Adele Succetti
psicoanalisi lacaniana oggi
14 min readAug 3, 2020

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Seminario Lacan presso Officina Coviello — 29 novembre 2019

Torniamo ora al testo “La scienza e la verità”. Per sostenere e chiarire ulteriormente questa sua lettura del soggetto della scienza come prodotto di un’operazione che concerne il sapere (il dubbio cartesiano), Lacan fa riferimento all’elaborazione freudiana dell’Ichspaltung vale a dire della “scissione dell’Io” (che si trova nel testo del 1938 “La scissione dell’Io nel processo di difesa”, oltre al suo testo sul feticismo del 1927 e quello sulla perdita di realtà del 1924 — in cui il soggetto, per così, rifiuta, perde, un sapere che, poi, però ritorna, viene recuperato sotto un’altra forma) e alla sua revisione nota come seconda topica, quella cioè che introduce i termini di Io, Es e Superio. Secondo Lacan questi tre termini definiscono meglio “l’esperienza” (p. 856), che si verifica nell’analisi, ma la cui logica è resa evidente solo grazie allo strutturalismo, ovvero il fatto che “il soggetto è preso dentro una divisione costituente” (p. 856), una divisione che è alla base della costituzione del soggetto stesso. In questo senso, come spiega E. Laurent, per Lacan, “il principio di realtà” freudiano non si colloca a livello della percezione “di qualcosa che sarebbe già presente, ma proprio di qualcosa che viene al posto di quello che è stato messo in dubbio, rifiutato”.[1] Ed è questa la “linea d’esperienza che sancisce il soggetto della scienza” (p. 857). Il soggetto della scienza moderna delinea cioè un nuovo campo d’esperienza, il campo in cui ha preso posto la psicoanalisi come pratica e l’inconscio freudiano, che non ha nulla a che vedere con altre manifestazioni dell’inconscio, ovvero l’inconscio strutturato come un linguaggio.

Così Lacan ribadisce che “se il soggetto è proprio lì, al nodo della differenza, ogni riferimento umanistico vi diventa superfluo poiché è ad esso che taglia corto” (p. 857). Ciò significa che non è l’uomo dell’umanesimo, con la sua attenzione alle cose dell’amore e dell’areté, che porta alla psicoanalisi, ma piuttosto il discorso della scienza con la sua formalizzazione matematica e la produzione del soggetto della scienza. Qui Lacan non si riferisce, ovviamente, al prestigio che la scienza moderna aveva già all’inizio del secolo scorso e che ha condotto molti pazienti ad incontrare Freud. “Contrariamente a quello che si ricama circa una presunta rottura di Freud rispetto allo scientismo del suo tempo, è questo stesso scientismo (cfr. Brucke, Helmholtz, Du Bois-Reymond) (…) che ha condotto Freud, come i suoi scritti dimostrano, ad aprire la via che porta per sempre il suo nome” (p. 857). Secondo Lacan, la via della psicoanalisi aperta da Freud infatti “non si è mai staccata dagli ideali di questo scientismo (…) e il marchio che porta non è contingente ma essenziale” (p. 857). Si tratta, in altri termini, della logica dei processi inconsci che il Freud scienziato ha mostrato all’opera e che Lacan ha tradotto con l’inconscio strutturato come un linguaggio. Questo è il marchio scientifico essenziale della scoperta dell’inconscio e della pratica della psicoanalisi: c’è una logica dietro i processi inconsci, che si può leggere, che si può decifrare… nei fatti dell’inconscio. Ed è da questo marchio, aggiunge Lacan facendo riferimento alle deviazioni degradate della psicoanalisi dopo Freud, “che essa conserva il suo credito” (p. 857) e che Freud ha difeso con “rigore inflessibile” (p. 857). A differenza dell’elaborazione di Jung (che suppone un sapere archetipico collettivo) con cui di fatto Freud ha rotto, il soggetto della psicoanalisi è, dice ancora Lacan riferendosi al suo Seminario dell’anno precedente, “puntuale ed evanescente” (p. 858) in relazione precisamente al suo rapporto con il sapere, a partire dal cogito. Come segnala Miller nel suo corso del 1987 Causa e consenso, il soggetto della scienza, in quanto vuoto, in quanto non sostanziale, rifiuta ogni sapere, non crede a nulla… ed è quello che vediamo ogni giorno sempre di più. La psicoanalisi, invece, pur partendo dal soggetto dell’inconscio, soggetto diviso, si fonda sulla responsabilità della posizione soggettiva, e quindi sulla scelta (inconscia) che essa comporta.

