Adele Succetti
psicoanalisi lacaniana oggi
11 min readJul 27, 2020

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Seminario Lacan presso Officina Coviello — 20 settembre 2019

Quest’anno, dopo l’esperienza dello scorso anno consacrata alla lettura testuale e al commento di “Televisione”, e dopo averne parlato con Michelangelo, ho deciso di proporvi un lavoro di lettura e di discussione su un tema complesso, ma estremamente attuale, vale a dire quello della verità nella scienza, nella psicoanalisi e nella religione. Si tratta di un tema che mi spaventa non poco, per la sua complessità e anche perché non sono una specialista né di scienza né di epistemologia. Vorrei, però, mettermi alla prova con voi, e con i vostri interrogativi, per vedere quello che i due testi su cui lavoreremo ci permetteranno di cogliere e quindi di elaborare insieme. Ovviamente, il mio punto di vista è quello della psicoanalisi ma, come avremo modo di scoprire, Lacan ci permetterà di cogliere degli aspetti e, perché no!, delle verità sulla scienza e la religione che forse potremo condividere, indipendentemente dal proprio punto di vista personale. Oggi la scienza è onnipresente nella nostra vita: è Il riferimento per risolvere i problemi del surriscaldamento globale, dell’ambiente e dell’economia, per curare o eliminare le malattie, bene!! Per fortuna… Possiamo però anche dire che, in un certo qual modo, la scienza organizza le nostre stesse vite: siamo fagocitati e consumati dagli oggetti prodotti dalla scienza, dai suoi strumenti informatici, dalle sue ricerche dentro cui dobbiamo adeguarci, mentre l’ambito umanistico della filosofia, anche se si interroga sulla condizione dell’uomo nel mondo attuale, a livello del grande pubblico, sembra esser stato soppiantato dalle saggezze orientali o da pratiche del benessere che agiscono direttamente sul corpo. La psicoanalisi, però, ha qualcosa da dire sugli effetti del discorso della scienza sull’essere parlante e, eventualmente, sugli effetti di appello-al-padre che esso può produrre, nella religione e in tutti quei discorsi che sognano un ritorno al passato, un ritorno a un mondo — regolato, limitato, protetto, un mondo Uno — che di fatto non c’è più.

Nel corso del Seminario leggeremo quindi insieme due testi di Lacan complessi ma, come sempre, illuminanti: “La scienza e la verità”, un testo del 1965 — pubblicato negli Scritti — e un testo molto più recente, “Il trionfo della religione”, del 1974 — anch’esso tradotto e pubblicato in italiano. Partiremo, quindi, dal Lacan per così dire classico, quello più noto, il Lacan della supremazia del simbolico sull’immaginario e sul reale, che si serve della linguistica e della logica per elaborare la sua teoria sull’esperienza dell’analisi e che si affida ai poteri del simbolico per ridurre gli effetti nefasti dell’immaginario e per riassorbire il reale dentro un’imponente costruzione simbolica. Lacan, però, non si ferma qui; sappiamo infatti che ha continuato la sua elaborazione sino alla fine degli anni settanta — il periodo del cosiddetto ultimo Lacan — quando, utilizzando un’altra branca della scienza, ovvero la topologia — un settore della geometria che studia le proprietà delle figure che non variano sottoponendo le figure stesse a deformazioni continue (che non provochino rotture né sovrapposizioni di punti) cfr. Treccani — e in particolare il nodo borromeo, ha tolto il primato al simbolico per mettere i tre registri sullo stesso livello: simbolico, immaginario e reale sono tre dit-mensioni costitutive dell’essere parlante che si annodano fra loro, in modi sempre diversi, ma che si devono annodare perché qualcosa tenga. Mentre dapprima, per Lacan, nell’analisi si trattava di scrivere la pagina bianca, la pagina rimossa o cancellata, della propria storia — con una fiducia e un idealismo, quasi scientifico, di poter ricostituire un tutto — nell’ultima parte del suo insegnamento, Lacan dà valore agli impossibili che nell’analisi l’analizzante incontra sul suo cammino. L’essere parlante, quindi, diventa, come dice Lacan, un “mistero” costituito da un nodo, di simbolico, immaginario e reale, che, eventualmente, grazie all’analisi ha la possibilità di trovare un nuovo annodamento, meno sintomatico, meno determinato dal proprio inconscio. Grazie all’esperienza analitica è possibile, infatti, inventare nuove figure di stile.

