Adele Succetti
psicoanalisi lacaniana oggi
10 min readAug 10, 2020

--

Seminario Lacan presso Officina Coviello — 14 febbraio 2020

Dopo aver parlato della magia, che abbiamo visto la volta scorsa, Lacan affronta la questione, più spinosa, della religione. Secondo Lacan, in essa la verità come causa, per il soggetto religioso, funziona come quella che Aristotele ha definito la causa finale, vale a dire il fine che essa deve realizzare: la verità, per il soggetto religioso, infatti è la salvezza dopo la morte, la vita celeste. Vediamo però, cosa ne dice Lacan nel testo “La scienza e la verità”. Come già Freud aveva teorizzato, con una “epifania che dà (…) una portata che supera qualsiasi critica tradizionale” (p. 872), nella religione funzionano “i meccanismi che conosciamo della nevrosi ossessiva” (p. 872). Se, infatti, la nevrosi viene definita da Freud come una religione privata, la religione assomiglia più a una nevrosi ossessiva collettiva, ha la sua stessa struttura, sia per quanto concerne la ripetizione di un cerimoniale — per scongiurare un pericolo o una disgrazia e per imbonirsi Dio — sia per la rinuncia alla soddisfazione pulsionale. La funzione della rivelazione nella religione, inoltre, “si traduce come una denegazione della verità come causa, cioè essa nega quello che fonda il soggetto a considerarsi come parte in causa” (p. 872). La rivelazione, cioè, colloca la verità fuori dal soggetto, nel luogo dell’Altro divino da cui essa dipende; per questo, il soggetto la accetta per fede ma, al tempo stesso, non si considera come parte in causa…. non dipende da lui.

Nella religione, inoltre, si verifica l’evitamento e l’annullamento del desiderio: come nella nevrosi ossessiva in cui il soggetto evita e annulla il desiderio dell’Altro, una x enigmatica che non sopporta, mentre mantiene il proprio desiderio, cioè la propria causa, solo come desiderio negativo oppure lo riduce nella forma concreta della domanda all’ e dell’Altro. D’altro canto, il soggetto ossessivo ha un rapporto religioso, di adorazione, con il proprio io, con il proprio corpo e le sue manie… che riesce sempre a giustificare. Per comprendere meglio questa lettura della religione come nevrosi ossessiva, vale la pena, però, di riprendere il testo di Lacan: “il religioso lascia a Dio l’onere/carico della causa, ma in questo modo taglia il suo accesso alla verità. (…) rimette a Dio la causa del suo desiderio, il che è propriamente l’oggetto del sacrificio. La sua domanda è sottomessa al desiderio supposto di un Dio che per questo si deve sedurre. Da qui entra il gioco dell’amore” (p. 872). Alla rinuncia del godimento, rimesso a Dio, ad opera di un Superio inibente, risponde infatti una soddisfazione sostitutiva che è legata all’amore. Il sacrificio della pulsione, lasciato in carico a Dio, viene cioè ricompensato dall’amore di Dio o amore del padre. Come indica Miller “l’operazione del Superio (erede di un padre che è anzitutto amore), visto nell’ottica della religione, è quella che permette di scambiare il godimento contro un guadagno d’amore”. Una soddisfazione prende il posto dell’altra, mentre quello che il soggetto religioso perde è il suo accesso alla verità-causa soggettiva.

