Adele Succetti
psicoanalisi lacaniana oggi
8 min readOct 31, 2018

--

Desiderio e volontà nel Seminario VI di Jacques Lacan — Sezione clinica di Milano 15 settembre/13 ottobre 2018

Prima di affrontare la tematica del desiderio e della volontà tramite la figura di Amleto, che affronterò nel prossimo incontro, vorrei fare un rapido riassunto di quello che Lacan ha elaborato, rispetto al concetto di desiderio in psicoanalisi, prima del Seminario VI.

Il desiderio prima del Seminario VI

Il desiderio — termine che viene dal latino de-siderare e che sta ad indicare “l’atto di chi distoglie lo sguardo dalle stelle perché l’augurio tanto atteso non arriva” — è al cuore dell’esperienza psicoanalitica. È il Wunsch che Freud ha rinvenuto nelle sue analisi dei sogni, dei motti di spirito e di tutte le formazioni dell’inconscio: qualcosa che è stato precedentemente rimosso, cancellato, prende la via del ritorno del rimosso e, nonostante gli ideali e la legge simbolica, si manifesta grazie alle vie dell’inconscio. Si presenta come qualcosa che fa segno della singolarità soggettiva, in contrasto con le regole della morale civile. In questo il desiderio è sempre trasgressivo e, come indicherà Jacques Lacan nel 1960, nella sua “Conferenza a Bruxelles sull’etica della psicoanalisi”, prendendo spunto dall’Epistola di San Paolo ai Romani, è il rovescio della legge: non c’è desiderio, infatti, senza legge. È la proibizione che produce il desiderio. Ma che succede oggi, in un’epoca in cui — a differenza del secolo scorso — piuttosto che la legge o gli ideali, che funzionavano da limite, prevale invece l’imperativo di godimento, l’oggetto reale da avere e di cui godere? Che fine ha fatto il desiderio? Esiste ancora? Come e dove si manifesta?

Anzitutto possiamo dire che, per Lacan — a partire già dallo “Stadio dello specchio” — il desiderio del soggetto, dell’uomo, è il desiderio dell’Altro: il desiderio del soggetto, cioè, si anima per quello che ritiene essere l’oggetto del desiderio dell’altro, come si vede nel dramma riferito da sant’Agostino rispetto all’invidia gelosa che ha provato vedendo il suo fratello di latte attaccato al seno materno. (1) A questo livello si tratta, da un lato, dell’identificazione/alienazione immaginaria, all’altro piccolo, e, dall’altro, della funzione di mediazione, dialettica, del desiderio. In seguito Lacan mette in valore piuttosto la versione hegeliana del desiderio: il desiderio è desiderio “di far riconoscere il proprio desiderio”. (2) In questo caso, Lacan sottolinea il valore di riconoscimento simbolico del desiderio: il desiderio non è più desiderio di un oggetto ma desiderio di essere riconosciuto dall’Altro. In “Funzione e campo della parola e del linguaggio”, del 1953, il desiderio viene presentato ancora sotto un’altra forma: è quello che sfugge alle prese del simbolico e al suo determinismo. Per essere “soddisfatto nell’uomo, esige di essere riconosciuto, tramite l’accordo della parola o la lotta di prestigio, nel simbolo o nell’immaginario”. (3) Ed è in questo che risiede una delle funzioni della psicoanalisi, come luogo in cui il desiderio — anche se minimo (un “poco di realtà”, dice Lacan) — può essere riconosciuto.