Senza entrare nel dettaglio dei paragrafi successivi, dedicati alla figura di Freud, mi sembra comunque interessante la lettura lacaniana secondo cui è proprio il rigore scientifico di Freud che ha fatto sì che il marxismo non lo abbia attaccato per le sue origini borghesi. Il suo rigore, infatti, ha fatto sì che fosse rispettato come gli unici “uomini della verità che ci restano” (p. 858), ovvero l’agitatore rivoluzionario, lo scrittore che lascia un marchio nella lingua e “il pensiero che rinnova l’essere” (p. 858) di cui Heidegger è stato il precursore. A questo proposito, Miller fa notare che Lacan non mette Freud fra gli uomini della verità… proprio perché la questione della verità in psicoanalisi è molto complessa. Vedremo meglio più avanti nel testo, cosa ne dice Lacan in proposito.

Più avanti nel testo, Lacan si sofferma a spiegare meglio in che senso “il soggetto su cui operiamo in psicoanalisi non può essere che il soggetto della scienza” (p. 858). Sembra un paradosso ma, in realtà, dice, è una “demarcazione” (p. 858) necessaria per non confondere le cose, per non mischiarle, e soprattutto per onestà rispetto all’esperienza psicoanalitica stessa: da un lato, infatti, c’è il soggetto evanescente e, dall’altro “l’oggetto che manda tutto all’aria” (p. 858), vale a dire che non può essere ingabbiato nel sapere. L’oggetto che manda tutto all’aria rinvia al godimento, sempre singolare, che sfugge alla classificazione e al sapere del per-tutti che è proprio, invece, della scienza. Ciò nonostante, o proprio per questo, Lacan afferma con forza una frase che, in alcuni ambiti che si dicono psicoanalitici, si è ridotta — come spesso accade — ad essere solo uno slogan, ovvero: “Della nostra posizione di soggetto siamo sempre responsabili” (p. 858). L’esperienza della psicoanalisi, mettendo al primo posto la parola dell’analizzante, lo rende infatti responsabile di quello che dice, e di quello che non dice, di quello che sogna e di quello che produce come sintomi… Il che è quasi “terrorismo” — afferma Lacan — dal momento che vuol dire che siamo responsabili delle nostre formazioni dell’inconscio, del nostro sintomo…. e soprattutto delle nostre resistenze. Io direi che questa, invece, è una forma di grande rispetto per l’essere parlante che, ad ogni età, anche quando è un bambino, è considerato come un essere di diritto che si fa responsabile del proprio dire. Ad ogni modo, la porta della psicoanalisi, come diceva Lacan all’inizio nel testo, è molto stretta e risponde a un’etica propria, che non è né una morale né tanto meno la morale comune. Sottolineare la responsabilità, invece della colpa — più sovente associata alla psicoanalisi — significa anche dare valore alle soluzioni, sempre singolari, che ogni essere umano trova per stare al mondo, significa quindi umanizzarle…

