Jump

Massimo Lazzari
Quando guardo verso Ovest
6 min readAug 20, 2017
Tsaranoro, Madagascar

“I get up, and nothin’ gets me down

You got it tough, I’ve seen the toughest around”

[Van Halen, 1984]

Federico è in piedi sul parapetto di un ponte. Sotto di lui oltre duecento metri di vuoto e, in fondo, piccolo piccolo, un fiume. Più precisamente, il fiume Bloukrans, vicino a Plettenberg Bay, Sudafrica. Dietro di lui uomini che, con tono minaccioso, gridano:

«Jump!»

Come sia finito in una situazione talmente assurda e pericolosa è un mistero anche per lui.

Gli avvenimenti degli ultimi giorni sembrano avvolti da una cappa di confusione vischiosa, come nel peggiore degli incubi.

Il respiro è affannoso, il battito irregolare. Il sudore cola a rivoli dalle ascelle, giù lungo i fianchi. Il vento tagliente lo asciuga subito, provocando brividi che fanno tremare tutto il corpo. La mente tenta di controllare la direzione dello sguardo, di impedire che si fissi sul vuoto che lo attende. Ma è impossibile resistere, il fiume giù in fondo sembra chiamarlo a sé.

Mentre gli uomini continuano a incitarlo al lancio, Federico si aggrappa a un ultimo barlume di lucidità. Vuole ricostruire al meglio il processo che lo ha condotto in quel posto, da solo e così lontano da casa. Nel posto che potrebbe diventare la sua tomba.

Il primo ricordo che affiora alla mente è quella che può essere considerata la scintilla che ha acceso la miccia.

Poco più di due settimane prima si trovava seduto nel suo ufficio di Ravenna. Il capo gli aveva appena comunicato che avrebbe dovuto smaltire i giorni di ferie accumulati. Federico non se lo era fatto ripetere due volte e, dopo essersi consultato con Laura, aveva prenotato un biglietto per il Sudafrica.

Laura. Il pensiero che potrebbe non rivedere più la sua ragazza gli stringe il cuore. Gli occhi si inumidiscono e un groppo sale in gola. Anche perché sono passati due giorni dall’ultima volta che si sono sentiti. La telefonata si è trasformata in una litigata furiosa. Non poteva essere altrimenti visto come era iniziata. Poi più nulla.

Laura era rimasta in Italia. Non poteva prendere tutti quei giorni di ferie, di sicuro non a marzo. Federico aveva deciso di partire da solo. Non sarebbe stata la prima volta. E poi con Laura si frequentava solo da pochi mesi.

Arrivato in Sudafrica era stato subito traumatizzato dal clima gelido di inizio autunno. Dall’ostilità della gente. Da un presentimento di incombente minaccia che gli era sembrato aleggiasse nell’aria, ovunque lui andasse. In questo stato aveva girovagato per qualche giorno a Cape Town, dormendo negli ostelli e frequentando i locali del porto.

Poi, in preda all’inquietudine e a un inspiegabile timore, era letteralmente fuggito dalla metropoli. Aveva infilato in fretta i pochi effetti personali nello zaino ed era saltato sul primo treno diretto verso Est. La sua meta era Durban e le sue spiagge oceaniche popolate di surfisti.

Durante il viaggio era riuscito a rilassarsi, a scacciare la sgradevole sensazione di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Aveva conosciuto un gruppo di ragazzi inglesi che lo avevano convinto a scendere a Knysna. Federico si era lasciato persuadere facilmente. Non era particolarmente attratto dalla prospettiva di visitare il parco naturale della zona o la laguna d’acqua calda a due passi dall’Oceano Indiano.

Perlomeno non quanto fosse attratto da Mary, la ragazza di colore che viaggiava con il gruppo e che gli aveva lasciato intendere, in maniera neanche troppo velata, la sua disponibilità.

Sospeso sull’abisso, Federico prova a riportare alla mente le strane giornate passate nella cittadina di Knysna. I ricordi però arrivano in modo frammentario. Come se il suo cervello fosse stato estratto dal cranio, rimescolato e poi rimesso a posto. Dal torpore mentale emergono solo lacunose scene di sesso. Strane mattine a base di alcool e marijuana. Notti trascorse in spiaggia a guardare le stelle, intavolando discorsi filosofici in inglese, con persone sconosciute e ambigue.

