ProjectA14 — Part 2 Chapter 13

Future Perfect {?}

Valentina Bertani
Project A14

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Quando Neelam rientrò nel Rifugio, trovò Sef, Samuele e un altro Ingegnere, Naoko, riuniti intorno a un tavolo.
Era raro che Angeli e Ingegneri trascorressero del tempo insieme. Gli Ingegneri erano la voce che guidava un Angelo durante una missione, fornendo tutte le informazioni necessarie; a volte, come Samuele, si divertivano a punzecchiarti, ma al di fuori della Simulazione erano come acqua e olio; semplicemente non si mischiavano.
Sef e i due Ingegneri sedevano a lati opposti del tavolo e si parlavano a voce bassa, senza guardarsi negli occhi, lo sguardo fisso sui propri PPAD. Neelam si rasserenò. Stavano discutendo di una missione. Poi si rabbuiò di nuovo. Che uno o più Ingegneri e uno o più Angeli si mettessero intorno a un tavolo a discutere di una missione significava guai. E visto quello che era successo nella Simulazione, potevano essere solo cattive notizie.
Neelam tentò di sgattaiolare di nuovo nell’ascensore, per scendere nell’area degli alloggi, ma Sef la intercettò con lo sguardo e fu costretta a raggiungerli al tavolo.
“Che succede?”
Sef le fece segno di prendere posto e le passò il suo PPAD.
“Stiamo analizzando le videoregistrazioni della tua ultima ronda.”
Neelam non aveva bisogno di guardare le immagini sullo schermo. L’esperienza era vivida nella sua testa.
Posò il PPAD e lo lasciò spento. Deglutì per scacciare un’ondata di nausea.
“Quindi?”
“Il ragazzo ha detto qualcosa prima di farsi esplodere” disse Naoko. “Illuminati.”
“Sì, me lo ricordo” replicò Neelam. “Ma che significa?”
Naoko scrollò le spalle.
“Per me sono la solita setta di fanatici che saltano fuori periodicamente nella Simulazione.”
Neelam scossò a Sef un’occhiata interrogativa. Le rispose Samuele.
“Abbiamo fatto una ricerca e non è la prima volta che la parola salta fuori nel nostro database. Abbiamo trovato dei graffiti sui muri di alcuni quartieri e intercettato delle comunicazioni online. Il problema è che non siamo riusciti a identificare la loro posizione…dove si riuniscono, insomma.”
“Potrebbero non avere un quartier generale.”
“Tu sei l’unica diver che abbia passato tutti i test per i long dive, quindi…”
“Volete che vada là dentro e faccia un po’ di investigazione vecchio stile, qualcosa che non si può fare nello spazio breve di una ronda.”
Neelam scoccò a Sef un’occhiataccia.
“Tu lo sapevi! È per questo che sei venuto a cercarmi nella cupola.”
Sef scrollò le spalle.
“Revocheremo i tuoi privilegi d’accesso, per la durata della missione” disse Naoko.
“Naturalmente se dovessi trovarti nei guai restaureremo subito i parametri da Angelo!” si affrettò ad aggiungere Samuele.
“Avrei comunque detto di sì.”
Era stufa delle olografie di panorami idilliaci che simulavano le finestre e dell’aria stantia dei rifugi. La Simulazione non era reale, era fatta di pixel e algoritmi, ma c’erano il cielo azzurro, l’aria aperta, i laghi, i boschi, le montagne, persino il mare. Sarebbe stato un piacevole cambio di panorama.