Eppure, restare su questa posizione, mantenere il vuoto del soggetto, non è facile — ma è necessario — proprio perché “qualsiasi tentativo, addirittura tentazione in cui la teoria corrente non smette di essere relasso, vale a dire di ricadere (come il cristiano delle origine ricadeva nel paganesimo) in quanto incarna ulteriormente il soggetto è erranza, sempre feconda di errori”. (p. 859) La tentazione, come sappiamo sempre attiva, anche nella psicoanalisi, è quella di incarnare il soggetto, di confonderlo con l’individuo che parla…. e quindi di confonderlo con il suo io. Così lo si incarna nell’uomo (nella forma del primitivo che dovrebbe raggiungere una certa fase di un sedicente sviluppo…) e, di conseguenza, pure nel bambino — considerato come un sottosviluppato — il che nasconde, dice ancora Lacan, “quello che succede, durante l’infanzia, di originale” (p. 859). Questa tentazione, per così dire, all’incarnazione, sottolinea d’altro canto Lacan, è la stessa denunciata da Claude Lévi-Strauss, nel suo testo sulle Strutture elementari della parentela, che considerava “l’illusione arcaica (…) inevitabile nella psicoanalisi”. (p. 859) Per evitare questa illusione — che sottende uno sviluppo verso un ideale e che considera l’inconscio come una sostanza che viene da un passato mitico — l’unico modo è restare “fermi in teoria sul principio che abbiamo appena enunciato: e cioè che un solo soggetto vi è accolto, ricevuto, in quanto tale, quello che la può fare/rendere scientifica” (p. 859). Restare su una psicoanalisi scientifica — come ambizione, nella sua differenza — significa quindi non cadere nelle deviazioni, nelle banalizzazioni rassicuranti che non rispettano il rigore della scoperta freudiana… ed è quello che Lacan ha portato avanti nel corso di tutto il suo insegnamento. Difendere questa idea di “soggetto (della scienza)” significa quindi supporre che esso si manifesti, o si possa manifestare, indipendentemente dall’età biologica della persona in analisi, in diversi momenti dell’esperienza analitica.

A questo punto Lacan dà il via a una critica serrata delle cosiddette scienze umane: “non c’è scienza dell’uomo”, dice Lacan, “perché l’uomo della scienza non esiste, ma solo il suo soggetto” (p. 859). L’uomo è una generalizzazione che non esiste e gli esseri parlanti sono troppo complessi — un nodo di simbolico, immaginario e reale — per essere un oggetto-tutto della scienza; le loro singolarità infatti possono esprimersi solo nell’arte oppure dirsi nell’esperienza della psicoanalisi. Ispirandosi ai lavori di Georges Canguilhem, Lacan critica in particolare l’“appellativo di scienze umane, che mi sembra essere l’appello stesso della servitù” (p. 859). Un esempio in questo senso, è la psicologia, esempio-tipo di scienza umana che, però, offrendo “i suoi servigi alla tecnocrazia” (p. 859), è una vera e propria scienza normativa dell’uomo moderno. La psicologia, infatti, ci dice come deve essere il cosiddetto, supposto, uomo normale. Ci dice anche quale deve essere lo sviluppo del bambino normale (cfr. Piaget che studia il pensiero supposto del bambino e che, però, dice Lacan “non ci apporta niente sul bambino” (p. 860) a parte la logica delle sue risposte ai test a cui viene sottoposto). La psicologia, come diceva ironicamente Canguilhem citato da Lacan, conduce come uno “scivolo” dal Pantheon (il tempio del sapere) direttamente alla Prefettura di Polizia (a Parigi, in effetti, i due luoghi sono molto vicini tra loro), dove gli psicologi si rendono “strumenti di un’ambizione di trattare l’uomo come uno strumento”, dell’ambizione cioè di controllarli e di metterli in riga. La psicologia, di fatto, si fonda su un errore di soggetto, ovvero sul soggetto psicologico — che non esiste — e, nei suoi sviluppi più recenti, essa arriva persino a ridurre le emozioni, i sentimenti a una semplice reazione chimica, senza tenere conto degli effetti del linguaggio sull’essere parlante, del fatto che esso parla. Un altro limite della scienza psicologica, suggerisce ancora Lacan, è il fatto che le sue “costruzioni (…) non apportano niente sul mago, ad esempio” (p. 860), a differenza dell’antropologia strutturale che ha potuto, com’è stato il caso di Lévy-Bruhl, estrarre le leggi del pensiero primitivo. Interessarsi alla magia, come farà Lacan più avanti nel testo, significa interessarsi da un lato al mistero del mago, al suo essere fuori-norma, e, dall’altro, agli effetti terapeutici prodotti dalla suggestione e dal potere stesso del significante.