In entrambi i testi, ad ogni modo, Lacan interroga la questione della verità, nella scienza e nella religione, alla luce della psicoanalisi. Sullo sfondo, terremo a mente la questione che occupa Lacan sin dal suo Seminario XI dedicato ai quattro concetti fondamentali della psicoanalisi, del 1964, ovvero: “La psicoanalisi è una scienza? Cos’è una scienza che include la psicoanalisi?” (cfr. quarta di copertina).

Prima di affrontare — cosa che faremo la volta prossima — il primo testo di Lacan, vorrei precisare alcuni punti preliminari. Anzitutto la psicoanalisi è nata con l’ambizione di essere una scienza: Freud era un allievo di Hermann von Helmholz, soprannominato il “Cancelliere della fisica”, e di Emil Heinrich du Bois-Reymond, il fondatore della moderna elettrofisiologia. Positivista come loro, Freud aveva le loro stesse credenze, la loro stessa fiducia nei poteri della scienza della natura ritenuta in grado, grazie ai suoi strumenti matematici, di cogliere, di afferrare ed elaborare l’ignoto, o il reale, che Freud andava scoprendo. Credeva o sperava in una possibile matematizzazione di quello che la sua invenzione produce come sapere nuovo. Ma, con l’onestà intellettuale che lo contraddistingue, Freud si è interrogato in diverse occasioni sul valore della conferma in psicoanalisi: l’interpretazione funziona perché è vera? Oppure per suggestione? In un suo testo del 1937, “Costruzioni nell’analisi”, Freud sottolinea che il sì e il no del paziente alle interpretazioni dell’analista sono altrettanto “polivalenti”, in quanto dipendono dalle “convalide indirette” che esse possono produrre. E, in risposta alle critiche di Wittgenstein, che lui stimava, afferma che “solo il prosieguo dell’analisi può permetterci di valutare se la nostra costruzione era esatta o inutilizzabile”. Il che significa che l’analisi è anzitutto un percorso di ricerca, un movimento verso la verità… e, aggiunge poi in modo ironico, come un famoso personaggio di Nestroy: “Tutto si chiarirà nel corso degli eventi”.

La pratica di parola che Freud ha inventato lo ha portato, però, in un territorio nuovo — quello dell’inconscio, del transfert, della pulsione e della ripetizione (i quattro concetti fondamentali della psicoanalisi) — a partire dal quale il posto della psicoanalisi fra le scienze risulta piuttosto complicato: sicuramente oggi possiamo affermare che la psicoanalisi non ha nulla in comune né con la biologia, né con la neurologia e tanto meno con le neuroscienze che confondono, per così dire, il cervello con l’inconscio — che invece è il prodotto del linguaggio. Non ha nulla in comune, ovviamente, neppure con la psicologia….

Jacques Lacan, nel suo ritorno a Freud volto a ristabilire la verità della sua invenzione, non fa più riferimento alla biologia, ma bensì alla logica e alla linguistica — due scienze che si occupano del linguaggio: la psicoanalisi, infatti, opera con le parole, con i significanti, e quello che si produce come effetti sulla persona che fa l’esperienza di un’analisi dipende precisamente dalle parole. Questo è l’ambito dell’esperienza psicoanalitica e, di conseguenza, l’unica scienza utile, in un certo qual modo, a questa prassi è quella che studia il linguaggio. È però proprio a questo livello, a livello cioè della logica, che Popper obietta che la psicoanalisi non è una scienza: poiché essa ha sempre ragione, nella sua interpretazione, poiché non può essere refutata, secondo Popper, la psicoanalisi non è una scienza. Come spiega J.-A. Miller nel suo articolo “La psychanalyse, sa place parmi les sciences” (Mental, n. 25, 2011), la critica di Popper è una critica seria, che obietta contro il ragionamento induttivo, seguendo tesi che di fatto erano già quelle di David Hume. Poiché le leggi scientifiche sono solo delle congetture, la loro conferma a partire dai fenomeni che esse descrivono non è nient’altro che una congettura; quello che quindi rende valide le leggi scientifiche, e non solamente delle congetture, è il fatto che esse siano confutabili. In un certo qual modo, è la confutabilità stessa della scienza che costituisce la sua verità, la sua veridicità (in questo, però, potremmo aggiungere che questo assunto assomiglia molto alla psicoanalisi che dà valore al caso singolo in grado di confutare sempre la teoria). La concezione della scienza elaborata da Popper, ovviamente, non è condivisa da altri scienziati che, anzi, la considerano come un punto di vista piuttosto irrazionale. Rispetto alla psicoanalisi, ad ogni modo, Popper non mette in discussione il suo statuto biologico, vale a dire il reale che essa circoscrive, ma piuttosto il suo statuto logico, affrontando precisamente il tema della verità e della falsità di quello che essa può affermare.

