Osteria Francescana di Massimo Bottura. Dove l’intuizione divampa dall’inaspettato

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12 min readJul 7, 2019

My name is Massimo Bottura and 23 years ago I opened in March ’95 Osteria Francescana in my own town Modena, 12 tables, a very small restaurant but with big dreams since the first day. Inizia così la lecture che lo chef n. 1 al mondo ha tenuto ad Harvard qualche mese fa che ha richiamato centinaia di studenti e ha richiesto il supporto di vari maxischermi all’esterno per poter rendere tutti partecipi del suo racconto. Un’ora di narrazione coinvolgente, a tratti toccante, del suo sogno diventato realtà. Tante cose sono cambiate dall’inizio, “ma una cosa è rimasta sempre uguale — racconta Bottura — il nostro punto di vista. In Osteria Francescana vediamo il mondo sottosopra, come lo vedevo io da piccolo, da sotto il tavolo della cucina di mia nonna. Ci sono cresciuto sotto quel tavolo, scappando dai miei fratelli più grandi e mentre lei mi difendeva io rubavo i tortellini stesi sopra e sui piedi mi pioveva farina. Da qui inizia il mio approccio alla cucina e tuttora in Francescana guardiamo il mondo come se fossimo ancora sotto quel tavolo.”

Entrando da Via Stella a Modena in effetti si capta da subito una energia, una ebbrezza, connesse ad una estetica che sguiscia dai parametri ordinari dell’alta cucina. Si percepisce da subito che il lavoro di creatività immaginativa che aleggia prende avvio da impeti, idee, pensieri e immagini che implicano la gestione di emozioni pirotecniche. È l’intuizione. “Il momento inaspettato” dice Bottura “ il lampo nel buio, quando l’emozionale e la passione incontrano la logica e si incanalano nella razionalità. L’attività che fibrilla in Osteria Francescana è l’allenamento di idee che intersecano tecnica, agricoltura, artigianato, ospitalità, improvvisazione e arte. “ Il vigilantes di Duane Hanson all’ingresso, il cerchio terroso di Bosco Sodi, il Garbage Bag di Ceal Floyer sotto i piccioni Turisti di Maurizio Cattelan, i bicchieri sempre pieni di Carlo Benvenuti, gli spin painting di Damien Hirst, sono alcune delle opere che si possono ammirare in Francescana “che non sono lì solo per decorare, ma sono finestre sui panorami delle idee, idee che vogliamo condividere, che allargano l’orizzonte aprendo a nuove possibilità e intuizioni” racconta lo chef modenese.

Qui si lavora sperimentando e fluttuando tra valori estetici e processi creativi calibrati su sentimenti anticipatori di idee, sulla ricerca di effetti deflagranti rispetto alle attese con un colto e immaginifico citazionismo. Con un livello espressivo di un grande spessore culturale, costruito sulla crasi fra arte e contadinità.

Il momento inaspettato il lampo nel buio, quando l’emozionale e la passione incontrano la logica e si incanalano nella razionalità. L’attività che fibrilla in Osteria Francescana è l’allenamento di idee che intersecano tecnica, agricoltura, artigianato, ospitalità, improvvisazione e arte.

“L’otto dicembre in campagna si macellava il maiale — racconta lo skinny chef agli studenti americani — un animale che era parte della famiglia, veniva chiamato per nome, e mia nonna diceva sempre che era un atto spirituale, di cui bisognava avere rispetto. Il maiale dava la sua vita per nutrire tutta la famiglia, durante tutto l’anno, per questo bisognava usarne ogni singola parte. In questo modo impari il rispetto per il cibo.”