In seguito, però, già a partire da “L’istanza della lettera” (1957), il desiderio assume altre connotazioni, meno idealistiche ed esaltate: “il desiderio”, scrive Lacan, “è una metonimia, anche se l’uomo se ne fa beffe”. Il desiderio è una metonimia in quanto si colloca nello scarto tra domanda e bisogni, tra il simbolico e il corpo. Come un furetto il desiderio corre sotto le parole ma non si può esprimere mai chiaramente — come dice Lacan nel Seminario VI: è “la scala di linguaggio articolato anche se non è articolabile”. Quindi il desiderio inconscio non si può articolare ma è “la scala”, come la scala musicale, è ciò che sta sotto le parole articolate. Non dipende dalla volontà del soggetto e neppure dal riconoscimento dell’Altro ma si colloca nel posto vuoto della freccia tra S1 e S2, è incluso quindi nell’Altro del simbolico, nel buco del linguaggio, da cui, però, come vedremo meglio in seguito, il soggetto si difende. Il desiderio è una metonimia in quanto, nel passaggio da S1 a S2, quello che si veicola è la mancanza. Lacan definisce il desiderio come una metonimia — cioè la successione di significanti contigui che veicolano una mancanza, la mancanza ad essere — poiché il vuoto in cui si colloca e da cui si origina il desiderio corrisponde alla mancanza inscritta nell’essere parlante, determinata dal simbolico, anch’esso mancante. In questo il desiderio è sempre, per definizione, desiderio insoddisfatto: sempre alla ricerca di altro, di Altra cosa, si sposta, si accende laddove c’è mancanza… É il motore stesso da cui prende origine la creazione artistica e che spinge l’artista al suo lavoro infinito, mai soddisfatto del risultato ottenuto.

Perché, però, il soggetto si difende dal desiderio? Lacan lo spiega a partire da “La significazione del fallo”, in cui il fallo viene ad occupare il posto in cui il significante manca, è un effetto del significante, cioè un effetto di significato così come il Nome-del-Padre interpreta la x del desiderio materno. Il fallo, dice infatti Lacan, “è il significante destinato a designare nel loro insieme gli effetti di significato, in quanto il significante li condiziona con la sua presenza di significante”. (4) E inoltre:

“Il fallo è il significante privilegiato del marchio in cui la parte del logos si congiunge con l’avvento del desiderio. Si può dire che questo significante è scelto come il più saliente di quello che si può afferrare nel reale della copulazione sessuale, come anche il più simbolico nel senso letterale (tipografico) del termine, poiché vi equivale alla copula (logica). Si può anche dire che per la sua turgidità è l’immagine del flusso vitale in quanto esso passa nella generazione.” (5) Il fallo, quindi, è il simbolo del desiderio, significante della mancanza e al contempo significante mancante (-phi). Esso viene a velare la divisione, il buco strutturale del soggetto, e dell’Altro, laddove si origina il desiderio. Per capire meglio dove si localizza il desiderio, può essere utile riprendere una indicazione precisa di Lacan rispetto all’obiettivo del lavoro analitico. Come dice ne “La direzione della cura”, “non si tratta dell’assunzione da parte del soggetto delle insegne dell’altro, ma della condizione per cui il soggetto deve trovare la struttura costituente del suo desiderio nella stessa beanza aperta dall’effetto dei significanti in coloro che per lui vengono a rappresentare l’Altro, in quanto la sua domanda è a loro assoggettata.” (6)

La significazione del fallo, quindi, è una difesa rispetto alla castrazione materna e al fatto che, come indica Lacan nel Seminario VI, “non esiste Altro dell’Altro”, l’Altro è esso stesso mancante, bucato. É di fronte al desiderio dell’Altro, enigmatico, che il desiderio del soggetto prende la via della formazione di sintomi, fobie … o altro. Nel caso del piccolo Hans, ad esempio, la fobia è una risposta di fronte al godimento del corpo proprio e, dall’altro, un limite (di protezione) di fronte all’enigma del desiderio materno. Nel caso dell’isteria, il desiderio è una difesa in quanto esso deve restare insoddisfatto, è possibile solo se insoddisfatto… e lo fa attraverso il suo fantasma, in posizione di oggetto che mantiene vivo il desiderio impedendone la soddisfazione. L’ossessivo, invece, si tiene a distanza dal proprio desiderio, procrastina rendendolo impossibile. Mentre il nevrotico si difende dal desiderio attraverso il suo desiderio, il perverso realizza — tramite il suo collocarsi accanto all’oggetto — il desiderio. In questo modo, però, si difende anch’esso dal desiderio dell’Altro anticipandolo, provocandolo.