Poi, una sera, era arrivata la telefonata di Laura. Federico stava facendo la doccia. Mary, risollevandosi a fatica dal letto sfatto, aveva risposto al telefono. Ovviamente era scoppiato il finimondo. Laura era andata su tutte le furie e a nulla erano valsi i maldestri tentativi di Federico per giustificare la situazione.

In preda allo sconforto e al senso di colpa, Federico aveva lasciato Mary e la sua pelle caffelatte. Non poteva tornare in Italia, perlomeno non ancora. Il volo di ritorno sarebbe decollato da Johannesburg solo la settimana successiva. Inoltre sapeva che non sarebbe stato opportuno. Era meglio che Laura smaltisse da sola la rabbia. Era meglio che lui restasse da solo ancora qualche giorno per capire se era ciò che desiderava.

E così, facendo l’autostop, era finito a Plettenberg Bay. Il passaggio glielo avevano dato alcuni ragazzi di Roma, a bordo di un vecchio furgoncino noleggiato o rubato chissà dove. Salendo sul mezzo, Federico aveva percepito nitidamente la minaccia che pareva essersi cristallizzata negli ultimi giorni. Per fortuna il viaggio era durato poco più di mezzora.

Arrivati nella cittadina costiera i romani avevano portato Federico in una bettola vicino al mare, gestita da un loro amico olandese. Erano circa le diciassette del giorno precedente. Da quel momento in poi i ricordi di Federico sono come diluiti in una sorta di nebbia onirica. L’ultima immagine lucida che affiora alla sua mente confusa risale alla mattina. I romani che lo svegliano all’alba e lo caricano, ancora stordito, sul furgoncino. Il mezzo che si inerpica lungo l’interno, sfrecciando su strade sterrate in mezzo a boschi rigogliosi. E, infine, l’arrivo in quel posto. Il posto in cui si trova ora. Il ponte sul fiume Bloukrans.

«Jump!» gli ripetono da dietro gli uomini. «Salta!» fanno eco i romani. Federico non ha il coraggio di voltarsi per affrontarli. Ovviamente, non ha neanche il coraggio di lanciarsi nel vuoto. Riesce solo a rimanere immobile e a pensare a quanto sarebbe ironico se morisse proprio lì, a venticinque anni, in un luogo sperduto del Sudafrica. Nessuno sa dove si trova. Probabilmente nessuno riuscirebbe a ritrovare il suo cadavere. Diventerebbe solo uno dei tanti italiani dispersi all’estero, che sembrano svaniti nel nulla. Quindi è così che succede, pensa tra sé. Era così che doveva andare.

Chiude gli occhi. Respira profondamente. Regolarizza il battito. Libera la mente. È quasi pronto.

In quel momento sente uno scatto metallico. Due braccia lo afferrano da dietro e lo scagliano nel vuoto. Federico precipita verso il fiume. Un corpo umano in caduta libera può raggiungere i novantasette chilometri orari di velocità. Chissà perché in un momento tanto drammatico la sua mente riesce a ricordare solo questo concetto.

Mentre sfreccia verso il basso il freddo gli ferisce la pelle, l’aria si svuota dai polmoni, il cuore martella impazzito. Il volo sembra durare ore. Il fiume si avvicina inesorabile, ma il tempo è dilatato. Federico non riesce più a capire se quella sia la realtà o soltanto un incubo.

Poi, finalmente, senza alcun preavviso, la corda si tende. La caduta si arresta e il corpo inerme di Federico viene sospinto nuovamente verso l’alto.

Qualche secondo più tardi, sospeso nel vuoto a testa in giù, Federico prova una strana sensazione. Come se la massa oscura che gli opprimeva il cuore e la mente fosse scivolata verso il basso e precipitata nel fiume. Come se quello che resta ora aggrappato alla corda del bungee jumping sia un nuovo Federico.

Questo racconto è tratto da Quando guardo verso Ovest, una raccolta di 33 racconti con titoli ispirati ad altrettante canzoni rock del XX secolo.

Il libro è stato pubblicato da Antonio Tombolini Editore nel 2015 e può essere acquistato qui.

Tutti i proventi derivanti dalle vendite del libro vengono devoluti dall’autore all’Associazione Mondobimbi Onlus, che li usa per aiutare i bambini del Madagascar ad andare a scuola.

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Massimo Lazzari
Quando guardo verso Ovest

Autore di La Storia dell’Acqua (2021), La Fine della Terra (2019), Il libro perfetto (2017), Quando guardo verso Ovest (2015) ed Esprimi un desiderio (2012)