Catalogna sospesa: l’indipendenza può attendere

Giulia Bianconi
Quattro Colonne
Published in
3 min readOct 13, 2017

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Delusioni, incertezze e dubbi di chi vive a Barcellona, la città in cui non si parla d’altro

Di Giluia Bianconi, Camilla Orsini e Chiara Sivori

Indipendenza sì, ma non adesso. Degli oltre due milioni di catalani (circa il 40% della popolazione totale della regione autonoma) che hanno fatto la fila ai seggi per il referendum del primo ottobre, il 90% si era detto pronto a lasciare la Spagna. Dopo questo risultato, la folla di Barcellona il 10 ottobre si aspettava la proclamazione ufficiale del distacco da Madrid. Ed è rimasta delusa: il presidente catalano Carles Puigdemont ha infatti frenato la secessione, invocata sia per ragioni culturali che economiche, scegliendo la cosiddetta via “slovena” (Lubiana aveva dichiarato l’indipendenza dalla Jugoslavia nel 1990, sospendendola però per sei mesi).

Durante la seduta in Parlamento, iniziata con un’ora di ritardo a causa di riunioni, colloqui e telefonate convulse dell’ultimo minuto, il presidente della Generalitat ha chiesto l’apertura di un dialogo con Madrid. È stata dura la risposta del governo spagnolo riguardo a quello che giudica un «ricatto inaccettabile». Dopo un consiglio dei ministri straordinario, il premier spagnolo Mariano Rajoy ha chiesto a Puigdemont di «fare chiarezza sulla conferma della dichiarazione d’indipendenza e sulla sua entrata in vigore».

Un ultimatum a Barcellona: il presidente catalano ha infatti tempo fino a lunedì mattina per prendere una posizione che determinerà i passi successivi di Madrid. Intanto, sembra rafforzarsi l’ipotesi dell’applicazione dell’articolo 155 della costituzione spagnola: una tagliola che permetterebbe al governo centrale la sospensione dell’autonomia della regione, previa approvazione del Senato. Da qui la necessità del sostegno del Partito socialista di Sanchez, con il quale sembra esserci unità d’azione. L’appoggio del Psoe è però condizionato allo sforzo, da parte popolare, di ripensare l’assetto territoriale del regno, nel rispetto dei limiti costituzionali.
E ora? Non si possono escludere lo stato d’emergenza e le manette per il presidente catalano. O, forse, la svolta politica arriverà con nuove elezioni. Numeri alla mano, infatti, gli indipendentisti sono circa il 37% del corpo elettorale catalano. Un rebus, al momento, che resta difficile risolvere, a Madrid come a Barcellona.

Da Barcellona arrivano le voci di chi sta vivendo in prima persona questo momento di crisi; catalani, ma anche stranieri. Isaac Martìnez, catalano di 29 anni, è deluso dalla mancata dichiarazione di indipendenza, dopo aver partecipato a tutte le manifestazioni pro secessione. Crede che il discorso di Puigdemont abbia tradito le aspettative del popolo.

Nel frattempo, il clima che si respira in Catalogna è di forte incertezza: banche e grandi aziende si sono affrettate a spostare le loro sedi in altre città spagnole, generando il panico. E resta aperto l’interrogativo sull’Europa: se Barcellona dirà addio al Regno di Spagna, non è scontata la sua permanenza nell’Unione.

I tanti stranieri che, per lavoro o studio, risiedono nella città, contribuendo alla ricchezza della regione, vivono momenti di apprensione e confusione. Simone Anelli è un giovane laureato che lavora all’Irec — Instituti de Recerca en Energia de Catalunya, un istituto finanziato principalmente con fondi europei. Si trova a Barcellona da pochi mesi, e non sa se il luogo dove lavora continuerà ad esistere dopo il referendum.

Tutti i riflettori sono puntati sulla Catalogna, ma non è l’unica regione “separata in casa”. Risale infatti al 2014 il referendum con cui la Scozia ha chiesto ai propri cittadini di pronunciarsi sull'indipendenza dal Regno Unito. Ma succede anche in Italia, partendo dalla Sardegna fino all'Alto Adige.
Ecco la mappa dell’Europa che vorrebbe dividersi.

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