Il desiderio, quindi, è piuttosto una difesa rispetto al desiderio… ma perché? Lacan lo indica in un altro modo nel 1960, nella sua “Nota sulla relazione di Daniel Lagache” in cui afferma che “É quello che gli permetterà di prendere, al vero termine dell’analisi, il suo valore elettivo, figurando nel fantasma ciò davanti a cui il soggetto si vede abolirsi realizzandosi come desiderio. Per accedere a quel punto aldilà della riduzione degli ideali della persona, è come oggetto a del desiderio, come quello che è stato per l’Altro nella sua erezione di vivente, come il wanted o l’unwanted della sua venuta al mondo che il soggetto è chiamato a rinascere per sapere se vuole quello che desidera… questo è il tipo di verità che, con l’invenzione dell’analisi, Freud portava in luce”. (7) Il soggetto si difende dal desiderio in quanto la sua realizzazione implica che l’oggetto a causa di desiderio (per l’Altro) abolisca, annulli il soggetto stesso. Il soggetto, infatti, si identifica all’S1 e all’oggetto del desiderio dell’Altro.

Dopo il Seminario VI, che cercherò di affrontare con la figura di Amleto, nel suo insegnamento successivo, a poco a poco Lacan trasformerà la mancanza, il buco del linguaggio — da cui emerge il desiderio — in oggetto plus-godere, negli oggetti a “sostanze episodiche del godimento”. In effetti, il desiderio inconscio si aggancia ad esperienze di godimento del corpo proprio, traumatiche — secondo la definizione del godimento sempre traumatico per l’essere umano — che non può far altro che ripetere (alla ricerca dell’oggetto perduto). In questo senso, esistono desideri orali, desideri anali, desideri scopici legati allo sguardo e desideri invocanti legati alla voce. Ad esempio, la bambina che si identifica — senza saperlo — al cibo amato dal nonno, svilupperà un desiderio, e una soddisfazione, di tipo orale. Il desiderio, però, proprio in quanto articolato al simbolico, è di per sé una difesa rispetto al godimento, in cui il soggetto si annulla, in cui non ha più un suo spazio, ovvero lo spazio della mancanza. Il godimento, in questo senso, per l’essere parlante è sempre “traumatico”, mentre il desiderio permane dentro una logica significante, una logica del senso e della mancanza.

Per questo motivo, il desiderio resiste, inestinguibile e incurabile: si manifesta quando il soggetto meno se lo aspetta, come un enigma, una stranezza incomprensibile, produce una divisione soggettiva tra la soddisfazione del corpo — mediante oggetti, gadget o qualsiasi altra pratica del corpo — e l’insoddisfazione costituiva del desiderio umano. Il desiderio insiste e sorprende per le sue eccentricità poco ortodosse. Nell’esperienza analitica, ad esempio, il desiderio si mostra per i suoi eccessi, le sue deviazioni e, a livello sessuale, per le sue défaillances. Per questo, negli anni ’70 il desiderio verrà più inteso come difesa dal godimento e il fallo come interpretazione “standard” dell’enigma del godimento.

Oggi, nel mondo globalizzato (e standardizzato) degli oggetti e dei godimenti “per tutti”, il desiderio si può cogliere solo in quello che vi è di più soggettivo, che non vale per tutti ma bensì per uno solo. Ciò significa che il desiderio si manifesta nel sintomo perché, come dice Lacan, è “dal desiderio che parte ciò che costituisce il sintomo”. L’esperienza dell’analisi permette, quindi, a chi lo vuole, di passare dai sintomi prêt-à-porter imposti (e riconosciuti) dagli imperativi contemporanei al sintomo su misura, al sintomo soggettivo e, di conseguenza, al desiderio — sempre eccentrico — che lo abita. Per fare questo, però, è necessario il discorso analitico, che non ha un’idea — più o meno fissa — del bene del soggetto… che mette al posto di comando non un significante ma un desiderio e una presenza, quelli dell’analista.

(1) J. Lacan, « Le stade du miroir », Ecrits, p. 98.

(2) J. Lacan, « Propos sur la causalité psychique », Ecrits, p. 181.

(3) J. Lacan, « Fonction et champ de la parole et du langage », Ecrits, p. 279.

(4) J. Lacan, « La signification du phallus », Ecrits, p. 690.

(5) Ivi, p. 692.

(6) J. Lacan, « La direction de la cure », Ecrits, p. 628.

(7) J. Lacan, « Remarque sur le rapport de Daniel Lagache », Ecrits, p. 682.

--

--