Mio nipote vuole fare l’attore

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4 min readDec 14, 2018

Io a Milano ci sono andato a vivere nei primi anni ’50. Stavo in un palazzo in zona Cimiano, a un centinaio di metri dal Lambro. Non che sia cambiata molto da allora. Anzi, forse al tempo le case almeno erano nuove. Quello che è migliorato, invece, sono gli standard di vita.

Arrivavo da una situazione brutta. I miei erano mancati che ero ancora piccolo. Stavamo nel comasco e papà aveva l’officina. Quando sono rimasto solo mi hanno affidato a un collegio, un orfanotrofio, e sono cresciuto lì. Quindi a Milano ci sono arrivato solo per fare l’università, che però vedevo col binocolo, perché di giorno lavoravo in un albergo del centro. Schiacciavo i bottoni in ascensore. Mi era concesso leggere i libri intanto, quindi tenevo una mano sempre sulla tastiera, con le cinque dita già posizionate sui piani, mentre con l’altra mano tenevo il libro. Alla faccia dell’albergo di lusso. Credo di non aver mai guardato un ospite in faccia.

In casa, a Cimiano, eravamo una decina di ragazzi. Non ci vedevamo quasi mai, alla fine della fiera, ma non era una convivenza facile in sessanta metri quadri. Di bagni ce n’era uno per piano, in fondo al corridoio, del quale si servivano fra le trenta e le quaranta persone, mattina e sera. Io aspettavo di usare il bagno dell’albergo — per dirla in modo elegante.

Insomma, no, non sono mai stato un creativo. Forse lo avrei potuto essere, se avessi disposto di altri mezzi. Ma non in questa vita. Poi non penso nemmeno di avere la testa giusta. Non sono un creativo e non lo è mio figlio. A noi è toccata ingegneria. E lo dico senza rimpianti o che altro.

Poi è arrivato Riccardo, figlio di ingegnere, nipote di ingegnere, che già da bambino non stava fermo nemmeno un secondo; sempre al centro della scena, sia a scuola sia a casa. Un diavoletto con gli occhi buoni e intelligenti e una fantasia dell’accidenti. Un giorno i maestri hanno raccontato a mio figlio che durante l’intervallo i compagni di scuola di Riccardo gli si mettevano intorno per sentirlo raccontare le barzellette. Roba da matti. Io di barzelletta non ne ho mai saputa neanche una, tranne forse un paio sui Carabinieri, ma vai a sapere; mio figlio neppure, no di certo.

E poi ecco spuntare dal cilindro questo piccolo Gassman, si sarebbe detto.

Quando Riccardo aveva dieci anni, mia moglie (che Riccardo lo seguiva più di tutti, ogni pomeriggio dopo scuola) se ne venne fuori con questa idea del teatro. Forse perché anche a lei da ragazzina dicevano che avrebbe dovuto fare teatro — perché era bellina e aveva la lingua sciolta — o forse per semplice intuito di nonna, prese Riccardo e lo iscrisse a un corso pomeridiano di recitazione nel nostro quartiere.

E poi mah, chi lo ha fermato più. Improvvisamente Riccardo aveva trovato la sua strada. E la sua strada non conduceva in una centrale termica, ma a passeggiare disinvolto sul legno di un palcoscenico.

“Ma di chi è figlio?” è la domanda che già da tanti anni aleggia per casa. Certo nessuno di noi gli ha messo i bastoni tra le ruote, anzi. Più incuriositi che spaventati, lo abbiamo tutti spronato a seguire la sua passione; ovviamente non a discapito della scuola. Ma la scuola, anche quella presto è finita e a questo punto Riccardo aveva un solo desiderio nel cuore: lasciare la provincia e andare a Milano a studiare teatro.

Di una cosa ero certo: non avrebbe patito quello che ho dovuto patire io. Non avrei permesso a mio nipote di vivere in ristrettezze. Ma com’è cambiata, Milano! E quanto costa, Milano!

Ma avrei potuto io, con la mia storia, negargli il futuro cui aspirava e per il quale, ad ogni buon conto, è portato dalla nascita, trascinato da un talento che gli esplode dal cuore sin da piccolissimo?

Ne ho parlato con mio figlio e con mia nuora — che certo non navigano nell’oro — e ho proposto di attingere a un fondo che avevo aperto tanti anni fa, sotto insistenza di mia moglie perché — saremo anche di un’altra epoca, ma tant’è — “non si sa mai.” E infatti.

Io questo penso: non mi va giù questa storia che oggi i nipoti stanno peggio dei nonni! Non è giusto e non deve essere così. Non dobbiamo permetterlo a nessun costo. Non deve accadere a una generazione così piena di opportunità e tanto rivolta al futuro.

Magari non vincerò l’Ambrogino d’Oro, ma sento di aver fatto la cosa giusta.

E poi, ora vado a teatro gratis!

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