Normalmente un dive avveniva applicando una clip wireless alla base della collo, dov’era installato un chip che raccoglieva a livello del midollo allungato i segnali mandati al corpo e li trasformava in segnali digitali per controllare l’avatar nel mondo simulato. La clip trasmetteva al chip i segnali generati dal mainframe su cui risiedeva la Simulazione e bloccava tutti i segnali generati dal corpo reale, permettendo l’esperienza immersiva nella realtà virtuale. Il chip veniva chiamato anche porta spinale e la clip era l’evoluzione dei vecchi visori a occhialoni. Siccome il corpo era in uno stato simile a quello del sonno REM, non c’era bisogno di guanti, joystick o pad per controllare l’avatar nel mondo virtuale. In un certo senso, era come incarnare il proprio avatar.
Per il long dive si usava un’apparecchiatura più ingombrante, simile a una capsula di stasi senza la funzione di congelamento. Inoltre il corpo reale doveva essere nutrito e idratato per via endovenosa. I sensori per monitorare il diver erano installati nel lattice che rivestiva la parte inferiore della capsula. Per permettere al lattice di funzionare correttamente, il diver indossava una guaina che manteneva la temperatura del corpo a livelli normali e permetteva ai sensori di svolgere il loro lavoro. Quando entravi nella capsula venivi completamente ricoperto dal lattice, a parte il naso e la bocca, su cui però veniva posata una mascherina per l’ossigeno. Alla porta spinale invece della clip veniva collegato un cavo che finiva direttamente nel mainframe.
Un long dive poteva durare ore, giorni, settimane. Nel Rifugio 237, Neelam era l’unica che aveva superato i test di resistenza senza mostrare effetti collaterali. Sef aveva sofferto per una settimana di una emiparesi della parte destra del corpo. Camilla aveva vomitato l’anima dopo essere stata scollegata dal suo primo test e si era rifiutata di farne altri. Hiromi delirava e avevano dovuto sedarla e tenerla in osservazione per un giorno intero. Joshua si era rifiutato di affrontare i test per il long dive.
Neelam aveva stabilito un record restando collegata per quattro giorni senza interruzioni ed emergendo dal long dive perfettamente lucida, padrona di se stessa e senza provare nausea, emicranie, aritmie o altri stati negativi.
Il test avveniva in un mondo progettato appositamente per valutare la reazione del diver ed era simile a un videogioco educativo, con mondi da esplorare, obiettivi da raggiungere, enigmi da risolvere. Neelam lo aveva trovato divertente — nei Rifugi non esistevano molti tipi di svaghi, a parte quelli che offrivano la biblioteca, la palestra, la piscina e la sala ricreativa nella quale si trovavano un tavolo da tennis, un biliardino e dei giochi da tavolo.
I computer venivano usati solo per lavoro — per sorvegliare la Simulazione, risolvere gli errori, fare la manutenzione periodica del codice. I PADD potevano interfacciarsi con i server della biblioteca per scaricare libri o giochi rudimentali ma più che altro venivano usati per leggere e inviare rapporti. Il mainframe ospitava la Simulazione, che a sua volta conteneva degli algoritmi per generare, all’interno della Simulazione, dei VirtuaGiochi, un medium di svago popolare nel mondo simulato, ma cui gli Angeli, durante le ronde, non avevano accesso. Il test del long dive era quanto di più simile si poteva trovare a un VirtuaGioco.
La preparazione al long dive era snervante. Dovevi stare a digiuno per 24 ore, ti veniva inserito un catetere nella mano per nutrirti e idratarti per via endovenosa, venivano eseguiti tutta una serie di esame e l’immersione nel lattice della capsula era quanto di più disgustoso Neelam potesse immaginare. Una volta collegato il cavo per il long dive, sistemata sulla faccia la mascherina per l’ossigeno e ottenuto il nullaosta dell’assistente medico, però, la strada era tutta in discesa. Il suo personale biglietto per il Paese delle Meraviglie.

“Allora, come procede l’indagine?”
“Sono qui da una settimana, Sef. Ho avuto appena il tempo di guardarmi intorno. Ho fatto amicizia con una ragazza che frequenta il mio corso di Inglese. Frequento un club di informatica. Non sembrano i tipi che si farebbero saltare in aria ma sto tenendo occhi e orecchie bene aperti. In questo momento non girano pettegolezzi di gente che si fa scoppiare in mille pezzi per una setta di Illuminati. Almeno non a scuola.”
“Okay.”
“Vuoi una tazza di tè? Ho anche dei dolcetti. C’è una pasticceria qui vicino che fa delle cupcakes favolose.”
“È un mondo virtuale, Neelam.”
“Mi trovo bene qui.”
“Il Rifugio ti sta stretto.”
“Non posso farci niente.”
“Tutto questo non è reale.”
“Anche i Rifugi potrebbero non essere altro che parte di una simulazione più grande.”
Sef si alzò.
“Devo finire il mio giro.”

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