Norcia, sette mesi dopo: è tempo di rinascere

Giulia Bianconi
Quattro Colonne
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4 min readApr 10, 2017

Sono ancora alla ricerca di risposte gli abitanti della città sconvolta dal sisma

di Giulia Bianconi, Marina de Ghantuz Cubbe, Paolo Sparro

I più piccoli entravano a scuola il primo pomeriggio, quando per i ragazzi del liceo suonava l’ultima campanella. C’era una sola scuola a Norcia in cui, dopo il terremoto, era possibile continuare a fare lezione. La scuola, il luogo in cui una comunità cresce, si modella e si consolida. La scansione del tempo in ore scolastiche fa parte della formazione e anche se a Norcia la giornata è piegata ad una situazione di emergenza, sui visi dei ragazzi che entrano ed escono dalla struttura antisismica ci sono sorrisi, risate, stanchezza. Il gioco nella mano di un bambino viene riposto nello zainetto: è ora di salutare il genitore e affidarsi alla maestra. “Fosse successo qualcosa a me pazienza, ma ai miei figli no. Loro hanno bisogno di essere protetti. Le scuole devono essere sicure, la sicurezza per loro… per loro…”. È la voce di una madre, Federica Levantesi, che sta facendo il possibile per i suoi due figli, ma che non nasconde la preoccupazione e la sofferenza per aver visto la vita della sua famiglia stravolta in pochi minuti. Il 31 marzo sono state aperte altre strutture scolastiche per dare modo a tutti di tornare a scuola di mattina, di tornare pian piano alla normalità.

Il terremoto come evento straordinario che si è costretti ad accettare; chi è stato colpito dal disastro riflette sulla natura di quel che è accaduto e in molti sono convinti che non si tratti di fatalità ma che l’uomo abbia delle responsabilità. “Se l’uomo tratta male la natura, la natura tratta male l’uomo, è così che ho detto ai miei figli perché è ciò che penso” dice ancora Federica. Anche Maurizio Travagliati è convinto del fatto che a furia di scavare e sottrarre materia alla terra per ricavare i combustibili fossili, gli effetti del terremoto sono amplificati: “Ogni tanto la natura si ribella, gli andiamo troppo a rompere le scatole. Leva il gas, leva il petrolio… certe cose devono dirle i fisici ma intanto noi svuotiamo la terra per fare soldi. È l’uomo che fa i disastri”. Nell’agriturismo in cui Maurizio soggiorna insieme alla famiglia in questi mesi di emergenza, si respira aria di tranquillità, ma è evidente quanto sia importante essere d’aiuto l’uno all’altro: “Buona passeggiata, mi raccomando torna presto che lo sai che sei prezioso” dice la moglie per salutarlo. Una passeggiata lungo il fiume e Maurizio si riappacifica con se stesso e con il mondo che lo circonda attraverso il contatto con la natura.

La luce sul fiume Nera cala e nella piazza di Norcia la basilica di San Benedetto viene avvolta dal buio; nei container, costruiti in cinque piazzole una accanto all’altra subito fuori dalle mura norcine, si cena. Provare a parlare con qualcuno di come si viva in questo tipo di sistemazioni non è semplice. In un attimo si può rompere l’equilibrio che, chi ora abita qui, ha faticosamente raggiunto con se stesso e rispetto alle altre persone con cui condivide lo spazio del soggiorno, della mensa, del bagno e della doccia. Due ragazze decidono di raccontarsi e nelle loro parole è dirompente la forza e l’intensità delle loro scelte di vita; solo la voce giovanile potrebbe tradire la loro età perché per il resto sono già diventate donne: “Dopo il terremoto potevo andare a Roma, da mia sorella, ma ho detto di no, che sarei rimasta qui accanto ai miei genitori, hanno bisogno di me. Insieme ai miei amici, la mia vita è qui a Norcia” dice la più giovane, ai primi anni del liceo. Per Amanda, qualche anno più grande “possono passare anche cinque, dieci anni. Ma io aspetto qui, nella mia terra, di avere il prima possibile una casetta in cui stare con la mia famiglia. E poi, di poter tornare a casa mia. Guarda, -dice mostrando le foto che conserva sull’ipad- adesso è così. È sventrata. Ma io aspetto di poterci tornare”.

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