Cosa c’è nella legge sul biotestamento

Andrea Caruso
Quattro Colonne
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4 min readJan 11, 2018

È stato un cammino lungo, ma alla fine il biotestamento è diventato legge. La battaglia parlamentare è durata due anni e l’approvazione finale è stata ottenuta in Senato con 180 voti favorevoli, 71 contrari più 6 astensioni. Gli articoli della legge sono otto, cinque racchiudono i temi fondamentali. La legge, va detto, lascia aperti alcuni nodi, pur mantenendo come principio guida la volontà del paziente. Uno di questi, su cui è recentemente intervenuto anche il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, è l’obiezione di coscienza, ma interrogativi permangono anche, ad esempio, sull’articolo 3, che riguarda minori e incapaci.

Da qui l’esigenza di fare luce sui temi principali di ogni articolo. Abbiamo chiesto, soffermandoci su alcuni punti, un’analisi all’avvocato Maurizio Di Masi, assegnista di ricerca presso l’università di Perugia, dove collabora con la Law Clinic “Salute, ambiente e territorio”. Innanzitutto, cosa c’è di nuovo in questa legge e cosa era stato già normato? E ancora: il biotestamento riguarda anche casi come quello di dj Fabo?

Il primo articolo riguarda il consenso informato: nessun trattamento sanitario potrà essere iniziato o proseguito senza il consenso libero e informato della persona interessata. Il consenso «è documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazioni o, per la persona con disabilità, attraverso dispositivi che le consentano di comunicare».

Inoltre è promossa e valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico. «In tale relazione sono coinvolti, se il paziente lo desidera, anche i suoi familiari o la parte dell’unione civile o il convivente ovvero una persona di fiducia del paziente medesimo».

«Il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinico-assistenziali». Cosa significa?

Articolo 2: si parla di “terapia del dolore, divieto di ostinazione irragionevole nelle cure e dignità nella fase finale della vita”. Una terapia che deve essere sempre garantita e adeguata alle condizioni e alle volontà del malato. «In presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari — si legge nel testo — il medico può ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore, con il consenso del paziente». A quali terapie fa riferimento la legge?

Cosa succede se il paziente è un minore o un incapace, cioè un soggetto non in grado di esprimere un consenso? Il testo affronta questo tema nell’articolo 3. Nel caso dei minori «il consenso informato al trattamento sanitario è espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale o dal tutore tenendo conto della volontà della persona, in relazione alla sua età e al suo grado di maturità». Ma nell’articolo sono citati anche i soggetti interdetti e quelli inabilitati. In questi casi, le cose si complicano. Allora come ci si comporta?

L’articolo 4 è risultato, nel dibattito sul testamento biologico, uno dei più controversi. Riguarda le cosiddette DAT, cioè “disposizioni anticipate di trattamento”. Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere può «in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte, esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari». Nelle DAT, che devono essere redatte come atto pubblico o scrittura privata autenticata o scrittura privata consegnata all’ufficio dello stato civile del comune di residenza, rientra anche la possibilità di indicare un fiduciario, che in caso di necessità comunichi ai medici la volontà del paziente. E ancora: «Il medico è tenuto al rispetto delle DAT, le quali possono essere disattese, in tutto o in parte, dal medico stesso, in accordo con il fiduciario, qualora esse appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita». L’avvocato Di Masi chiarisce quest’ultimo concetto.

Infine l’articolo 5 sulla pianificazione condivisa delle cure, che guarda a coloro che sono affetti da «una patologia cronica e invalidante o caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta». Le cure, in questi casi, possono essere pianificate in modo che i medici sappiano come comportarsi se e quando il malato non potrà più esprimere il suo consenso. «La pianificazione delle cure può essere aggiornata al progressivo evolversi della malattia, su richiesta del paziente o su suggerimento del medico».

Oltre a normare il fine vita, la legge sul biotestamento porta inevitabilmente a riflettere sulla morte. Non come questione morale né come destino individuale quanto, più concretamente, su ciò che viene o non viene fatto per le persone che stanno per concludere la loro esistenza. Un esempio arriva dall’Umbria. Qui sono tre gli hospice — centri per le cure palliative, rivolte ai malati terminali — gestiti dalla Asl: si trovano a Perugia, Spoleto e Terni. In tutto alcune decine di posti letto e servizi, come la pet therapy appena inaugurata nella struttura del capoluogo umbro, pensati per restituire dignità e normalità a esseri umani ancora in vita. A tal proposito chiudiamo il nostro approfondimento con le parole della dottoressa Susanna Perazzini, responsabile dell’hospice di Perugia.

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Andrea Caruso
Quattro Colonne

International Relations graduate @UniLUISS. Ultraortodox basketball-addicted. Sannita e Springsteeniano. Studente Scuola di Giornalismo Radiotv di Perugia