ProjectA14 — Part 1 Chapter 10

Valentina Bertani
Project A14
Published in
12 min readAug 14, 2014

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Final Showdown!

Per raggiungere lo stabilimento Asclepius, Claire e gli amici si servirono di una teleferica sotterranea, che collegava lo stabilimento alla città e veniva utilizzata per trasportare personale e materiali, ma prima dovettero ottenere l’energia necessaria a far funzionare la vettura.
La centrale termoelettrica che forniva energia al settore non era lontana. Michael e Daniel insistettero per recarvisi da soli, lasciando indietro le ragazze, in modo che Claire potesse riposare e recuperare le forze; nonostante le proteste, era ancora debole, anche se il vaccino aveva completamente debellato l’infezione.
Il perimetro della centrale era circondato da una recinzione metallica. Le caldaie erano ospitate da quattro grandi edifici squadrati in cemento armato. Edifici più piccoli, adiacenti ai locali delle caldaie, ospitavano le turbine. Ogni gruppo caldaia era affiancato da una torre di raffreddamento. Un po’ discosti dai gruppi caldaia, c’erano i serbatoi del combustibile. Un complesso intrico di tubature correva per tutto l’impianto. Dietro ai gruppi caldaia si trovavano i trasformatori e i tralicci dell’alta tensione. Una palazzina a un piano affiancata da un parcheggio accoglieva gli uffici e la sala controllo.
Sembrava che la centrale non avesse subito danni, ma i gruppi caldaia erano spenti, le turbine silenti e la corrente elettrica mancava in tutto il settore e nel resto della città.
Alcuni operai zombi si trascinavano stancamente tra gli impianti e si precipitarono contro la recinzione metallica appena colsero il loro odore. Michael era pronto con la pistola e li uccise con un gesto automatico.
Il cancello era aperto e i due amici si diressero alla palazzina degli uffici. Riattivare i quattro gruppi caldaia era fuori discussione, ma potevano ottenere un po’ d’energia dai gruppi elettrogeni d’emergenza delle turbine.
La sala controllo era una stanza semicircolare al termine del corridoio lungo il quale si aprivano le porte degli uffici e della sala riunioni. Alcuni zombi si aggiravano per il corridoio e gli uffici vuoti: lo sparuto gruppo di impiegati del turno di notte, una segretaria e un capo ingegnere. Gli operai addetti alla manutenzione li avevano già eliminati nel parcheggio.
Nella sala controllo gli schermi a parete e i computer erano spenti. Daniel attivò un gruppo elettrogeno di continuità nel locale di servizio in cui si trovavano gli archivi e i server e Michael utilizzò la postazione del capo ingegnere per rimettere in servizio una delle turbine, usando il generatore diesel d’emergenza.
Si affrettarono a tornare dalle ragazze, perché la turbina non sarebbe rimasta attiva a lungo.
Un locale di servizio sotto il cavalcavia dell’autostrada che correva parallela al quartiere residenziale nel quale si trovavano dava accesso alla teleferica sotterranea che attraversava tutta la città; ma riuscirono a percorrere solo un breve tratto, prima che i generatori diesel finissero il carburante e li lasciassero di nuovo a piedi.
Gli amici sbucarono in superficie nel parco giochi di un quartiere operaio abbandonato, le case chiuse e ridotte a stamberghe, con i vetri rotti e le porte sprangate da assi di legno per impedire ai senzatetto di andarvi ad abitare. Il parco, in seguito all’outbreak del virus θ, era divenuto la dimora di un lombrico gigante con una bocca piena di denti aguzzi.
Dawn di zombi e mostri giganti non ne poteva più e appena la terra si mise a tremare e il lombrico comparve svellendo lo scivolo incrostato di graffiti e le vecchie altalene rotte, crollò in ginocchio, si afferrò la testa con le mani e scoppiò in lacrime. Puk prese a svolazzarle intorno agitato, ripetendo “Pukò! Pukò!”.
Michael lanciò una granata fumogena per dare a Daniel, Claire e Sarah modo di disporsi in formazione.