Da questo imprinting è partita la battaglia contro lo spreco di quel terzo di cibo prodotto nel mondo che finisce nel pattume, mentre circa un miliardo di persone non ha nulla da mangiare. Una rivoluzione che è partita nel 2015, quando la chiamata dell’Expo a “Nutrire il pianeta” ha fatto detonare l’idea dei refettori di Food for Soul. Non un luogo dove distribuire pasti gratuiti, non c’era bisogno di nuove mense, ma un progetto culturale che ricostruisce la dignità di persone povere riunendole attorno a un tavolo. Dove il nutrimento non è solo per il corpo ma anche per l’anima, dove bellezza, estetica e ospitalità si uniscono all’opera di alcuni fra i più grandi chef del mondo che cucinano cibo che altrimenti verrebbe buttato. Dopo quattro anni, al primo Refettorio Ambrosiano di Milano si sono aggiunti Rio, Bologna, Modena, Londra, Parigi, Napoli e a breve Mérida in Messico. Il progetto è diventato un movimento globale, le richieste di volontari che vogliono partecipare attivamente al progetto sono moltissime e ora Marc Benioff di Salesforce, l’azienda di cloud computing di San Francisco, si sta occupando di creare un software che gestisca le liste d’attesa.
Benioff, insieme a François-Henri Pinault, è uno dei finanziatori del refettorio di Parigi “stavamo aprendo — racconta Bottura — ed ero con Jr (fotografo e street artist francese) quando chiamammo Mark Beinoff via FaceTime chiedendogli un contributo per il refettorio di Parigi e Jr gli disse che io ero lì con lui. Benioff sobbalzò dalla sedia e rispose “Bottura è lì con te?” In quel preciso istante stava guardando la mia puntata di Chef’s Table e girò il monitor del pc verso FaceTime per farcelo vedere. Volete 250? Vi do 400, disse. E così abbiamo aperto Parigi. In 45 minuti abbiamo trovato i soldi”.

A Parigi sono arrivati dalla California anche Tim Cook e Laurene Powell Jobs per capire come funziona il progetto e hanno chiesto di essere coinvolti. Le richieste per aprire nuovi refettori arrivano copiose da tutte le parti del mondo e attraverso le più disparate modalità. “Facevo scalo a Cancun fra l’Argentina e Miami — dice Bottura — e all’aeroporto mi fermarono due persone che avevano saputo del mio scalo e mi chiesero di posticipare il volo successivo per portarmi a vedere lo spazio che avevano in mente per il refettorio di Mérida. Dopo qualche secondo di perplessità, spostai il mio aereo e li seguii e in qualche mese, attraverso due cene, raccogliemmo il denaro per aprire. Lascio sempre aperta la porta dell’inaspettato, è così che capitano le occasioni migliori.”

L’esperienza in Francescana smuove l’inatteso, la sorpresa delle attese, quello che Brecht definiva Straniamento attraverso lo sconvolgimento dei registri stilistici, l’asimmetria costruttiva che diventa in una parola avant-garde e sopra ogni cosa effetto wow ad ogni assaggio.
In Francescana vengono procurate visioni inedite creando cortocircuiti emozionali attraverso rovesciamenti semantici, giustapponendo elementi e materie culturalmente considerati di una certa levatura con quelli più popolari e poveri che insieme catalizzano e suscitano un piacere olistico.
Rompere , trasformare, ricreare, l’artista non sta rinnegando il proprio passato ma lo sta trasformando rompendolo per poi costruire il futuro filtrandolo attraverso il pensiero contemporaneo. Un futuro che parte dal passato. Il processo creativo del cuoco si rifà a questa metafora. Rimettere insieme i pezzi con consapevolezza.
Come Ai WeiWei che fa cadere un vaso neolitico di duemila anni e i frammenti diventano un nuovo inizio. La rottura del vaso è la fine o la continuità della storia?

