Max Poggi: a Bologna La cucina ghiotta contemporanea
Lo chef più amato dal popolo dei gourmand felsinei lavora sull’evoluzione ironica e giocosa dei sapori che hanno fatto la storia della cucina emiliano-romagnola
Il suo mantra, e hashtag nel mondo social, è #divertiti, un imperativo che Massimiliano Poggi rivolge prima di tutto a sé stesso, ma che inevitabilmente si rifrange sugli ospiti che, dopo un quarto d’ora di strada da Bologna, attraversano il pergolato del suo ristorante a Trebbo di Reno. “Mi piace lavorare sull’evoluzione ironica e giocosa di piatti e sapori storici, che hanno segnato la mia prim’ora professionale” ci racconta in un pomeriggio torrido, dopo il servizio. Lo chef indiscutibilmente più amato dal popolo dei gourmand felsinei ha festeggiato il secondo anno del ristorante che porta il suo nome, che l’ha visto scegliere la campagna come luogo di sperimentazione del suo attuale progetto di cucina. Un pragmatismo così cementificato quello di chef Poggi, che l’ha portato verso una centrata e personale codifica della cucina emiliano-romagnola servendosi di un linguaggio contemporaneo. Facendo leva su un consapevole dominio delle cotture e delle tecniche attuali dosate con coerenza, partendo da concetti d’antan, senza sforare mai nel banale.
Con una brigata molto giovane che valorizza e gratifica coinvolgendo tutti nel processo creativo dei nuovi piatti, intervenendo, quando serve, con moniti mai autoritari ma scegliendo la strada dell’ironia. Come quando apostrofa qualche certezza di troppo, figlia dell’inesperienza giovanile, con un “Se ci fosse un genio fra noi ce ne saremmo accorti!” dando il là alla risata generale.
La sue idee pescano in un “amarcord” professionale che parte dalle stagioni sulla riviera romagnola da studente dell’alberghiero, si affina nelle tecniche e nella managerialità nelle cucine di Gino Angelini e Vincenzo Cammerucci per arrivare a soli ventun anni alla guida del Cambio di Via Stalingrado. Da allora rimasto in vetta alla classifica di preferenza dei bolognesi, oggi gestito da Piero Pompili, dove si gustano alcuni fra i più iconici piatti della tradizione, dai tortellini alla cotoletta.
Gli spazi a Trebbo sono quelli di un casale di campagna i cui interni sono stati tinteggiati di una elegante contemporaneità grazie alla scelta di un design essenziale dai colori neutri, dal bianco al tortora.
Ad accoglierci dei bonbon di squacquerone addolciti da un gel di cipolla rossa, con chips di polenta e una emulsione di strutto parafrasata in “burro di maiale”: Un bignè da farcire al tavolo con una mousse di mortadella e pane e ragù. Un doppio concentrato di espressioni della cucina romagnola, il “mare di Rimini” è un brodino non propriamente limpido, molto intenso nel sapore, che nasce da un brodo di cannolicchi dove si fanno cuocere dei passatelli aromatizzati al limone, da cui vengono tolti entrambi per servire solo la parte liquida che trattiene un gusto irruento e persistente che teletrasporta alle pensioni del litorale fra Cesenatico e Gabicce.
Piatto ormai firma di chef Poggi, l’insalata russa parte dal ricordo della sua consistenza, ottenuta dalla panna acida a cui vengono aggiunti dei vegetali, che non sono necessariamente patate, carote, piselli; insieme ad anguilla affumicata e a caviale di trota e salmerino. Ad imprimere maggior sovietismo, un bicchierino di vodka in cui viene fatto sciogliere del ghiaccio ai lamponi e violette.
Dalla cottura chirurgica le lumache, completate dalla leggera croccantezza della gratinatura, avvolte nella freschezza dell’aria di prezzemolo, impunturate dalle note vegetali delle erbe spontanee e dall’acidità del limone.
Di evocazione romagnola anche il riso, mantecato esclusivamente con olio extravergine, appoggiato sopra una crema di cozze, limone e un pizzico di aglio nero, completato con stridoli, in parte in foglia e in parte in salsa, perchè lo stridolo in Romagna è l’accompagnatore canonico della pasta ai frutti di mare. L’ultimo tocco arriva dal moulin à poivre che al tavolo, girato sul piatto, lascia scendere una polvere di cozze disidratate che rilasciano una incisiva nota marina e iodata.
Di una golosità irresistibile e grande classico, gli Spaghetti e Medicina, dove lo spaghetto si avviluppa in una salsa di cipolla di Medicina e parmigiano, viene aggiunto un caramello di cipolla e per mitigare la dolcezza della rucola selvatica.
La “Grigliata di pesce” è una salsa estremamente concentrata di branzini, orate, mazzancolle e gamberi alla griglia, che viene servita con uno spiedino di seppioline del Redentore crude, gamberi viola e una cialda di seppia al suo nero fritta. All’assaggio procura la visione dei vassoi ovali d’acciaio carichi di pesce alla griglia, in bilico sulle avambraccia di ragazzotti marcianti nelle sale delle trattorie dell’Adriatico, guarniti da lucenti spicchi di limone e seguiti a ruota dalle boule di insalata. In questo caso interpretati da limone candito e lattuga di mare. Un altro cardine della cucina poggiana, il piccione, cotto magistralmente al barbecue, di cui vengono serviti le parti del filetto e del petto in abbinamento a rabarbaro in agrodolce e appoggiato, sul suo fondo unito ad una essenza al pepe.
La coscia diventa una cotoletta alla bolognese, viene ricoperta da una salsa di prosciutto, con alla base un paté di fegatini, accompagnato da una salsa di pomodoro e una di spinaci, per edulcorare la grassezza con una punta di acidità e note vegetali e balsamiche.
A fine pasto, una bella insalata mista è da sempre considerata l’ideale per resettare il palato e predisporlo al meglio per il dessert, e Max la attualizza con sedano, rucola, Parmigiano Reggiano 36 mesi, perle di olio extravergine per donare una sferzata di freschezza. Anche i dessert giocano sul filo dell’ironia, anche nella semantica, il “Ma Scarpone” si presenta con una impronta, della calzatura appunto, di cacao da corredo a un soffice di mascarpone, una crema di biscotti salati e una gelatina al caffè.
Nel “Frutti di bosco” i tre sorbetti di mora, mirtillo e lamponi, con i rispettivi frutti, sono appoggiati su una neve di melissa e il tutto viene inondato, al tavolo, da una panna calda ai funghi porcini. Un sottobosco compiuto e totale, dal giocoso balzo di temperature.
La pasticceria che accompagna il caffè è una delegazione in miniatura dei capisaldi dei dolci bolognesi più classici, la mini raviolina ripiena di mostarda, un cubetto di torta di riso, la zuppa inglese racchiusa in un bonbon al cioccolato, e una tartelletta con la crema di lambrusco.
Originally published at www.popeating.it on September 24, 2018.