palazzo Jacometti-Cioffi ed essere entrati all’Enoteca Pinchiorri. Riflessioni su classicità e contemporaneità perdono di significato di fronte a questo tempio dell’alta cucina mondiale.La cui visione trapassa la cognizione di tempo per prediligere una dimensione esperienziale che appaghi all’ennesima potenza.La haute cuisine dovrebbe fare propria l’estetica della sociologa Nathalie Heinich secondo la quale l’arte dovrebbe abolire la temporalità dei generi artistici e concepire, nel mondo attuale, l’esistenza simultanea di arte contemporanea, moderna e classica. Che non dovrebbero esigere l’esclusività ma coesistere senza escludersi l’un l’altra.
L’identità dell’Enoteca Pinchiorri è la fusione di una squadra che racchiude i fondatori Giorgio Pinchiorri e Annie Féolde, i condottieri della brigata chef Riccardo Monco, presente da quasi venticinque anni, e chef Alessandro Della Tommasina, ingresso più recente con cui si è generata da subito una compiuta sintonia.
Dall’accoglienza, al servizio, alle pietanze, ogni tassello è contrassegnato da una morbida perfezione. Che è sempre costante e inappuntabile, ma non lo dà a vedere. Perché si ammanta di una atmosfera leggera che avvolge l’ospite in un magico stato di benessere produttore di endorfine.
Il compito dell’accoglienza gustativa spetta ai salatini, che abbiamo il privilegio di gustare in cucina, in un angolo del passe che Riccardo e Alessandro ci hanno riservato per una manciata di minuti. Per scambiare qualche chiacchiera sui nuovi piatti e sul rinnovato laboratorio di pasticceria fresco di ristrutturazione e conduzione, del nuovo pastry chef Francesco Federici. Fra un bocconcino alla pizzaiola, farcito crudo, che si gonfia intorno alla salsa di pomodoro durante la cottura ed essere spolverizzato poi di origano; una sfoglia fritta di tempura con un burro alla barbabietola e una foglia che ricalca quella d’acero.
Si gusta come un lollipop lo sgombro in tempura di nero di seppia già intinto in una fine salsa rouille, dove lo zafferano arrotonda una base di maionese. Un ultimo assaggio, il bicchierino di ragù di mora con spuma di patate e, accompagnati dal direttore di sala Alessandro Tomberli, ci avviamo al nostro tavolo lasciando gli chef e la brigata di giovanissimi, alla produzione di manufatti generatori di felicità. Ed proprio quella che si legge nei volti degli occupanti dei tavoli, mentre attraversiamo le sale al completo, e che si percepisce dal leggero e gioviale bisbiglio diffuso, che si bilancia giusto qualche tono sotto le note del pianoforte.
Al tavolo ci accoglie la consistenza burrosa della ventresca di ricciola e quella voluttuosa dei funghi, entrambi sott’olio.
Da sùggere da un calice di olivo, la sfera di gelatina di barbabietola e olive taggiasche guizza sul palato con picchi terrosi e vegetali.Una sinestesia mutevole accompagna la sottile cagliata di latte vaccino a cui il ravanello all’agro aggiunge rintocchi aciduli, mentre il grano arso contenuto nella base della coppa del latticino emana il suo aroma tostato e amaro.
La mazzancolla viene cotta alla plancia avvinghiata al lardo di Colonnata, con lo scalogno in scapece a graffiarne la grassezza e la salsa allo zafferano a mediare la dolcezza del crostaceo aggiungendo con un flebile aroma metallico.
La scorzonera apporta la sua nota amara, e a certi tratti iodata, al merluzzo su cui si appoggia, con il caviale che rinvigorisce la marinità, e le erbette che intervengono con una lieve freschezza verde. Di una gioia lussuriosa i tagliolini, ufficialmente entrati dall’ingresso padronale della haute cuisine, mantecati con burro di rucola, in un concentrato vegetale opulento, con le sardine alla brace a fornire una carnosità iodata e, a chiudere, le briciole croccanti del maialino.
Sotto un rilucente disco di pasta di cacao si cela un sugo di gallina cotto in tegame, accompagnato da un tuorlo d’uovo marinato alla senape. E gustando tutto insieme ci si ciba della goduria di scale di amaro e sapido che si intersecano.
Nel tortino di topinambur la base è una impeccabile pasta sfoglia di arachidi che accoglie il foie gras e il topinambur a tocchetti e in crema.
Il piccione, must-have irrinunciabile, viene disossato e cotto intero in crosta di fave di cacao e sale, trasferendo la tecnica della crosta di sale alla cacciagione, attingendo dal pairing ancestrale cacao-selvaggina. Viene ipnoticamente sporzionato al tavolo e servito con un chutney di mango e senape, carote alla paprica e salsa alla diavola che corroborano con note dolci e piccanti.
All’arrivo del carrello dei formaggi lo sguardo dei commensali diventa quello di una principessa disneyana che vede arrivare il principe azzurro a cavallo. Oltre venti varietà per percorrere tutta la penisola dei caseifici, fra Tuma d’Fe, Salva Cremasco, Caciocavallo Silano, Pecorino siculo al pepe.
La rimessa a punto del palato per i dessert è prerogativa di una purea di mele verdi e melagrana fresca ricoperte da una polvere di cocco ghiacciata. Una acidità ingentilita da un tocco dolce esotico, il tutto enfatizzato da una interminabile freschezza.
Il giovanissimo Francesco Federici che da un anno guida la pasticceria dell’Enoteca Pinchiorri persegue una linea estetica di una eleganza essenziale e dai toni nitidi ma mai eccessivi. Come nella sua codifica della torta della nonna con crema classica aromatizzata al limone, inframezzata dal crunch dei pinoli tostati, accompagnata a una sfera di gel di frutti rossi e a un biscotto alla base di un gelato di mais tostato.Nel “Fico moro” una brioche dall’indescrivibile sofficità funge da appoggio per il gelato al fico che a sua volta sostiene i fichi marinati al porto. Accanto una quenelle di sorbetto alle mandorle su una crema di gianduia. I dessert sono accompagnati dalle “piccole sorprese”. Biscottino financier al Campari e frutto della passione, girella di tè verde, cocco e lamponi, cioccolato soffiato con mirtilli, cioccolato bianco con succo di melone. E a seguire approccia il tavolo uno strabiliante carrello dei cioccolatini.
La visita alla più celebre cantina del pianeta è d’obbligo, si passeggia fra centomila bottiglie di ineguagliabile caratura, fino ad arrivare ai gioielli della collezione di tutte le numero uno del 1985 dei sei pilastri, La Tâche, Richebourg, Romanée St.Vivant, Grands Échezeaux, Échezeaux, Montrachet, di Romanée-Conti.
Originally published at www.popeating.it on February 10, 2019.