Sottolineando, come aveva già fatto prima, le potenzialità, addirittura la “fecondità” delle scienze che “si proibiscono l’illusione arcaica che possiamo generalizzare con il termine di psicologizzazione del soggetto” (p. 860), Lacan tesse invece le lodi di altri tipi di scienze… più prossime alle scienze che hanno in comune lo stesso soggetto della scienza. Da un lato Lacan cita, come esempio, la teoria dei giochi “in cui si gode del carattere interamente calcolabile di un soggetto strettamente ridotto alla formula di una matrice di combinazioni significanti” (p. 860). Il soggetto della teoria dei giochi, infatti, è ridotto alla formula di una combinazione, strutturale, di significanti. Nello scritto “Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi”, del 1953, Lacan aveva già parlato della teoria dei giochi come “strategia (…) stocastica” (p. 287) del tempo “intersoggettivo che struttura l’azione umana”. Nel gioco, infatti, il tempo intersoggettivo dipende da quelle che si chiamano “mani”, che sono le giocate degli altri, che determinano il tempo per comprendere, l’istante di vedere e il momento di concludere, ovvero di giocare la propria parte. Dall’altro lato, Lacan si riferisce alla linguistica con le sue “antinomie” (p. 860), che dipendono dalla scelta dell’oggetto di studio: gli enunciati, cioè le frasi enunciate; l’enunciazione, cioè l’atto di produrre enunciati (con tutta l’ambiguità che le è propria) oppure gli effetti di significazione. Un esempio in questo senso, è “una poetica che non deve niente al riferimento alla mente del poeta, e neppure alla sua incarnazione” (p. 860). Si tratta, ovviamente, di una poetica strutturalista, che studia il linguaggio dell’autore e gli effetti poetici che esso produce, evitando ogni personalismo o psicologizzazione. Lacan aggiunge poi che è “dalla parte della logica che appaiono gli indici di rifrazione diversi della teoria rispetto al soggetto della scienza” (p. 861). L’indice di rifrazione, secondo Wikipedia, è una grandezza utilizzata in svariati ambiti della scienza, e la sua misura può essere usata per identificare la natura del materiale in cui si propaga la radiazione. Solo grazie alla logica del significante si possono spiegare le diverse esperienze di linguistica — da Jakobson, a Hjemslev, a Chomsky, ecc… — così come le differenze di materiale, di stoffa, da cui esse derivano.

Come indica Lacan “è la logica che funge qui da ombelico del soggetto” (p. 861), non in quanto dipende da una grammatica o in quanto vi è connessa, ma perché la logica apre lo spazio al vuoto del soggetto. Si tratta, ancora una volta, del vuoto-soggetto circoscritto e prodotto da una combinatoria significante. A questo punto Lacan, fa un excursus fondamentale sulla logica moderna — che è la “conseguenza strettamente determinata da un tentativo di suturare il soggetto della scienza” (p. 861), anche se l’ultimo teorema dell’incompletezza di Gödel mostra precisamente il fatto che questo è impossibile. È la scienza stessa che, di fatto, tenta di suturarlo cancellando la contingenza che specifica il soggetto dell’inconscio. Come indica infatti Lacan, “il soggetto in questione resta il correlato della scienza, ma un correlato antinomico in quanto la scienza si rivela definita dal non-esito, dal non-risultato, dello sforzo fatto per suturarlo”. (p. 861) Ovviamente, qui Lacan sta pensando alla scienza in senso lato, ma anche il soggetto della psicoanalisi vi è implicato in quanto “sutura di una mancanza”, come segnalavo la volta scorsa. Come ha elaborato Jacques-Alain Miller nel suo testo che porta lo stesso nome, la sutura “nomina il rapporto del soggetto con la catena del suo discorso (… esso) vi figura come l’elemento che manca”. Il soggetto è l’elemento che manca e funziona come il concetto di zero, nel lavoro di Frege, che, in quanto non identico a se stesso, dà origine alla serie dei numeri.

