Adele Succetti
psicoanalisi lacaniana oggi
11 min readFeb 1, 2018

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Il tempo in psicoanalisi, secondo Jacques Lacan

Seminario Lacan presso l’Officina Coviello — Via Tadino 20, Milano

31 gennaio 2018

Il tempo è una questione complessa, affrontata dai fisici, dagli scienziati, dai filosofi, dagli artisti e dagli psicoanalisti… Eppure, ho deciso di provare a dire qualcosa di questa questione per rispondere ai pregiudizi diffusi sul tempo dell’analisi, che oggi, nella nostra vita quotidiana, sembra non trovare spazio… “Non ho tempo! L’analisi dura troppo… ecc..”. Purtroppo questa idea non riguarda solo la gente comune, spesso troppo abituata, non tanto a correre, quanto piuttosto ad essere sballottata, gettata, da un impegno all’altro, da un oggetto all’altro, anch’essa oggetto fra gli oggetti, ma anche gli psicoterapeuti.

Alcuni di loro, infatti, pur d’orientamento psicodinamico, per essere più “competitivi”, per rispondere più alla domanda “mordi e fuggi” di oggi, si sono spostati verso l’EMDR, ovvero una tecnica cognitivo-comportamentale che sostiene di eliminare i traumi in 8/10 sedute!! Ma di cosa stiamo parlando? In realtà, come mi ha confermato una collega, in 8/10 sedute il terapeuta chiede al paziente di rievocare un trauma di lieve entità, poi gli chiede di far emergere le idee limitrofe e su queste interviene in modo direttivo per togliere loro forza… Il paziente è andato da lui in quanto sofferente e in quanto non ne vuole sapere niente di quello che lo causa come inconscio, e la cura è servita precisamente a non farlo pensare, a fare in modo che non si renda responsabile — non, ovviamente del trauma — ma piuttosto del modo in cui lo vive, del modo in cui il trauma incide sulla sua vita e sulla sua persona. In questo modo, può continuare a dormire, ad occhi aperti. Come segnala Lacan, infatti, nonostante la sofferenza, nonostante i sintomi siano talvolta insopportabili, il soggetto “è sempre felice”: non esiste desiderio di sapere, quello che ci causa, mentre esiste sempre e ancora il sogno ad occhi aperti che è un altro modo di dormire per non saperne nulla. Come ha detto una volta Lacan, in realtà, “non ci si sveglia mai, i desideri alimentano i sogni”.

Nell’orientamento analitico, che non sempre si concretizza in una cura psicoanalitica di anni o anche di mesi, l’analista o lo psicoterapeuta orientato dalla psicoanalisi aiuta il paziente a superare il suo “non volerne sapere” e ad affrontare quello che per lui non va. Mostrandogli quello che ne dice e come lo dice, anche se la cura si interrompe, anche se è breve, il paziente ha comunque modo di iniziare a farsi responsabile, a farsi soggetto della propria storia, delle proprie difficoltà. E talvolta può portarsi a casa degli strumenti minimi per affrontare diversamente gli inciampi che incontra sulla propria strada. Il che è ben diverso che essere oggetto del sapere dell’altro, oggetto del trauma, oggetto della diagnosi che lo psichiatra o un ipnotista può fare su di lui… e continuare a dormire.

Il tempo della seduta e l’inconscio

Lacan è stato attaccato, addirittura scomunicato, e ancora oggi i lacaniani sono oggetto di sospetto per la pratica della seduta breve che, per essere più appropriati, è piuttosto una pratica della seduta variabile. Il tempo standard della seduta, quello dei quarantacinque minuti canonici, di fatto, non è mai stato imposto da Freud e, per i post-freudiani, serviva soprattutto a limitare l’onnipotenza immaginaria dell’analista che, in primis, doveva rispettare la regola della neutralità analitica. Freud, però, nelle sue cure, si è mostrato più libero rispetto al tempo cronologico di quanto non lo abbia fatto la doxa freudiana dopo di lui. Alcuni pazienti sono stati seguiti per mesi, altri per periodi più brevi, tutti i giorni… quello che, però, Freud ha segnalato da sempre è il fatto che “l’inconscio non conosce il tempo” nel senso che i processi inconsci sono a-temporali e che il desiderio inconscio è eterno, o per dirlo nei termini di Freud, è “indistruttibile”, si ripete sempre uguale a se stesso.