Riuscirono ad abbattere il lombrico soprattutto grazie alla magia di Sarah. Le pistole di Daniel e Claire erano praticamente inutili e a Michael erano rimaste solo una manciata di bombe a mano.
Un fulmine guidato dalla freccia di Sarah diede al mostro il colpo di grazia. Il verme si abbatté al suolo, fu scosso dagli ultimi spasmi e scomparve.
Dawn era ancora accasciata sulle ginocchia e singhiozzava sommessamente stringendosi le braccia al petto.
“È tutto a posto, Dawn” le disse Michael, posandole una mano su una spalla. “È morto.”
Dawn ebbe uno scatto, gridò e lo respinse.
“Pukò!” fece Puk, allarmato.
Michael la strinse delicatamente in un abbraccio. Dawn scoppiò in lacrime.
“Basta” disse in un sussurro e poi, tra le lacrime, gridò di nuovo “Basta!”
Si alzò in piedi, sciogliendosi dall’abbraccio di Michael e, passandosi le mani sul corpo, come a voler pulire della sporcizia che non c’era, sollevò lo sguardo al cielo grigio che precede l’alba e gridò di nuovo.
“Basta! Mi senti? Sono stanca! Non voglio più giocare! Uccidimi o… Non lo so! Ma lasciami andare!”
“Dawn! Calmati!” esclamò Michael, allarmato. “Così peggiori solo le cose!”
“E se avesse ragione?” chiese Daniel, pensieroso, “Se ci stessero guardando?”
Michael lo fulminò con lo sguardo, ma Daniel non mollò. Non aveva intenzione di lasciar cadere il discorso.
“Guardati intorno, Michael! Non è possibile che abbiamo generato noi questo posto! Non con questa ricchezza di dettagli, non con questa coerenza di scenari. I sogni non sono coerenti. Un attimo prima ti trovi in una centrale elettrica, l’attimo dopo potresti essere in un castello nel cielo. I sogni sono assurdi, slegati, frammentari.”
“Ci ho pensato anch’io. Ma guarda il cielo!” replicò Michael. “È quasi l’alba. Restano forse una, due ore di gioco. A cosa serve fermarsi adesso a fare congetture?”
Dawn, nelle sue braccia, tremava, ma il suo pianto si era di nuovo ridotto a singhiozzi sommessi.
“E poi anche se fossimo su HoloNet e qualcuno ci stesse facendo giocare contro la nostra volontà” s’intromise Claire, “Pensate davvero che la mente che ha concepito e creato questo scenario ci lascerebbe andare adesso? Solo perché siamo noi a chiederlo? Che divertimento ci sarebbe?”
Sarah era rimasta quieta, in disparte. Daniel e Claire si rivolsero a lei in cerca di sostegno.
La ragazza scrollò le spalle.
“Fa differenza, saperlo oppure no? Se è come dice Claire, il Game Master di questo scenario vorrà vederci combattere nella battaglia finale. E poi Sophie ci starà aspettando con Aku e Chihiro allo stabilimento.”
Michael si scostò da Dawn e la guardò negli occhi.
“Ancora un piccolo sforzo, Dawn. Ce la fai?”
Dawn annuì.
“Brava!” disse Michael, sorridendo e stampandole un bacio sulla fronte. “Raggiungiamo gli altri.”

Dal quartiere operaio, per raggiungere lo stabilimento Asclepius dovevano passare attraverso la wasteland industriale delle vecchie fonderie.
Le fonderie erano deserte e abbandonate da tempo. Non avrebbe avuto senso, a livello di scenario, infestarle di zombi, ma il game designer aveva comunque sparso qua e là branchi di cani mannari in cerca di prede — potevano sempre essersi spinti alle fonderie vista la penuria di cacciagione in città ed erano funzionali, a livello di meccaniche di gioco, per mettere i bastoni tra le ruote al giocatore in transito verso lo stabilimento Asclepius.
Giunto nei pressi dello stabilimento, il gruppo incontrò un paio di netturbini, qualche ricercatore e un gruppetto di inservienti zombi.