Il menu ‘Tutto’

A comporre gli appetizer, un tempura di aula, piccolo pesce di fiume, che sorregge una quenelle di gelato di carpione, con aceto di vino bianco e erbe aromatiche.
Cuscinetto di pane farcito di baccalà, pomodoro e cappero
Macaron con una salsa di coniglio alla cacciatora
Il borlengo tipico modenese, una chips ottenuta da una pastella di acqua, farina e sale “cunzata” con battuto di lardo, aglio, rosmarino e una spolverata di Parmigiano Reggiano.
Non è una sardina, una cialda di pane con una crema di anguilla all’interno

Autumn in New York
Tributo al brano del ’34 che Billie Holiday cantava nei mercati di Union Square. Qui il mercato è quello di Modena da dove arrivano i prodotti, diversi secondo la stagione, che ruotano attorno allo stesso concetto. E’ stato aggiunto anche qualche elemento di un piatto storico “Una anguilla che risale il fiume Po”, con alla base una crema di mela cotta, anguilla, caviale, crème fraîche, crema di prezzemolo, chips di ostriche, acqua di mare disidratata. Infine viene aggiunto un dashi di mela.
Burnt
Rappresenta l’ironia della grigliata in Riviera Romagnola, in cui la griglia viene ridotta in un brodo intenso, profondo e acido che ricorda la spremuta di limone sopra il pesce ai ferri. Viene creata una tartelletta, farcita con gli stessi pesci usati per il brodo, messi precedentemente a marinare in limone, nero di seppia, olio extravergine affumicato. Alternando un boccone e poi un cucchiaio di brodo fra acido, iodio e affumicato, si ha la visione della griglia perfetta.
Sogliola mediterranea
Èl’unione di tre ricette differenti. Alla mugnaia, al cartoccio, al sale. Della mugnaia viene ricreata la salsa con farina bianca e limone. Viene disidratata l’acqua di mare per creare un foglio masticabile che evoca il cartoccio, poi viene bruciata come faceva Burri con le sue tele, a ricreare il retrogusto di griglia. La mediterraneità del cartoccio arriva dalle materie nascoste sotto la carta, il limone di Corrado Assenza, i capperi di Gabrio Bini, i pomodori del Piennolo di Giovanni Assante convertite in salse.
Wagyu no wagyu
Sono pancia e cuore di maiale marinati in sale e zucchero che vengono alternati per formare una struttura a strati come un millefoglie. Lasciato riposare circa due settimane poi viene servito, tagliato molto sottile in una alternanza della parte rossa data dal cuore e della parte chiara del grasso, con una salsa ponzu di yuzu, brodo tiepido di cipolla bruciata e olio di sesamo. Emilia nipponica.

L’otto dicembre in campagna si macellava il maiale un animale che era parte della famiglia, veniva chiamato per nome, e mia nonna diceva sempre che era un atto spirituale, di cui bisognava avere rispetto. Il maiale dava la sua vita per nutrire tutta la famiglia, durante tutto l’anno, per questo bisognava usarne ogni singola parte. In questo modo impari il rispetto per il cibo.

Quando mia mamma incontrò Bocuse
Il ricordo della zuppa di Paul Bocuse dedicata a Valery Giscard D’Estaing che si fonde con una idea della mamma di Bottura. Un concentrato di zuppa di cipolle, carota, sedano, verdure e foie gras, in una ciotola con coperchio di millefoglie di Parmigiano Reggiano da frantumare e far cadere a pezzi nella zuppa.
Cinque stagionature di Parmigiano
Con cinque temperature e cinque consistenze diverse, esprime in modo tangibile lo scorrere del tempo in Emilia e la celebrazione dei casari dall’Appennino al Po, della nebbia che fluttua con lo scorrere lento del tempo. Alla base una crema di stagionatura 24 mesi, un demi-soufflé di stagionatura 30 mesi. La spuma è di 36 mesi, la galletta croccante 40 mesi, la nuvoletta che ricopre il tutto sono 50 mesi. Gli ingredienti sono due. Il Parmigiano e il tempo. “Un’idea — dice Bottura — che mi venne nel ’93 volendo esprimere il lento processo di stagionatura, quando, dopo 24 mesi, il lattosio termina la sua trasformazione in proteine. All’epoca il Parmigiano era venduto partendo dai 18 mesi e dissi ai produttori che era troppo fresco, era irrispettoso comprimere 550 litri di latte in 40 kg di formaggio e non aspettare la giusta stagionatura. Ora la commercializzazione avviene con almeno 24 mesi di stagionatura e per me è una ricetta che si è trasformata in un gesto sociale.

