Perdere i sensi

Viaggio nel centro di Palazzo Francisci, a Todi, dove si combattono i disturbi alimentari

Gabriele D'Angelo
Quattro Colonne
3 min readJan 18, 2017

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di Andrea Caruso, Gabriele D’Angelo, Irene Roberti Vittory

“Qualche tempo fa sono venuti qui dei giornalisti, ci hanno visto che mangiavamo e si sono messi a guardarci come se fossimo una cosa strana”. Mentre parla, la frangetta di Sofia, 17 anni, si scompiglia e ciuffi di capelli esplodono dal fermaglio come fuochi d’artificio. “Allora sai che ho detto alle altre? Dai, mettiamoci a fare delle smorfie, facciamogli vedere che siamo matte!”. La bocca si apre per fare spazio alle imitazioni, e non trattiene la risata. Intorno a Sofia sorridono Roberta, Cecilia, le altre ragazze curate al Centro per i disturbi alimentari con sede a Palazzo Francisci, a Todi.

In tutto sono 18. Tante ne può ospitare la residenza, in cui le pazienti (più rararamente, i pazienti) restano dai 6 mesi a un anno. “Per guarire serve un villaggio”, dice Irene, 33 anni, 42 kg, un amore folle per la fisarmonica e un viso bellissimo che fatica ad accettare. “Quando sono arrivata qui pesavo 37 kg e non riuscivo neanche a dire quali fossero i miei sogni, pensavo di non averne”. Stringe un ciondolo a forma di àncora tra le mani, il suo amuleto. “Poi ho iniziato a disegnare e ho capito che i sogni c’erano. E i miei disegni si sono riempiti di colori”. Già, i colori, quelli che i disturbi alimentari fanno scomparire, insieme ai sensi. Prima di ogni altra cosa è il gusto a dissolversi: del cibo non si può e non si deve godere. Con il gusto se ne va l’olfatto, incapace di distinguere odori e profumi. Le orecchie ascoltano solo la voce che ordina di rifiutare tutto ciò che può provocare gioia, perché inevitabilmente si trasformerà in dolore. Gli occhi controllano che il corpo sia sempre più “perfetto”, e riflettono nella mente e sullo specchio percezioni alterate. Con le mani sempre più leggere si esplora un corpo a poco a poco più smunto: si toccano pelle e capelli inariditi, fianchi ossuti, visi scavati. E nulla va mai bene, c’è ancora peso da perdere, perfezione da rincorrere.

A Palazzo Francisci pian piano si riprende consapevolezza di sé. Delle proprie imperfezioni, dei propri desideri, della propria bellezza. Le ragazze che sono qui hanno le età più disparate, ma tutte sembrano più giovani, alcune addirittura bambine. È come se il tempo, per i loro corpi, si fosse fermato, in attesa di far sbocciare delle adulte. Fondamentale è il lavoro fatto con le famiglie. I genitori sono costretti a guardare una realtà “scomoda”. C’è chi accetta la sfida e cresce accanto alla propria figlia anoressica o bulimica, come Monica, e chi invece non riesce a farsi carico del senso di colpa.

I post-it, le poesie e i collage appesi alle pareti del centro descrivono un percorso fatto di pasti preconfezionati, colloqui psicologici individuali e chiacchierate in giardino. Ci sono regole da rispettare e spazi da preservare. Al bagno non si va né due ore prima del pranzo (e della cena) né due ore dopo. Ma i momenti per la cura personale, dalla depilazione allo smalto sulle unghie, sono sacri. “Perché sempre donne siamo eh!”, dicono le ragazze. Loro, nonostante tutto, se lo ricordano. Fuori invece c’è ancora chi, vittima di antichi tabù, le guarda mangiare e pensa che siano matte.

Un po’ di numeri

Per comprendere a pieno i disturbi del comportamento alimentare non si può prescindere dai dati. Per questo abbiamo intervistato Laura Dalla Ragione, responsabile del centro di cura per i DCA di Palazzo Francisci.

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