Come spiega Lacan, questa specificità è propria dello strutturalismo che, mettendo in primo piano le strutture nei suoi ambiti di studi, introduce un modo molto particolare del soggetto, che può essere rappresentato topologicamente dall’otto interno. “Il soggetto è, se così possiamo dire, in esclusione interna al suo oggetto” (p. 861). Questo vale per l’antropologia strutturale di Claude Lévi-Strauss, che utilizza la “matematica del significante” (p. 861) per estrarre le strutture alla base della parentela e, quindi, della civiltà. Quello che conta, nella sua elaborazione, e che fa dell’antropologia strutturale una scienza, è il fatto che “il sapere è qui proprio separato dal soggetto secondo la linea corretta” (p. 862) mentre il soggetto è il risultato di una combinatoria e l’uomo, con la sua esistenza incarnata, è fuori dall’ambito del suo interesse. In questo senso, dice Lacan, “l’oggetto della mitogenia (la genesi del mito) non è legato a nessuno sviluppo, e neppure a nessun arresto, del soggetto responsabile. Non si riferisce a questo soggetto, ma al soggetto della scienza” (p. 862). In questa frase, appare un termine nuovo, che ci interroga, ovvero quello di soggetto responsabile; si riferisce a un concetto accennato poco sopra nel testo, il concetto di “assenso” che riguarda la partecipazione — più o meno consenziente — del soggetto alla combinatoria significante. Nella mitogenia, invece, il soggetto è semplicemente il prodotto — in esclusione esterna — della struttura significante.

Con un colpo di mano, Lacan si chiede poi perché Claude Lévi-Strauss non accoglierebbe — come raccolta di documenti per uno studio antropologico — una ricerca basata sulla raccolta di sogni corredati di informazioni relative al transfert… come sottolinea infatti Lacan, la “nostra prassi, lungi dall’alterare il soggetto della scienza (… fa sì) che si realizzi in modo soddisfacente” (p. 862). È nel transfert, in altri termini, che il soggetto della scienza si realizza al meglio… A questo punto, quindi, Lacan precisa ciò che vuole sostenere, e cioè che “un soggetto non saturato, ma calcolabile (…) fa parte della congiuntura che costituisce la scienza nel suo insieme” (p. 863). Vale a dire che il soggetto della scienza in quanto soggetto bucato, vuoto, taglio e discontinuità, ma articolabile-calcolabile in una struttura è ciò che caratterizza la scienza nel suo insieme, includendo in esso le scienze congetturali e le scienze esatte. Così Lacan ritorna sulla questione principale che lo ha portato ad intervenire in pubblico, e che è quella della posizione della psicoanalisi dentro e/o fuori la scienza. Comincia così a introdurre, per la prima volta in questo testo, il concetto di oggetto della e nella psicoanalisi. “L’oggetto della psicoanalisi (…) non è altro che quello che ho già anticipato della funzione che vi svolge l’oggetto a.” (p. 863). È molto sottile, Lacan non dice che l’oggetto della psicoanalisi è l’oggetto a minuscolo ma la funzione che esso vi svolge. Precisa infatti che “questo oggetto a è da inserire, lo sappiamo già, nella divisione del soggetto da cui si struttura più specificatamente il campo psicoanalitico” (p. 863). L’oggetto piccolo a — oggetto non rappresentabile, è un vuoto che può essere occupato da quelle che nel 1974, nella sua “Nota agli italiani”, Lacan chiamerà le “sostanze episodiche dell’oggetto a” — è quindi da inserire nella divisione del soggetto prodotta dal linguaggio. Si tratta di una topologia particolare, che circoscrive il campo psicoanalitico. Per questo motivo, dice poi Lacan, spiegando il lungo preambolo che l’ha portato sino a questo punto, “era importante promuovere anzitutto, e come un fatto da distinguere dalla questione di sapere se la psicoanalisi è una scienza (…) — questo fatto precisamente che la sua prassi non implica nessun altro soggetto se non quello della scienza” (p. 863). Al di là, quindi della questione se la psicoanalisi sia o meno una scienza — cosa che non è, nonostante l’ambizione di Lacan sia quella di eguagliare la scienza a livello della trasmissione — ciò che conta è il fatto che la prassi della psicoanalisi non si basa sul soggetto psicologico o altre forme di incarnazioni ma bensì sul soggetto evanescente definito come soggetto della scienza.