Per quanto concerne la verità, secondo Lacan, “il religioso” la installa “in uno statuto di colpa. Ne risulta una diffidenza nei confronti del sapere” (p. 872), anche da parte dei Padri della Chiesa che hanno costruito teorie di alto livello ma che, di fatto spesso hanno svolto una funzione di difesa contro di essa. Nella religione, infatti, la verità “è rinviata a un giudizio di fine del mondo” (p. 872), cioè al giudizio universale, alla causa finale. Il pensiero teologico dei Padri della Chiesa, aggiunge poi Lacan, “non è una questione di fantasia (…) se c’è fantasma, è nel senso più rigoroso di istituzione di un reale che copre la verità” (p. 873). Un reale, cioè, è stato elaborato — il fantasma della passione, ad esempio — ed è questo che viene a coprire la verità soggettiva. Le decisioni dei vari Concili, dice ancora Lacan, mostrano una diffidenza, una denegazione della verità che viene ricoperta da un reale, “l’insostenibile della formulazione di un Dio Tre e Uno” (p. 873), che è il mistero stesso della Trinità ovvero il dogma. Con questo reale, a cui il credente deve credere, il potere ecclesiastico mostra il suo desiderio di scoraggiare la verità e il pensiero che essa può suscitare. Il reale della Trinità, però, suggerisce ancora Lacan, si mostra nel suo aspetto più angosciante in una tappezzeria del XVI secolo, allora posta all’ingresso del Mobilier National, in cui “le Tre Persone rappresentate in un’identità di forma assoluta (… sono) sulle rive della Creazione” (p. 873); mentre, infatti, la relazione umana si immagina nella dualità, la triplice forma identica, in quanto manifesta un troppo, qualcosa di perturbante, produce un effetto di angoscia. Chi sono le tre persone? Perché tre uguali?

Lacan termina la sua disamina sulla religione accennando al fatto che nel 1963–64 ha dovuto rinunciare a fare un Seminario sulla funzione del Nome-del-Padre (di cui esiste solo la prima lezione), perché gli psicoanalisti non erano — e forse, suggerisce Lacan anche in seguito, non lo sono ancora — pronti ad accogliere quello che avrebbe potuto chiarire su tale funzione, forma importante di difesa. Di questo seminario — detto comunemente il Seminario inesistente — esiste solo la prima lezione, pubblicata sotto il titolo “Dei Nomi-del-Padre” (Einaudi, Torino, 2006), in cui Lacan, dopo aver ripreso il suo concetto di angoscia — in relazione al desiderio e all’oggetto che lo causa — introduce una distinzione importante. Mentre Freud chiamava illusione la religione, cioè una sorta di oppio dei popoli, Lacan dice: “io la chiamo, dal canto mio, Chiesa” (Des noms-du-père, p. 75). Lacan, cioè, dà valore al legame sociale reale istituito dalla religione, nello specifico la chiesa cristiana. Mentre la religione rinvia la verità al giudizio universale, la Chiesa si adopera per creare, con la dottrina, i testi sacri, i dogmi e le cerimonie concrete, “un reale che copre la verità”. In effetti, dice Lacan che sta spiegando al suo pubblico perché non parlerà — come aveva previsto — del tema del padre, sia Sant’Agostino, sia gli altri sapienti della Chiesa, parlano del Figlio e dello Spirito Santo ma lasciano oscura la figura del Padre, di cui non si può dire. D’accordo con Sant’Agostino che, a differenza di altri, non attribuisce a Dio l’essere causa sui, Lacan ribadisce però il fatto che “c’è causa solo dopo l’emergere del desiderio” (Des noms-du-père, p. 77). La causa, infatti, deriva dal desiderio nel senso che è a partire dal desiderio che si può staccare, estrarre, qualcosa della causa, che lo ha prodotto. D’altro canto, il desiderio si costruisce a partire dal desiderio dell’Altro o, detto in altri termini, dalla sua mancanza, dalla sua inconsistenza… quindi non può essere causa sui. Nel breve testo consacrato ai nomi-del-padre, a differenza del testo più tardivo de “La scienza e la verità”, Lacan interroga, o meglio abbozza l’interrogazione che lo avrebbe occupato nel corso del seminario, e cioè la funzione del padre in relazione alla legge e al desiderio nel desiderio soggettivo. Accenna quindi alcuni concetti che non sviluppa ma che ci interessano perché Lacan stesso menziona questo testo ne “La scienza e la verità”. Mentre la perversione, dice Lacan, prende alla lettera la “funzione del Padre (…) del suo desiderio in quanto interessato nell’ordine del mondo” (Des noms-du-père, p. 89), la nevrosi si manifesta piuttosto come una fuga “di fronte al desiderio del padre, a cui il soggetto sostituisce la sua domanda” (p. 90). Di fronte all’angoscia del desiderio del padre, punto enigmatico, ignoto, a cui il soggetto non sa far fronte e da cui fugge, il soggetto gli attribuisce una richiesta, addirittura una domanda: Dio gli chiede un sacrificio… del figlio o del proprio godimento, di cui la circoncisione è un esempio preciso e concreto. In questo caso, si vede bene in che modo la religione corrisponde alla nevrosi ossessiva, in cui il desiderio è posto come desiderio impossibile, mentre la nevrosi è una religione privata. Il misticismo, invece, è molto diverso, esso, come dice Lacan, ha più a che fare con il godimento di Dio: in tutte le tradizioni, dice infatti Lacan, nel misticismo si tratta di “un’immersione del godimento di Dio” (Des noms-du-père, p. 90).