Viaggio attorno a una faraona arrosto, tre piatti che racchiudono primo, secondo, contorno e dessert utlizzando e valorizzando tutto del volatile

Ravioli di patate arrosto in salsa di faraona arrosto (Il primo e il contorno della faraona)
Ravioli croccanti, modello gyoza, ripieni di patate arrosto e polvere di arrosto immersi in un saturo e intenso fondo di cottura della faraona che arriverà successivamente.
Faraona alla creta… omaggio ai Cantarelli
Le portate classiche del pranzo domenicale emiliano in famiglia, dopo la pasta ripiena, erano il bollito misto e l’arrosto. Vengono scelte le parti più gelatinose del bollito, vengono macinate e inserite sopra il petto della faraona. Il bollito misto gelatinoso sciogliendosi nel forno rende la carne del petto succulenta e la pelle croccantissima. Un omaggio a Pino Cantarelli, il ristoratore parmense, primo a importare in Italia prodotti francesi e a cuocere la faraona alla creta. Qui con delle chips di farina di castagna e scaglie di tartufo nero viene ricreata la crosta della creta, e il tutto viene servito con una emulsione di fondo di cottura, tartufo bianco e foie gras. Quindi come Cantarelli si fonde la tradizione del bollito e degli arrosti con la cucina francese.
Pelle di faraona croccante, fegatini savor e tartufo
La pelle di faraona viene spazzolata fino a renderla finissima, viene tostata in forno fino a farla diventare un croccantino su cui poggia una salsa di fegatini e interiora e cioccolato criollo, marmellata di ciliegie e pere, saba (la madre dell’aceto balsamico) e tartufo nero. Qui si sfilaccia il confine fra salato e dolce e si chiude il viaggio della faraona arrosto con il dessert.

Risotto di zucca
Tradizionalmente il risotto alla zucca viene servito come primo piatto e talvolta può risultare eccessivamente dolce, perché viene aggiunto troppo amaretto, troppa mostarda di mele o troppo succo di governo della mostarda di mele. Qui si laurea pre-dessert con una royale con fondo di cottura di germano in emulsione di foie gras e cioccolato, mele candite, confettura di agrumi del sud. In superficie, amaretto, mandorle tostate e arancia bruciata grattugiata al tavolo.
Oops! Mi è caduta la crostata al limone
L’omaggio all’errore, la bellezza dell’imperfezione, limone di Sorrento, le mandorle di Noto, l’origano selvatico dalla Puglia, i capperi di Pantelleria, il peperoncino di Matera e il bergamotto di Calabria, prende origine fra il dolce e il sapido in una perfetta ricostruzione dell’imperfezione. Ecco l’intuizione, la poesia che corre in aiuto di un’indole che non concepisce l’errore, come quella giapponese di Takahiko Kondo, sous chef insieme a Davide di Fabio, a cui cade il dessert e si sbriciola. Non si rifà. Anzi da questo momento le presenteranno tutte così, perfettamente ricostruite, a pezzi. Una lezione che esalta il valore degli errori con la creatività che arriva in soccorso di una apparente defaillance e ne fa evolvere l’esito positivamente, solo cambiando il punto di vista. E’ la nuova prospettiva che l’errore dà alla bellezza.

Incontro fra Napoli e Milano
Il babà vuole diventare panettone, all’interno frutta candita, nocciole, noci, crema di vaniglia e mandorle e poi viene immerso in un succo di arancia.
Piccola pasticceria
Medeleines con yuzu; croccantino di foie gras, una terrina di foie gras con aceto tradizionale di Modena invecchiato 25 anni, ricoperto con mandorle tostate; camouflage, ricostruzione mignon de “la lepre nel bosco”, civet royale coperta di erbe disidratate; ciliegia, una sfera di cioccolato con all’interno uno sciroppo di ciliegia.

Originally published at https://www.popeating.it on July 7, 2019.

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