Questo significa che l’inconscio, a livello soggettivo, non si fa influenzare dal tempo cronologico, dal tempo simbolico del mondo esterno: un ricordo anche banale può restare invariato nel tempo, un sogno o un incubo può ripetersi in modo continuativo, senza nessun senso, il fantasma porta a ripetere delle modalità di godimento, ecc… L’inconscio, infatti, dice ancora Lacan, “è qualcosa che «insiste», che viene dalle profondità del passato, che nulla in un certo senso può né soddisfare né modificare: è un elemento completamente paradossale, che sembra andare contro ogni riferimento biologico”. Il tempo della seduta, che si ripete con una certa cadenza, una o più volte a settimana, fa emergere in modo ancora più evidente le aporie che il tempo cronologico, quello dell’orologio o del computer, e il tempo soggettivo hanno posto ai fisici, agli scienziati e che gli scrittori molte volte hanno così ben descritto.

D’altro canto, il tempo della ripetizione è, come dice ancora Lacan, “specificatamente strutturale”, si ripete in modo ritmato, come nella frase un significante ne segue un altro. Ed è in questa alternanza significante che Lacan rilegge l’operazione di significazione, nachtraliglich, che costituisce il soggetto stesso. Come sappiamo da Freud, un evento è traumatico solo après-coup, a posteriori, in un tempo in cui il soggetto risignifica quello che gli è successo in precedenza nella realtà psichica (che può anche non corrispondere con una realtà fattuale) e che è stato rimosso. Il trauma (S1), quindi, avviene sempre in un secondo tempo, quello della significazione (S2) dell’evento. Esiste, quindi, una discontinuità, una faglia, tra la causa e l’effetto. E molto del lavoro di analisi consiste precisamente in un processo di risignificazione, cioè in un processo di lettura a ritroso, che però ha effetti nel presente e che determina il futuro. Come ha spiegato Jacques-Alain Miller, infatti, il tempo della seduta permette al paziente di sperimentare la “reversione temporale” o, in altri termini, il tempo retroattivo. Proprio per questo, egli afferma anche che: “L’inconscio di per sé non cambia, ma quello che può cambiare è il rapporto del soggetto con il suo inconscio”.

Sin dal 1945, quando introduce nella psicoanalisi il suo articolo Il Tempo logico o l’asserzione di certezza anticipata, Lacan comincia a interrogare l’uso del tempo che si realizza nell’esperienza analitica. A differenza di Freud, però, Lacan mette piuttosto in valore il modo in cui l’inconscio si manifesta come fenomeno, non come un sapere non saputo che agisce sul soggetto, sulle sue scelte, sulla sua vita. Lacan, infatti, sottolinea più il fatto che l’inconscio, pur essendo atemporale, in realtà si manifesta come una discontinuità. L’inconscio emerge come un fenomeno imprevisto e repentino che risalta ancora di più dentro il ritmo cadenzato e ripetitivo delle sedute analitiche, che è il luogo atteso, sempre uguale a se stesso, in cui si produce o in cui può prodursi l’imprevedibile.

L’inconscio, dirà infatti Lacan nel suo Seminario XI dedicato ai Quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, “si manifesta a noi come qualcosa che sta in attesa nell’aria, direi, del non-nato (…) del non-realizzato” (Seuil, pp. 25–26) che vuole realizzarsi. Per capire questo concetto basta pensare al lapsus, che avviene in un attimo, come un evento imprevedibile di cui spesso non ci accorge; la stessa temporalità contraddistingue il motto di spirito, la battuta, che deve essere rapida e inattesa. Lo stesso vale per le altre formazioni dell’inconscio, come l’atto mancato. Più avanti nel testo Lacan spiega in modo chiaro il motivo di questo cambiamento di prospettiva: “.. questa dimensione dell’inconscio che evoco, era dimenticato, come Freud aveva perfettamente previsto. L’inconscio si era richiuso sul suo messaggio, grazie alle cure di quegli attivi ortopedisti che sono diventati gli analisti della seconda e della terza generazione, che si sono impiegati, psicologizzando la teoria analitica, a suturare tale faglia”. (p. 26) Quindi Lacan sostiene che l’inconscio, in un certo qual modo, si abitua alla psicoanalisi o piuttosto al discorso comune sulla psicoanalisi e più se ne parla, più si chiude su di sé.

Più avanti nel Seminario ribadisce di nuovo che l’inconscio “si manifesta sempre in quello che vacilla in un taglio del soggetto, da dove ricompare qualcosa che si ritrova che Freud assimila al desiderio” (p. 29). L’inconscio, cioè, si manifesta secondo una temporalità simile a una pulsazione: ora c’è ora non c’è. Per Lacan, quindi, l’inconscio non è qualcosa di eterno, piuttosto è qualcosa a venire, è il futuro, di cui è fondamentale cogliere il tempo, addirittura l’istante e che, con il maneggio del tempo della seduta, occorre provocare. E quello che lo provoca è, nei termini di Lacan, il “desiderio dello psicoanalista”, che spinge all’elaborazione ma anche, e soprattutto, che introduce l’attesa, la sorpresa e un tempo altro, quello della fretta. Il tempo, quindi, per Lacan è un fattore fondamentale dell’esperienza analitica, che l’analista deve saper utilizzare per produrre le scansioni di quello che lui ha chiamato il tempo logico.