Quando raggiunsero Sophie, Aku e Chihiro nell’atrio, Chihiro stava sonnecchiando su uno dei divanetti, con la testa appoggiata sulle ginocchia di Aku, che si era assopito con la schiena appoggiata alla vetrata e la testa ciondoloni. Sophie, seduta accanto a loro, si era tirata le ginocchia al petto e guardava fuori dalla vetrata con aria assorta.
Claire corse ad abbracciare Sophie e ad assicurarsi che stesse bene.
“Dovrei essere io a chiederti come stai” disse Sophie. “Quando ci siamo separate, stavi per morire.”
“Oh, non ti libererai di me tanto facilmente! Peccato che siano rimaste queste due brutte cicatrici…”
Claire mostrò i segni violacei che aveva sulla spalla e sulla gamba sinistra.
“Non penso che resteranno, quando ti sveglierai” disse Sophie. “Sarebbe strano…”
L’arrivo degli amici aveva svegliato Aku e Chihiro. La ragazzina stava raccontando a Sarah e Dawn la sua avventura nelle grinfie di Burke e il risveglio nell’atrio dello stabilimento.
“Niichan e Oneechan hanno avuto un colpo di genio e Oneechan ha modificato il suo personaggio e ha fatto comparire tè e dolcetti dal nulla!” raccontò tutta entusiasta.
“Così, ci siete arrivati anche voi” disse Michael. “A modificare il vostro personaggio.”
“Io ho solo sollevato la questione” disse Aku, “È stata Sophie a mettere in pratica il mio suggerimento.”
“Ma voi cosa pensate di questa cosa che ci sta succedendo?” chiese Daniel.
“Ancora?” fece Claire, sollevando gli occhi al cielo.
Michael le posò una mano su una spalla e scosse la testa.
“Lascialo parlare, Claire. Vorrei sentire cosa ne pensa Sophie.”
Daniel spiegò a grandi linee cos’era successo nel parco giochi del quartiere operaio, la reazione di Dawn e le loro intuizioni.
“Sì, ormai penso anch’io che non stiamo veramente sognando” disse Sophie. “È probabile che ci troviamo su HoloNet e che qualcuno ci abbia portati qui e ci stia usando come cavie di un esperimento. Probabilmente utilizzando il Safesleep come ponte per il collegamento. Dopotutto quando giochiamo ai VirtuaGiochi indossiamo un visore che trasforma i nostri impulsi cerebrali in segnali leggibili dalla macchina e ci permette di muoverci nel mondo virtuale con i nostri cinque sensi come fossimo nel mondo reale. Anche se nei VirtuaGiochi molte sensazioni, come la fame, il sonno, il caldo, il freddo e il dolore non le proviamo. Ma solo perché le variabili non sono state scritte nel programma. Insomma, chi giocherebbe a un VirtuaGioco survival horror se ogni volta che riceve una ferita sente dolore?”
“Ma perché?” chiese Claire, “Perché intrappolarci in un VirtuaGioco contro la nostra volontà, facendoci sentire dolore e…tutto il resto? Insomma, cosa vuole dimostrare il Game Master? E poi non potrebbe mica commercializzarla questa tecnologia, no? Nessuno la comprerebbe.”
“Magari non è interessato a vendere la tecnologia” interloquì Sarah. “Magari…vuole solo dimostrare che funziona…?”
“A quale scopo?” intervenne Aku, “Voglio dire, se non può commercializzarla, questa scoperta…E poi deve essere un esperimento illegale, altrimenti ce lo avrebbero chiesto. Avrebbero messo una richiesta da qualche parte per il beta testing.”
“In ogni caso, non potremo parlarne” disse Dawn, attirando gli sguardi interrogativi degli altri, “Chi ci crederebbe? Al racconto di un gruppo di ragazzini che, durante la notte, sono stati trasportati in un VirtuaGioco con una tecnologia non meglio identificata e costretti a giocare a Hazardous? Al massimo, anche se ne parlassimo sui nostri profili iConnect, o nei forum o che so io…Diventerebbe una leggenda metropolitana.”