Popper, quindi, mette in questione il carattere scientifico della verità in psicoanalisi: poiché non può essere confutata, non si tratta di una verità scientifica. Per obiettare a Popper, potremmo dire anzitutto che la verità che emerge nell’esperienza di un’analisi non è tanto quella che l’analizzante si racconta, a fatica e a partire da una posizione di padronanza, ma è quella che emerge all’improvviso, quando uno meno se lo aspetta, nei lapsus, nei sogni, nelle dimenticanze… in quelle che Freud ha definito come le formazioni dell’inconscio. Ed è anche la verità, più dolorosa, che si manifesta nella ripetizione del sintomo, nel reale del godimento che itera, ripetendo l’incontro mancato, cioè la non esistenza del rapporto sessuale. Quando Lacan, nello scritto “Televisione”, che abbiamo affrontato lo scorso anno, afferma “Dico sempre la verità”, sembra fare il verso di Popper, per il quale la verità della psicoanalisi è troppo estesa per essere scientifica. In realtà, la frase di Lacan sta ad indicare che la verità in psicoanalisi è anzitutto una verità, come dice Miller, “interna al dire”: ogni volta che parlo, infatti, sostengo al tempo stesso e in modo implicito di dire la verità. La cosa è più complessa quando faccio una domanda o quando mento, ma nelle frasi affermative, la verità del dire è di per sé implicita. Ed è questa la prima regola della psicoanalisi: dire tutto quello che viene in mente, nessuno chiede di poter verificare quanto uno dice, ma quanto dice viene preso per vero in quanto è stato detto. Come quando Freud interpreta al paziente che, raccontando di una donna vista in sogno, dice “Non era mia madre”. Per Freud, invece, il fatto che abbia nominato la madre, fa esistere una verità “interna all’atto stesso di parlare”, la verità — indipendentemente dal sognatore che parla — dice “madre”. Ed è questa la verità che emerge in analisi, una verità cioè ribelle al volere o al controllo, una verità imprevista, prodotta dagli equivoci e dai lapsus.

D’altro canto, Lacan continua la sua frase dicendo che la verità può essere detta “non-tutta, perché dirla tutta non ci si riesce” (Cfr “Televisione”). Un’altra caratteristica della verità in psicoanalisi è anche quella di non essere mai tutta, ogni volta che si aggiunge un nuovo elemento, per così dire una briciola di verità, essa fa emergere il carattere non totalizzante e non unitario della verità in psicoanalisi, non si finisce un’analisi con una teoria chiusa e completa su di sé. Non è una verità che chiude dentro un sistema ma una verità che apre, che renderebbe l’analisi interminabile…. se non fosse che il lavoro dello psicoanalista, con le sue interpretazioni e con il taglio in seduta, è proprio quello di ridurre, di svuotare le costruzioni simboliche sino ad arrivare a un nucleo, al nocciolo sintomatico o al pezzo di reale contro cui la verità si infrange. A questo punto, non si tratta più tanto di verità quanto piuttosto di evidenza, di una self-evidence…. dell’esistenza cioè di un reale fuori senso e fuori verità che è proprio di una singola persona. La verità, quindi, è sempre a livello del senso, è una costruzione, ma aperta (non c’è un’ultima parola), è una verità sempre altra.