Il tempo logico nella cura

Se l’inconscio della ripetizione è atemporale, il transfert permette di inserire, durante la cura, il tempo del e nel sapere, quello che Lacan aveva chiamato il tempo logico della cura analitica suddiviso in istante di vedere (che esige la presenza di un referente che faccia segno e che si fonda sulla visione), il tempo per comprendere (che prevede l’elaborazione di un sapere, nel tempo necessario per ciascuno) e il momento di concludere, nella cura analitica propriamente detta, che prevede l’urgenza, la fretta che spinge alla conclusione. Molti anni dopo, quasi alla fine del suo lungo insegnamento, Lacan ritornerà sul concetto di tempo logico per dire che, di fatto, “non si può restare in sospeso poiché, a un certo punto si deve concludere”. Il problema è che “si conclude sempre troppo presto (per evitare) un troppo tardi”. Anche se con queste affermazioni, Lacan si riferisce all’esperienza analitica, è abbastanza chiaro che le difficoltà con il tempo, con la decisione e con l’atto che porta a concludere sono esperienze condivise da tutti: si perde tempo, proprio perché non se ne ha, ci si attarda, si agisce solo quando si è con le spalle al muro, si perdono le occasioni e si indugia nel rimpianto, si sogna ad occhi aperti un futuro più deciso. E poi si ricomincia…

Nel testo sul tempo logico citato sopra Lacan utilizza il sofisma dei tre prigionieri per mostrare come l’attesa — tempo necessario per vedere cosa fa l’altro e come l’altro si muove rispetto a lui, quindi per comprendere — possa trasformarsi in azione. L’azione, di fatto, è possibile solo dopo la scansione temporale che permette di cogliere l’esitazione degli altri, che si trasforma in certezza anticipata. Questo significa che il tempo dell’azione dipende dalla struttura significante.

Ricordo rapidamente l’apologo: il direttore di una prigione raduna tre prigionieri e dice loro che sarà liberato il prigioniero che indovinerà il colore del disco che porta sulla schiena. I dischi sono: tre bianchi e due neri. Su ogni prigioniero viene posto un disco bianco. I prigionieri, ovviamente, non possono vedere il disco che hanno sulla propria schiena e neppure possono parlare tra di loro, ma possono vedere i dischi sulla schiena degli altri. Dopo essersi studiati per un certo tempo, tutti i tre prigionieri vanno verso l’uscita e ognuno di loro conclude che il proprio disco è bianco (ed è così) con lo stesso ragionamento: “Se l’altro non si muove vuol dire che io sono un bianco”. Così, dopo un tempo per comprendere che si traduce in un arresto, in una sorta di paralisi, c’è il momento di concludere e tutti e tre si muovono verso l’uscita pensando di essere dei bianchi.

In questo apologo, il tempo cambia, ci sono due scansioni (l’istante di vedere e il momento di concludere) che determinano la decisione di uscire, che dipende, di fatto, dal movimento degli altri. L’atto di uscire è quindi un’anticipazione necessaria per concludere che dipende dall’Altro. Nella situazione analitica, è il transfert stesso che permette all’analizzante di accedere al tempo di sapere. Per questo motivo, Lacan introduce l’uso della seduta a tempo variabile, tendenzialmente breve, che agevola e precipita il tempo stesso della cura: l’analista aspetta il paziente alla seduta, aspetta il suo dire, produce l’attesa, poi segnala e sottolinea gli elementi significanti e significativi e produce quella che con Lacan possiamo chiamare una “fretta lenta”, una sorta di motore che spinge al lavoro, all’elaborazione. Il tutto non senza angoscia … perché la conclusione, il momento di concludere, è sempre complicato dal momento che implica una perdita.

Il tempo nella clinica

Come segnala J.-A. Miller nel suo articolo “Introduzione all’erotica del tempo”, a differenza dell’inconscio, la libido, la passione, l’amore sono sempre legati al tempo, al suo scorrere o al suo durare. Mentre l’amore sogna il “per sempre” dell’eternità, lo fa esistere, il desiderio e la libido sono segnati dall’intermittenza, che dipende dal soddisfacimento stesso del desiderio. Quando il desiderio si soddisfa, infatti, l’oggetto di desiderio perde il suo valore. Queste differenze del valore del tempo sono ancor più evidenti se pensiamo alle diverse modalità di amare e di desiderare proprie degli uomini e delle donne. Si tratta di usi sintomatici del tempo, che, proprio per questo, mostra qui il suo carattere di oggetto a minuscolo.