Per cogliere meglio la specificità della psicoanalisi, Lacan ci propone un esercizio particolare — quello figurato della “ouverture del soggetto nella psicoanalisi” (p. 864), dove il termine ouverture può essere inteso sia come ouverture musicale, sia come avvio, inizio e come apertura. Per accostare, infatti, l’oggetto a è necessario un approccio topologico, un approccio che, come dice Lacan, “comporta una sinuosità che assomiglia all’addomesticamento. Questo oggetto a non è tranquillo o meglio è possibile che non vi lasci tranquilli?” (p. 864), tutti e ancor meno gli psicoanalisti. Proprio perché l’oggetto piccolo a non è dell’ordine del significante, è piuttosto dell’ordine dell’informe, esso non può essere affrontato con la scienza, la linguistica o lo strutturalismo; è necessario uno strumento complesso quale quello della topologia. Nonostante, infatti, gli psicoanalisti sappiano (è un “punto familiare” di cui Lacan ha parlato loro l’anno precedente) “della divisione del soggetto tra verità e sapere” (p. 864) l’oggetto a non li lascia tranquilli. La divisione del soggetto tra verità e sapere — tema che si può apprendere con lo studio e con il sapere, a differenza dell’oggetto a, di cui si fa esperienza solo in analisi — qui viene riassunta da Lacan nell’imperativo freudiano, che delinea di fatto il percorso analitico: Wo es war, soll Ich werden, e che Lacan traduce “laddove era, là come soggetto devo avvenire”, nel luogo cioè della verità. Non è una cosa semplice e, inoltre, nel corso del suo insegnamento la finalità dell’analisi, così come la traduzione della formula freudiana, cambierà un po’..…

Ad ogni modo Lacan sottolinea la sua particolare topologia: “In che modo”, dice, “quello che era ad attendermi da sempre, di un essere oscuro, verrebbe a totalizzarsi con una riga che si traccia solo dividendolo più nettamente di quello che posso sapere?” (p. 864). Detto molto semplicemente, in che modo il vuoto al cuore del soggetto — il suo essere oggetto — si totalizza, si realizza facendo cadere, “per via di levare” direbbe Freud, le identificazioni, il sapere, e quindi aumentando la divisione costitutiva del soggetto? È un’ottima questione… a cui Lacan risponde facendo riferimento alla “iscrizione” (p. 864) del significante, che è tale perché “l’iscrizione non morde, non incide sullo stesso lato della pergamena, se proviene dalla matrice di stampa della verità o da quella del sapere” (p. 864). Le due superfici di iscrizione, di fatto, sono in continuità fra loro, come nella striscia di Moebius. La verità riguarda il godimento del soggetto, prodotto dal marchio significante, dall’iscrizione del significante, mentre il sapere si colloca a livello dell’Altro, e quindi nella relazione tra soggetto e Altro; entrambe le iscrizioni, però, sono in continuità tra loro… non esiste cioè un dentro e un fuori. A differenza del soggetto della scienza, che non è responsabile del sapere che produce, il soggetto dell’inconscio deve venire all’essere, facendosi responsabile del proprio dire, nel vuoto stesso che lo costituisce. Per capire meglio queste affermazioni è importante tenere a mente quello che indica Miller, ovvero il fatto che, in questo periodo, Lacan — come vedremo meglio nel seguito del testo — attribuisce alla verità il valore che, in seguito, darà al reale.

[1] E. Laurent, « Statut de la psychanalyse dans la science », op. cit., p. 19.

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