“Ragazzi, mi state facendo venire mal di testa!” protestò Claire. “E stiamo perdendo tempo!”
Indicò l’atrio con un ampio gesto del braccio destro — il sinistro le faceva ancora male.
“Quanto tempo ci resterà per uccidere Ragnarok e andarcene da qui?”
“Clary ha ragione” disse Michael, che fino a quel momento si era tenuto in disparte, le braccia conserte. “A questo punto è meglio se andiamo avanti con il gioco. Ormai resta da giocare solo il livello finale.”
“Come ci organizziamo?” chiese Daniel.
Seguì un breve consiglio tattico, durante il quale i ragazzi parlarono di come affrontare la maratona finale per battere il boss del gioco e fuggire da Howling Hollow prima che venisse rasa al suolo con un ordigno nucleare.

Ragnarok non poteva essere ucciso utilizzando le armi tradizionali e neppure usando gli incantesimi di Sophie, Dawn o Sarah. Era una costante del gioco al quale si ispirava lo scenario nel quale si trovavano e il Game Master — avevano deciso di riferirsi chiamandolo così al loro misterioso carceriere virtuale — aveva mantenuto la costante anche nello scenario che aveva disegnato per loro. L’unica arma che poteva sconfiggere Ragnarok era custodita nei sotterranei dello stabilimento, dove si trovavano i laboratori nei quali la Asclepius studiava nuovi tipi di armi non biologiche ed era un cannone al plasma. Il laboratorio che lo ospitava si trovava nel primo seminterrato.
Siccome mancava la luce elettrica, dovettero scendere utilizzando le scale antincendio, dove erano rimasti intrappolati alcuni inservienti, un paio di scienziati e altri impiegati zombie — zombieficati mentre cercavano di sfuggire al contagio. Michael e Daniel aprivano la strada, con Sophie, Dawn e Chihiro nel mezzo e Claire, Sarah e Aku che chiudevano la retroguardia. Ormai gli zombie non gli facevano più né caldo né freddo. Vennero sistemati con gesti automatici; ma nel corridoio dei laboratori potevano trovarsi altri mostri.
Giunti nel corridoio infatti si scontrarono con uno STALKER, uno dei prodotti della follia di Burke.
Per abbatterlo fu necessario uno sforzo collettivo. Lo STALKER, come i Raptor, non era un prodotto accidentale di un esperimento sfuggito al controllo: era stato appositamente creato per essere un’arma biologica umanoide estremamente resistente e adattabile. Al contrario dei Raptor, non agiva in branco; era un cacciatore solitario — ma aveva un’intelligenza creativa che rese il combattimento particolarmente arduo.
Poiché si adattava alla situazione variando la propria risposta in base alle azioni del nemico, ai ragazzi fu richiesto uno sforzo tattico; giunti a quel punto, si rivelò particolarmente arduo — erano stanchi, provati e con loro c’era Chihiro che era praticamente disarmata e per questo andava protetta.
Impiegarono una mezz’ora circa per abbattere lo STALKER.
Quando il mostro si abbatté al suolo e scomparve, si guardarono intorno per orientarsi. Il corridoio aveva porte disposte a intervalli regolari lungo i due lati. Era rischiarato solo dal lucore azzurrognolo delle luci d’emergenza, che lasciavano pozze scure dove il cono di luce non illuminava.
I ragazzi avevano i nervi a fior di pelle. Erano stanchi. E affaticati. In quelle pozze d’oscurità potevano nasconderei zombie, Raptor, STALKER, sottoprodotti di altri esperimenti e chissà cos’altro.
“Tranquilli” li rassicurò Claire. “A questo punto non ci sono altri nemici da abbattere. Rimane solo Ragnarok. Venite, il laboratorio in cui si trova il cannone è da questa parte.”
Claire guidò gli amici al laboratorio, un’officina futuristica con schermi di computer incastonati nelle pareti e il prototipo del cannone al plasma che occupava praticamente tutta la superficie del laboratorio.

