Storia di Rachele

unvoltonellafolla
raccontibrevi
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7 min readJan 10, 2022

Una madre, accompagna una figlia, di nome Rachele. Entrambe siedono nell’anticamera dello studio di un fotografo.

Il pavimento è di graniglia di marmo, tipicamente anni ’60, massimo ’70 — ha un disegno caotico, sono solo puntini in gradiente, passa la voglia di cercarne un senso dopo poco: appare solo come un rumore.

Le seggiole su cui siedono sono di un legno robusto, scuro, probabilmente mogano e sono certamente antiche: lo stile è Chippendale, a zampa di rapace, di probabile fattura Impero austriaco oppure un’abile copia posteriore. Davanti un’altra serie di uguale fattura, le pareti senza decori.

Sono le cinque del pomeriggio, il sole entra da una grossa finestra davanti all’ingresso, alle spalle di una scrivania d’una segretaria ora assente. Passa mutata da un vetro che ne sottolinea le caratteristiche calde nel colore.
Dopo qualche minuto la porta dello studio, che si trova al lato sinistro di un corridoio sulla destra, si apre.

Non esce nessuno, madre e figlia di guardano con intesa. Rachele si alza ed entra nello studio, Arianna rimane seduta.

È una stanza ampia, dal soffitto così alto che contiene un soppalco nel fondo. Appena davanti si trova un tavolo molto lungo, da banchetto quasi. Al centro di questo, un cesto di vimini con della frutta: pesche chiare, dell’uva, alcune bacche ciondolano con un fare lesionistico, appena più là dalle proprie foglie. Una portafinestra, un divano rosso vino alla sua destra, sulla la parete sinistra: ci sono stampe di diversi formati, un paio di gigantografie — sono per lo più fotografie d’autore, nudi: Helmut Newton, Kefer-Dora Maar, Andreas Feininger.

I loro sguardi s’incontrano, arrivando prima del suono, a salutarsi.
- Prendi pure una pesca, arrivo subito.
Rachele obbedisce, sceglie con attenzione quale mangiare, una in particolare la cattura: l’insenatura in mezzo la taglia leggera creando curve affascinanti. Quasi sorpresa da sé medesima, la morde, cancellando quel bizzarro pensiero.
- Sul divano?
- No, no tesoro. Continuiamo gli scatti dell’altro giorno, qui
- Aspetta…devo avvertirti che mi ha accompagnato

Lui la guarda con circospezione, lei mostra sul viso l’insofferenza alle stesse parole che è stata costretta a dire.
Finalmente sorride: faremo piano, dice — posa quella pesca.
Rachele fa cadere il suo lungo vestito in cotone, la stampa in maiolica si contorce sul tessuto in popeline, lo scollo quadrato è il primo a cedere, la lunga gonna a ruota si accascia a terra.
- Togli le scarpe
Lo sente proferire da dietro, con voce flebile, distratta — quasi. I rumori del treppiede e delle giunture della macchina fotografa le spiegano il perché.
Raccoglie il vestito e lo getta all’estremità destra del tavolo, fuori dall’inquadratura, non esiste più — toglie le scarpe, seguono lo stesso destino. Il fresco del pavimento la sorprende piacevolmente, rimane in intimo, senza reggiseno, voltata di spalle, con un cesto di vimini colmo di frutta avanti e una pesca appena morsicata, deturpata dalla propria sensualità, alla sua sinistra.
- Vorrei provare una idea nuova.
- Cosa?
- Non voltarti.
Sente i suoi passi avvicinarsi. D’improvviso non vede nulla. Un tessuto elaborato le impedisce la vista, un nodo si stringe intorno alla sua nuca.
- Vedi qualcosa?
- Distinguo solo le ombre, a malapena.
- Bene — e mentre si allontana — lascia cadere le mutandine alle caviglie senza sfilarle. Voglio le cingano come manette.
Ancora prima della giustificazione, la gravità informava l’elaborato pizzo nero del suo peso trascinandolo a terra.
La macchina prende a scattare, il rullino si svolge. Ora sul tavolo, adesso stesa sul divano, che prende fuoco con le sue carni. Rachele si muove in modo goffo, non può vedere e teme di inciampare, si lascia guidare da altre mani ed esegue gli ordini ciecamente. Nella pellicola è tutto l’opposto: non c’è alcuno spazio nell’inquadratura per il suo viso cieco, il suo busto rigido, le braccia che si allungano andando a tentoni.
Esiste soltanto la sua bassa schiena, il suo culo, il suo sesso giovane, le sue gambe e quelle manette — che trasfigurano le caviglie in polsi e i piedi in mani.