Torniamo ora al testo “La scienza e la verità”, in cui Lacan termina la sua riflessione sul tema della religione facendo propria la lettura di Claude Lévi-Strauss e affermando che il buddismo è una “religione del soggetto generalizzato, vale a dire che comporta una diaframmatizzazione (trasformazione in membrana che ricopre tutto) della verità come causa, indefinitamente variabile” (p. 874), in sintonia con l’utopia marxista della società. Senza entrare nei dettagli di queste differenze, Lacan conclude la sua lettura e interpretazione della religione come denegazione della verità affermando che “l’ecumenismo (l’unione di tutte le Chiese cristiane) ha le sue chances perché si fonda nell’appello ai poveri di spirito” (p. 874), vale a dire a coloro che non ne vogliono sapere nulla … del loro inconscio e del buco che questo costituisce in ogni forma di ontologia.

A questo punto, Lacan ritorna sul tema della scienza, che vuole chiarire attraverso lo stesso schema usato sinora per la magia e la religione. Comincia col dire che, in questa occasione, non dirà “quella che gli sembra la struttura delle sue relazioni con la verità come causa” (p. 874), perché è una questione che vuole approfondire nel corso dell’anno. Dice però che la “fecondità prodigiosa della nostra scienza” (p. 874) è da interrogare in relazione al fatto che “della verità come causa, la scienza, non vorrebbe saperne nulla” (p. 874). È un concetto che aveva già introdotto all’inizio del testo ma che, d’altro canto, è interessante mettere in relazione precisamente con lo sviluppo prodigioso, e illimitato, della scienza moderna. In un certo qual modo, la fecondità prodigiosa della scienza è l’altra faccia del fatto che non c’è il soggetto, non c’è l’ostacolo del singolare del godimento…. A differenza del non-volerne sapere della verità come causa propria della magia — che corrisponde alla Verdrängung, cioè alla rimozione — e a quella della religione — la Verneinung, la denegazione o diniego -, il non volerne sapere della scienza è più massiccio, è un rifiuto più importante (non c’è all’origine, nessun dire di sì che caratterizza, invece, la rimozione e il diniego… come avviene nella nevrosi), che Lacan associa alla Verwerfung, al rifiuto o forclusione del Nome-del-Padre nella psicosi. Già da alcuni anni, infatti, a partire dai testi di Freud sulla psicosi, Lacan aveva estratto da un lato l’operazione di forclusione di un significante simbolico per così dire standard (il nome-del-padre) che serve, di fatto, ad ordinare il mondo (esso funge da punto di capitone) e, dall’altro, gli effetti soggettivi che tale rifiuto produce (effetti di ritorno del simbolico nel reale, effetti di vacillazione a livello dell’immaginario, fragilità a livello del reale del corpo ecc..). Senza entrare nel dettaglio di questa elaborazione clinica e teorica — che Lacan, comunque, nel corso del suo insegnamento, modifica, aggiusta e affina… — quello che più importa in questa sede è l’affermazione di Lacan secondo cui “una paranoia riuscita …. sarebbe la conclusione, il completamento della scienza” (p. 874). Qui Lacan fa riferimento a una lettera di Freud a Ferenczi (del 1911) in cui Freud afferma che è “riuscito laddove il paranoico fallisce”, nel senso che il paranoico, nella fattispecie Fliess (che aveva elaborato una teoria delirante sul naso e la sessualità), nella sua spinta interpretativa, costruisce un sistema di senso in grado di spiegare tutto, senza scarti o buchi…. Freud, però, dice che la psicoanalisi riesce, per l’appunto, laddove un buco, la breccia che lui ha aperto permane…. a differenza del delirio paranoico che può ricoprire interamente ogni cosa, e con esso nega l’inconscio.