Claire si fece aiutare da Michael e Daniel per rimettere online i gruppi elettrogeni di continuità, poi si mise al computer per programmare il cannone al plasma. Essendo un prototipo, poteva scagliare un unico colpo. Poi si sarebbe surriscaldato e il sistema di sicurezza avrebbe forzato lo shutdown riportandolo offline per evitare un overload che lo avrebbe fatto esplodere.
“Ragnarok farà irruzione appena darò inizio al conto alla rovescia” spiegò Claire. “Uno di noi deve fare in modo che si trovi a portata di tiro del cannone quando finisce il conto alla rovescia. Mi occuperò io di Ragnarok. Ho un conto in sospeso con quel bastardo. Gli altri è meglio che si mettano al riparo. Trovate dei punti in cui nascondervi. Ragnarok comparirà non appena avrò impostato il conto alla rovescia.”
Claire attese che gli amici trovassero riparo, quindi premette INVIO e una voce elettronica prese a scandire il conto alla rovescia. Ragnarok fece irruzione sfondando la porta ed emettendo quel suo ringhio-ruggito-grido così caratteristico. Claire attirò la sua attenzione conficcandogli tre proiettili nella schiena.
“Vieni a prendermi, bastardo!” esclamò, aggirando un banco di consolles e dirigendosi verso la bocca di fuoco del cannone. Per assicurarsi che Ragnarok la seguisse, continuò a impallinarlo di piombo.
Ragnarok fece saettare i tentacoli. Claire evitò il colpo con una capriola. -5.
“START” disse Ragnarok con una voce gutturale che sembrava provenire dall’oltretomba.
“Vuoi la S.T.A.R.T.?” replicò Claire, come da copione, “Te la do io la S.T.A.R.T.!”
Si piazzò davanti alla bocca di fuoco del cannone e sparò altre salve di proiettili. -3.
Ragnarok fece di nuovo saettare i tentacoli. Claire li schivò spostandosi velocemente di lato e digrignò i denti. Doveva fare in modo che Ragnarok si mettesse dove si trovava lei in quel momento. -2.
Dawn, Sophie e Sarah evocarono i loro incantesimi di fuoco più potenti e colpirono Ragnarok alle spalle.
Claire dovette eseguire un salto mortale all’indietro per evitare che il bestione le cadesse praticamente tra le braccia. -1.
La voce elettronica del computer annunciò che il cannone era online e pronto a fare fuoco.
“Copritevi gli occhi!” urlò Claire.
Era fatta. Ragnarok era in ginocchio davanti alla bocca di fuoco del cannone. Il getto di plasma incandescente lo investì e lo accese come una torcia. Bruciò emettendo un orribile lamento.
I ragazzi non rimasero a guardarlo bruciare. Fecero per aggirare l’agglomerato di carne putrefatta ormai divenuto carcassa, ma in un ultimo impeto d’ira il mutante espulse un getto acido che avrebbe colpito Claire.
Ma lei ricordava e lo evitò con uno scatto di reni, guidando poi gli amici a un’uscita d’emergenza che dava su una tromba di scale.
“Altre scale?” protestò Sophie.
“Senza la corrente gli ascensori non funzionano” replicò Claire.
“Ma chi l’ha progettato questo gioco, non poteva metterci un montacarichi alimentato con un generatore diesel?”
“Spiacente, l’unico aggeggio elettronico funzionante era il cannone.”
“Sophie, risparmia il fiato per l’arrampicata” disse Michael. “Ci resta poco tempo.”
A quel punto era questione di minuti prima che la città venisse annientata. Un po’ correndo, un po’ camminando, un po’ incespicando, guadagnarono l’elisuperficie sul tetto dell’ala est del complesso.
Daniel recuperò un razzo segnalatore da una cassa lasciata lì in un angolo e lo sparò nel cielo per attirare l’attenzione dell’elicottero, quando udì il rumore del rotore in lontananza. L’elicottero arrivò puntualmente e al portellone si affacciò Anna, la sorella minore di un loro compagno di scuola di un anno più grande, Luca.
“Fate presto! Gli F-18 saranno qui a minuti!”

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