L’ossessivo, come Amleto, ha un rapporto speciale con il tempo, cioè la procrastinazione: egli infatti rimanda fino all’ultimo, tentenna, si prende tempo perdendolo, perché il rapporto con il suo oggetto del desiderio è quello di aspettare e di “farsi aspettare”. Gode di tutto ciò. Non riesce a decidere, rinvia il momento di decidere, vuole rendere infinito il tempo stesso. In realtà vuole farsi aspettare e gode del fatto che l’altro si attende qualcosa da lui; in questo modo tiene l’Altro in sospeso. Questa strategia gli serve per coprire la rivalità immaginaria che lo fissa all’altro. Pur di non perdere, rischia di non giocare mai!

Nell’isteria, invece, la donna si rifiuta al godimento per rendere eterno il proprio desiderio. Non accetta il carattere intermittente del desiderio, vuole che sia per sempre. In questo modo, però, il suo desiderio deve rimanere insoddisfatto, votato all’uomo ideale che spesso è identificato con il padre. D’altro canto, l’isterica soffre di ricordi passati di cui non sa nulla, in primis dell’incontro deluso con l’altro materno, da cui non ha avuto quello che avrebbe voluto, che l’ha lasciata insoddisfatta. In questo caso, il rapporto con il tempo è segnato dall’idealizzazione di un tempo passato o di un tempo futuro che non corrisponde mai al tempo presente.

La psicoanalisi applicata e il tempo breve

In alcune situazioni, ad esempio quando si lavora in una istituzione, il tempo della cura e il numero delle sedute non dipendono né da una scelta del terapeuta né, tanto meno, da quello che un paziente può richiedere, potrebbe desiderare oppure che può sopportare. Tutto viene deciso al di fuori della stanza d’analisi. Ed è proprio in queste situazioni, per così dire, estreme che l’insegnamento di Lacan riguardo al trattamento e all’uso del tempo risulta ancora più proficuo in quanto malleabile e inventivo. Ad esempio, nel periodo in cui ho lavorato come psicoterapeuta presso un reparto ospedaliero che si occupa di disturbi del comportamento alimentare, il tempo era deciso dal reparto: il paziente non sceglieva il terapeuta, non sceglieva neppure se fare o meno una psicoterapia e il tempo era limitato a un massimo di dodici-quindici sedute. Quindi che si può fare? Come aiutare pazienti che spesso non chiedono nulla (se non sfogarsi un po’, come fanno con le infermiere, le dietiste e i medici), pazienti così chiuse dentro il proprio sintomo da non lasciar spazio a nessun manifestazione dell’inconscio? Un terapeuta emdr-munito avrebbe, molto probabilmente, grandi difficoltà: i traumi sono molto importanti, incistati nel tempo, e il sintomo è talmente invasivo che influenza, quasi inevitabilmente, anche il reparto… con i suoi rituali legati al cibo. Forse il terapeuta ipnotista invece di ipnotizzare sarebbe ipnotizzato dai ritmi ossessivi delle pazienti che riecheggiano nel ritmo ripetitivo delle cure ospedaliere di ogni giorno (visite, cibo calcolato in grammature, spuntini, orari fissi per il bagno, e di nuovo visite.. ).

In realtà non so cosa potrebbe fare un collega con quelle tecniche… quello che mi ha colpito di più, però, è il tempo immobile del disturbo e del reparto. La pratica anoressica, di colei o colui che mangia poco o, come dice Lacan, che mangia attivamente “niente”, sospende apparentemente il tempo: è un “tempo interrotto” o sospeso che si ripete sempre uguale a se stesso per evitare l’incontro con l’angoscia, per evitare la decisione, la scelta, la presa di posizione. Funziona come una difesa protettiva dai rischi della scelta. Per smuovere qualcosa dell’immobilismo delle pazienti ho quindi introdotto delle sedute a tempo variabile, che spesso hanno interrogato la rigidità delle pazienti (e degli ospedalieri!). Dopo l’istante di vedere — quale fosse la struttura soggettiva della paziente che mi parlava — mi sono autorizzata a introdurre, con il tempo variabile, con le mie interrogazioni, delle minime sorprese, dei piccoli imprevisti… che hanno avuto i suoi effetti, in primis, che le ha autorizzate ad essere un po’ più vive.

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