La scienza, che ovviamente non si completa mai, se riuscisse però ad arrivare alla spiegazione di tutto, sarebbe molto simile a un delirio. In questo, afferma Lacan, “la psicoanalisi è essenzialmente ciò che reintroduce nella considerazione, nell’apprezzamento scientifico il Nome-del-Padre” (pp. 874–875). A differenza della scienza, infatti, l’inserimento del Nome-del-Padre da parte della psicoanalisi introduce “un’impasse apparente (…) da cui si progredisce” (p. 875). Il Nome-del-Padre, pur essendo simbolico, porta con sé un reale (a cui Lacan aveva fatto riferimento nel suo testo Dei Nomi-del-Padre), in una sorta di “chiasmo che sembra farvi ostacolo” (p. 875). Esso costituisce un reale, un impossibile che fa da limite al tutto-simbolizzazione. Il rischio della “paranoia riuscita” (p. 875) è comunque un rischio che la psicoanalisi corre sempre — così come la tentazione di psicologizzare il soggetto dell’inconscio di cui Lacan aveva parlato prima nel testo — e che qui Lacan imputa alla ruse, cioè allo stratagemma, alla furbizia di alcuni psicoanalisti che, spesso per imbonirsi il pubblico, gli propinano un sapere che, per la sua completezza, per la sua pienezza, assomiglia più al sapere divulgativo della scienza: risposte su tutto e per-tutti e forclusione del soggetto. Per questo motivo, Lacan ritorna alla Fisica di Aristotele per sottolineare che “l’incidenza della verità come causa nella scienza è da riconoscere nella forma della causa formale” (p. 875). In effetti, per Aristotele, la causa formale corrisponde alla “forma, il modello o l’essenza di una cosa” (nel caso citato la forma che rappresenta la statua); spesso è questa la verità della scienza: un modello, una legge che spiega un fenomeno reale. Nella psicoanalisi, invece, non può esistere un modello o l’essenza di una cosa, di un comportamento, di una struttura che varrebbe per tutti.

Nella psicoanalisi, sostiene Lacan, la verità come causa assume piuttosto l’aspetto proprio di quella che Aristotele definiva la “causa materiale”, vale a dire la materia di cui è fatta una cosa (ad esempio il marmo nel caso si tratti di una statua). Questa è la sua “originalità” (p. 875) rispetto alla scienza. La causa materiale in psicoanalisi dipende dall’incidenza del significante sull’essere parlante e, aggiunge Lacan, “con la psicoanalisi, il significante si definisce in quanto agisce anzitutto come separato dalla sua significazione” (p. 875). Ciò significa che la materialità del significante, il “suo carattere letterale” (p. 875) agisce di per sé, ancora prima che il significante significhi qualcosa, ancora prima della sua relazione diacritica “con un altro significante”. Per questo motivo, Lacan sottolinea che il significante così come lo intende in questo testo è ben diverso dal “segno”, che rappresenta invece qualcosa per qualcuno, secondo la definizione che ne ha dato Peirce. La letteralità del significante, rappresentato dal tratto unario (l’einziger Zug), ha incidenze materiali in quanto, come indica Lacan nel suo Seminario IX, inedito, L’identification “il significante serve a connotare la differenza allo stato puro”. “I significanti manifestano anzitutto la presenza della differenza in quanto tale e nient’altro. La prima cosa che esso implica è che il rapporto tra il segno e la cosa sia cancellato” (lezione del 6 dicembre 1961). In questo senso, ne “La scienza e la verità”, Lacan fa l’esempio del “significante copulatorio, il fallo” (p. 875) che “si imprime effettivamente” ma che non può essere il segno che rappresenta il sesso del partner. Il fallo, infatti, è il significante del potere di significazione, il significante della mancanza che, però, si imprime effettivamente nelle identificazioni del soggetto.

--

--