A differenza di Wittgenstein che sosteneva che “Quello che non si può dire lo si deve tacere”, l’etica della psicoanalisi impone invece di dire proprio quello che non si può dire, il che permette anche di arrivare ai limiti della parola stessa. Come suggerisce Miller, questo è “il vero senso dell’inconscio”, qualcosa non si può dire, è impossibile da dire, rimane fuori dall’ambito del dire, dalla logica stessa del discorso, la rimozione originaria freudiana o, per Lacan, il reale come impossibile da dire. In questo senso, la critica popperiana è in linea con la scoperta freudiana: da un lato ci sono le regole, le leggi scientifiche (confutabili per essere tali), le leggi del linguaggio (metafora e metonimia, ad esempio) e dall’altro ci sono le cause che si presentano piuttosto come faglie, come buchi nelle regolarità delle leggi, ed è proprio quello di cui si occupa la psicoanalisi in quanto è lì che si colloca il soggetto dell’inconscio. D’altro canto, a differenza della scienza che distingue i fatti dalle regole universali, nella psicoanalisi quello che conta è il caso singolo, che diventa in un certo qual modo un universale in sé, un paradigma: Dora come paradigma dell’isteria, l’Uomo dei lupi, ecc.. In psicoanalisi ogni caso diventa necessariamente un’eccezione, talvolta in contrasto con la teoria stessa.

Un altro elemento fondamentale del rapporto fra scienza e psicoanalisi è quello che Lacan ha elaborato sin dai primi anni sessanta nel corso dei suoi seminari. Il soggetto della psicoanalisi, che non è l’individuo, sostiene infatti Lacan, è il prodotto stesso del discorso della scienza a partire dalla scansione prodotta, nella storia del pensiero filosofico e scientifico, da Cartesio. Come dice Lacan nello scritto “Posizione dell’inconscio”, “il soggetto, soggetto cartesiano, è il presupposto dell’inconscio”. Cosa significa questa cosa? Cartesio, nel XVII secolo, riflettendo sui fondamenti stessi della scienza, ha anzitutto eliminato valore e credenza nella realtà esterna, ha fatto tabula rasa, poi ha valorizzato la soggettività del cogito — quello che rimane dopo aver messo in dubbio tutto il resto — che, però, è una soggettività sottile, evanescente, come il soggetto della psicoanalisi. Secondo Cartesio, infatti, la posizione scientifica si ottiene soltanto dopo aver eliminato tutte le credenze e le illusioni, di modo che resta solo quello che può essere dimostrato e verificato. “Cogito, ergo sum”.

La psicoanalisi nasce a partire da questa stessa posizione: come indica Miller, “chiedere a qualcuno di parlare a caso, di quello che vuole, e supporre che c’è una legge in quello che dice, è una manifestazione dello spirito scientifico”. L’ipotesi della psicoanalisi è infatti che ci sia una logica interna al desiderio, che si manifesta precisamente quando si dice a una persona di dire tutto quello che vuole. Quello che si verifica è infatti che il discorso del soggetto, è tutt’altro che libero, esso continua a ruotare attorno ai buchi traumatici, alle ripetizioni singolari, al punto da arrivare a circoscrivere un reale. Così, da un lato, scienza e psicoanalisi fanno crollare le illusioni, i miti, le credenze e, dall’altro, si fondano sulla concezione di un soggetto molto particolare: non più l’individuo, l’io — ricettacolo di identificazioni, di illusioni e di credenze difensive — ma un soggetto che, invece di affermare Cogito ergo sum, direbbe Sono laddove non penso. Il soggetto in psicoanalisi non è certamente quello della psicologia — un insieme di facoltà psicologiche o psichiche — ma è il soggetto barrato, diviso, effetto del linguaggio e prodotto significante. Il soggetto di cui parla Lacan deriva dal modello strutturalista, non è una sostanza e neppure una sintesi di più attributi, ma bensì l’effetto di una combinatoria significante. Da tale divisione emerge il desiderio in quanto scarto e il soggetto come posto vuoto.

In senso più ampio, possiamo anche dire che la scienza ci ha allontanato dalla natura o meglio ne ha messo in questione le regole, i ritmi, le leggi. Nello stesso modo, quello che ha evidenziato la psicoanalisi è che non ci sono regole naturali per la sessualità, per l’essere umano, che è anzitutto un essere parassitato dal linguaggio e, per questo, fuori-norma. E la religione? Vedremo più avanti, quando affronteremo “Il trionfo della religione” in che modo la religione può essere una risposta al dominio del discorso scientifico e scientista nel mondo contemporaneo.

Termino ora con una frase di Lacan del 1979, che lascio come questione e orientamento per il nostro prossimo lavoro di lettura: “Tutto quello che si enuncia sino ad oggi come scienza è sospeso all’idea di Dio. La scienza e la religione vanno molto bene insieme. È un dio-lirio”

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