Sine die

frammento 2

strelnik
Quando ci siamo fermati

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Chi vince chi e per che cosa? La lotta per il territorio, per questo territorio, fa ridere e piangere insieme. Guardalo questo territorio. Un grande invalido, un deserto ghiacciato per il quale non vale la pena pigliarsi una spranga in testa o compilare una dichiarazione dei redditi. Da posti messi così non c’è che da fuggire anche se ci siamo nati, anche se ci hanno passato la vita i nonni dei nostri nonni.
Il pandemonio è scoppiato dopo che la maggioranza dei disperati di fronte alla stazione lo ha capito. È successo lì, sotto le pensiline inservibili e la lastra del cielo uguale a se stessa per chilometri. La voglia di sfasciare tutto giusto per vedere cosa succede, per capire se davvero così si cambia verso. Si spacca ogni cosa solo per rientrare a gomitate nel circolo del movimento delle cose che vuole escluderci.
Prima di tutto si sfondano i monitor, tirati giù a forza come fossero musi di giraffa da far abbassare per bastonarli meglio. Poi tocca alle panchine e alle macchine per timbrare i biglietti, ai cestini dell’immondizia e alle vetrate delle sale d’attesa. Qualsiasi strumento giaccia inerme, buono solo a ricordare la scomparsa della fiducia e dell’obbedienza, viene manomesso e storpiato.
Si forzano la porte della polizia ferroviaria, quella dei capostazione, dei negozi e dei bar. Si trova tutto spento, freddo, trafugato, pronto a ammuffire. Si appicca un incendio anche per vederci meglio. Due ore di sfogo puro.

Tutto sembra pronto per crollare. Ma non crolla niente. La rabbia scema, ci si ferma a riprendere fiato.

C’è chi sbanda, chi s’accapiglia per nulla, chi ha in bocca da giorni il sapore della fame e sviene.
Il tempo, inventato per smarcarsi dal ciclo triviale della specie, da oggi non serve più. Non esistono più ore o orari da riconquistare alla propria felicità. Siamo alla mera sopravvivenza: non morire assiderati, di fame o ammazzati. Sappiamo che tornare alle proprie case è impossibile e tentare la fuga inutile.
Nell’atrio della stazione è stato acceso un fuoco: chi è rimasto si scalda e si guarda intorno per vedere di organizzarsi in una situazione enorme. Ci si avvicina e si incontrano altri ridotti nelle stesse condizioni; ci si annusa, ci si riconosce. Erano anni che non succedeva.
Fuori la neve ha ripreso a cadere compatta e indifferente.

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