Il crowdfunding per la cultura secondo gli italiani

produzioni dal basso
Produzioni dal Basso
5 min readMay 11, 2017

a cura di Francesco D’Amato

Nel corso di questo decennio abbiamo assistito ad una crescita esponenziale del crowdfunding, in termini sia di finanziamenti, sia di progetti proposti, sia di piattaforme specializzate nell’offerta di servizi per la raccolta fondi e la gestione delle campagne.

Una crescita in cui ricopre un ruolo rilevante il crowdfunding per la produzione culturale, uno dei primi ambiti in cui tale pratica ha manifestato e sviluppato le sue potenzialità.

Anche in Italia le campagne dedicate a progetti culturali sono fra le più numerose, nonché quelle che possono contare sul maggior numero di piattaforme entro cui essere ospitate, contando sia le generaliste che le specialistiche. Singoli creativi e organizzazioni operanti nei settori culturali vedono nel crowdfunding una soluzione al calo di investimenti pubblici e privati, nonché l’opzione ideale per proporre progetti innovativi, di nicchia o di scarso appeal per istituzioni e sponsor tradizionali. Tuttavia diverse ricerche hanno evidenziato come in Italia il mercato del crowdfunding sia sovradimensionato (poche piattaforme raggiungono quote di mercato significative) e poco consolidato (alto tasso di nati-mortalità), il che implica — fra le altre cose — un problema di sostenibilità, evidenziato di recente da Angelo Rindone in un convegno sul tema.

Adottando un punto di vista diverso da quello privilegiato nelle indagini disponibili, che utilizzano perlopiù i dati forniti dalle piattaforme stesse o case studies di singole campagne, riguardanti quindi il mercato effettivo più che quello potenziale, una recente ricerca ha analizzato il grado di conoscenza e la percezione che gli italiani hanno del crowdfunding, nonché le disposizioni e il potenziale appeal verso di esso da parte non solo di promotori e finanziatori ma anche di coloro che esprimono interesse verso tali iniziative. La ricerca, i cui risultati sono stati da poco pubblicati sul numero quindici della rivista scientifica Comunicazionepuntodoc, è nata dalla collaborazione fra l’Osservatorio sui consumi culturali e il Centro Digilab dell’Università di Roma ‘La Sapienza’ e la società di ricerca SWG.

Il primo dato significativo è che il crowdfunding non è affatto così popolare come potrebbe credere chi ne ha seguito la crescita.

Una persona su due non conosce il crowdfunding, mentre circa un quarto ne ha sentito parlare ma non sa esattamente di cosa si tratti. Solo il 13,5% del campione ha concretamente partecipato a delle campagne in veste di finanziatore (10,7%) o come promotore di un progetto (2,8%). Al di fuori di questi due gruppi, il maggior numero di persone disposte a partecipare a iniziative di crowdfunding con future donazioni si trova nei segmenti più giovani e scolarizzati della popolazione. Le campagne che riscuotono maggiore partecipazione riguardano salute e sanità (36%), sociale e solidarietà (32%), creatività e cultura (32%).

Un altro dato interessate concerne le condizioni di attribuzione al promotore dei fondi raccolti: contrariamente all’approccio più diffuso fra le piattaforme (il cosiddetto modello ‘all-or-nothing’, che consente di accedere effettivamente alle donazioni solo in caso di conseguimento o superamento dell’obiettivo inizialmente stabilito).

Oltre la metà delle persone risulta più propensa a contribuire a iniziative che prevedano l’accreditamento effettivo del finanziamento anche nei casi in cui l’obiettivo non sia stata raggiunto (modello ‘all-you-can-get’).

A pensarla in questo modo non è solo chi ha meno familiarità col crowdfunding o i promotori dei progetti — come sarebbe lecito attendersi — ma anche più della metà di quanti hanno contribuito a delle campagne in veste di finanziatori. In sostanza, sembrerebbe che l’aspettativa e il desiderio principale di chi dona sia che il proprio contributo giunga al destinatario.

Questi risultati possono essere interpretati considerando che, soprattutto per le campagne di natura sociale e culturale, il sostegno riguarda il promotore almeno quanto il progetto, ovvero è spesso motivato dalla conoscenza pregressa o da un rapporto diretto, dalla reputazione e dalla fiducia, più che da una ponderata valutazione della proposta. In effetti anche la ricerca di cui stiamo parlando — in linea con quanto riscontrato da altre — evidenzia che, in riferimento alle produzioni culturali, ciò che conta maggiormente ai fini della donazione sono proprio la fiducia nei confronti del promotore (36,9%) e la reputazione (33,7%), seguiti dall’interesse per il tema o la forma espressiva (32,6%) e dalla rilevanza per la propria comunità (29,4%).

I promotori verso i quali è maggiore la disponibilità a donare sono gli enti no-profit, assai più che verso privati e istituzioni pubbliche. D’altra parte l’utilità del crowdfunding, secondo gli intervistati, risiede soprattutto nella possibilità di sostenere progetti penalizzati da logiche di mercato (32%) e sopperire al calo di investimenti pubblici (27%), oltre alla possibilità di scegliere quali progetti veder realizzati (23%).

Gli incentivi alla donazione sembrano ricoprire un ruolo significativo ma non decisivo. Allo stesso tempo, viene data maggiore importanza a quelli cui è ascrivibile un chiaro valore economico, e non meramente simbolico: es. sconti, ingresso o unità di prodotto, bonus fiscali, ma soprattutto — in relazione a progetti che prevedono una forma di sfruttamento commerciale — una percentuale in caso di utili. Un altro tipo di reward particolarmente apprezzato riguarda la possibilità o il diritto ad esprimersi su alcune scelte di progetto. Questi risultati segnalano una specifica competenza mobilitata nell’attribuzione di valore alla propria partecipazione a seconda del tipo di campagna, un valore che contempla la dimensione economica oltre a quella sociale e culturale.

Infine vale la pena evidenziare che ben il 46% delle persone sarebbe disposto a donare il proprio tempo, invece di denaro, per progetti legati a beni culturali e ambientali, ad esempio attraverso banche del tempo, oppure a contribuire con attività di segnalazione dei beni da salvaguardare e di proposte di soluzione (52%).

In definitiva, nonostante la popolarità crescente, il crowdfunding sembra essere ancora poco conosciuto e ancor meno praticato. Ciononostante,

una volta compreso di cosa si tratta, solo poco più di un terzo della popolazione continua a mostrarsi disinteressato.

L’indagine attesta quindi come vi siano ancora margini di sviluppo nel contesto italiano, soprattutto fra soggetti giovani, acculturati e dotati di risorse da destinare alle iniziative di promotori verso cui nutrono fiducia o che godono di buona reputazione ma penalizzati da logiche e meccanismi tradizionali di finanziamento. L’esplorazione di tale potenziale vede in posizione privilegiata i progetti non destinati al mercato e sembra richiedere, fra le altre cose, la sperimentazione di una maggiore compenetrazione fra crowdfunding e altre forme di partecipazione. A ciò si aggiunge, per i progetti commerciali, l’importanza di immaginare dei reward in linea con la natura della campagna per cui viene richiesto un contributo.

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