Ragazze di strada

Viaggio nella prostituzione perugina

Francesco Bonaduce
Quattro Colonne
4 min readMar 29, 2017

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di Pietro Adami, Francesco Bonaduce, Michele Bonucci e Nicolò Canonico

Silvia è una ragazza ghanese arrivata in Italia due anni fa. Il suo sogno era quello di fare la parrucchiera e, una volta qua, sperava di trovare lavoro. Ora si prostituisce per strada, nella periferia nord di Perugia. Prende l’autobus tutte le mattine, dalla stazione di Fontivegge, scende a Colle Umberto e raggiunge a piedi uno spiazzo, lungo la strada che porta a Umbertide. Come lei, tante altre ragazze africane percorrono lo stesso tratto. Si prostituiscono per pochi soldi: una prestazione può costare anche solo 15 euro.

Ai margini della società — Marika (nome di fantasia) ha una laurea in economia. È ucraina e vive in Italia da sette anni. Lavorava in un bar e quando fuori dal locale vedeva le ragazze sul marciapiede si chiedeva come riuscissero fare la vita di strada. Ma, una volta che si è trovata senza un lavoro, anche lei non ha avuto altra scelta che prostituirsi. «Nella vita, mai dire mai» ci confida.
Sono africane. Sono dell’Est Europa. Sono italiane o asiatiche. Ciò che le accomuna è l’essere relegate ai margini della società. Sognando un futuro migliore, hanno abbandonato casa e famiglie, per poi finire nella rete degli sfruttatori. Per la maggior parte sono infatti controllate da un protettore. Loro però negano.
La prostituzione non si limita ai marciapiedi. Negli ultimi anni c’è stato il boom degli annunci online che, insieme alla crisi economica, ha tolto clienti alle ragazze per strada.

Guerra tra poveri — La vita al ciglio della strada spinge le ragazze al limite delle loro forze, sia fisiche che psicologiche. In molti casi si creano delle faide tra le varie etnie. È quello che accade nella zona del Pantano, tra Perugia e Umbertide, dove le prostitute dell’Est Europa e quelle africane si scontrano per il controllo del territorio. Si litiga per la piazzola più in vista, perché sono in tante lungo la strada e la concorrenza si fa sentire. Sono due fazioni, una contro l’altra. Le prostitute romene e albanesi vantano una specie di diritto di precedenza: in macchina o a piedi, sono là da più tempo. Ma i clienti sono pochi e a loro preferiscono le giovani ragazze nigeriane e ghanesi, che richiedono prezzi più bassi. Tra urla e minacce, in alcuni casi si arriva anche alle mani.

Guadagnarsi da vivere — Zone diverse della città, stesso problema: guadagnare per vivere. È per questo che Daria (anche questo nome di fantasia) passa tutte le sere lungo Via Settevalli. È una trans di Latina, che si prostituisce dagli anni Novanta. Nel corso del tempo ha visto cambiare il suo lavoro. Anche lei soffre la crisi: «Qualche sera — si lamenta — non faccio neanche un cliente». La sua è stata una scelta libera: «Speravo di fare più soldi e farli prima». Nella sua esperienza, anche le persone che si fermano sono cambiate. I clienti ormai si divertono in altro modo, ad esempio con la droga. Così, se una volta si faceva sesso e basta, ora molti vogliono confidarsi, vogliono parlare. Ma lei è costretta a stare a sentire: «Se poi mi confido io divento subito noiosa…». «Ora però fatemi lavorare — ci saluta — che a fine mese devo pagare affitto e bollette».

Sulla strada — Quella di trans e prostitute è una continua attesa del prossimo cliente. Nelle vie buie del parco vicino allo Stadio sono quasi tutte ragazze africane. Quando le macchine si fermano loro si avvicinano in gruppo. Sono su di giri e pronte a scherzare.
Ogni tanto arrivano a far loro compagnia anche i pulmini delle “unità di strada”. Sono i volontari di varie associazioni che distribuiscono preservativi e fanno supporto psicologico.
Tutt’altro discorso è riuscire a liberarle dal marciapiede. Ci sono organizzazioni, come Borgorete, con progetti finanziati dalla Regione Umbria, che si occupano di sottrarre le prostitute dalla tratta. Ma la mancanza cronica di fondi rende quasi impossibile far sfuggire le ragazze al controllo dei trafficanti e delle protettrici.

Vittime della tratta — Quella delle ragazze africane è una vera e propria odissea. I trafficanti stipulano con le loro famiglie dei contratti, con cui le giovani si indebitano anche per 20 mila euro. Una volta arrivate in Italia, i protettori sequestrano loro i documenti e le costringono a prostituirsi. Non possono sottrarsi alla vita di strada: sotto la minaccia di far male alle loro famiglie in Africa, i trafficanti le tengono in pugno. Così, di una prestazione, 10 euro restano alle ragazze e 5 euro vanno al protettore. Fino all’estinzione del debito.
A volte, a tenere le giovani legate ai loro protettori è anche il voodoo. Costrette a pratiche crudeli prima di lasciare l’Africa, non possono abbandonare la strada, sotto il ricatto della magia nera.
In altri casi ancora è il mito dell’Europa a convincere le giovani africane a lasciare tutto e partire. Con l’idea di trovare lavoro sono catapultate in una società che non dà loro alcuna alternativa. L’unica soluzione diventa quella della strada.
Ce lo racconta il reverendo Blessing Ehigiator, della comunità evangelica Divine Love Ministry di Foligno. Lei, come molti altri, lotta per restituire una vita degna alle ragazze che si prostituiscono. Nella speranza che anche le giovani, come Silvia, possano un giorno abbandonare la strada e realizzare i propri sogni.

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