Questo gioco non è altro che un preambolo, un’alibi volto a giustificare il dopo. E quando il rullino esaurisce i suoi scatti, Rachele è pronta. Il suo sesso è umido, le cola già lungo le gambe.
- Hai contato i click vero?
Bendata, non riesce a capire dove egli si trova, fino a che una mano non le sfiora il culo ed ora le stringe forte il collo, costringendola a cercare con le mani la parete.
- No, non qui. Al tavolo.
Si lascia spostare come si sposta un libro, da uno scaffale ad un’altro. Spinta violentemente al proprio posto. Il centro del tavolo, davanti alla stessa pesca che aveva deturpato. Costretta col viso sul tavolo, a guardare verso destra.
- Ora ti sculaccerò e ti farò male. Non cercherò il tuo piacere, non lo meriti.
Le parole la colpiscono prima degli atti, realizzandoli. Luca la sculaccia forte, la umilia col palmo per poi accarezzarla col dorso. Le sue mani scoprono il sesso di lei- solo sfiorandolo, lasciandosi sporcare da quello strano desiderio.
- Cola per terra, le sussurra all’orecchio.
- Voglio che coli per terra, indecorosa, lurida.
La porta dello studio si apre, Rebecca non la sente, non può udirla, il rumore gli arriva da lontano come fosse un eco attutito e smorzato. Luca le stringe il collo più forte costringendola a tenere la testa sul tavolo, voltata a destra, senza che possa distinguere alcuna ombra.
- Cos’è stato?
- Stai zitta, nulla.
Le accarezza l’ano col medio mentre scorre lungo il perineo, sale verso quel sesso torrido. Le stringe le labbra della vagina, costringendole ad un bacio.
Rachele ha il cuore che batte forte, sente dei passi: improvvisamente si ricorda della sua prigionia, della sua matrigna. Una serie di domande le trafigge il cervello: Quanto tempo è passato? È lei? Perché nessuno parla? Non può essere lei, sarà solo un rumore. Ma sento dei passi? Sono dei passi quelli? Fino a che il piacere non le offusca ancora la mente, rendendola lenta, intorpidendola. Quelle dita la castrano, stringono, chiudono.

Arianna avanza verso di Luca, senza parlare, con calma; leziosa.
Osserva la propria figliastra, messa a novanta contro un tavolo. Bendata. Il collo docile giù, come quello di un’oca prima dell’ultimo momento. Le scappa un sorriso, guarda la pesca appena morsicata. La sua mano destra colpisce i glutei di Rachele: forte, in mezzo, sfiorandole il sesso. E si allontana di qualche passo.

- Ti piace, vero? Essere sculacciata come una cagna.
Rachele è terrorizzata, ma non è conscia del suo terrore e vuole fuggirvi come si fugge ad un incubo: non è possibile, non è credibile. Era per forza la mano di Luca, come potrebbe essere altrimenti?
Di nuovo, colpita. È Luca, ne sono sicura. Di nuovo, quel torpore.
I pantaloni di Luca cadono a terra. Lo sente duro contro le proprie natiche, spinge e le sfiora le labbra. Le tira forte i capelli, costringendo la sua schiena a curvare: sente il peso dei propri seni. Cerca l’equilibrio, quelle mutandine sono manette che le impediscono di muoversi adeguatamente. È debole, goffa, stupida. All’orecchio Luca le sussurra cosa avverrà:
- Ti leccherò intorno al buco del culo, sentendo il tuo sapore, le tue increspature concentriche. Lo penetrerò con la lingua, piano. E godrai.
Rachele sorride.
- Tutto qui? Te ne stai duro contro di me e vuoi leccarmi il culo?
Stringe forte le gambe e continua:
- Guarda, sono chiuse per i lecca culo.
Luca le afferra i capelli forte. Li stringe. La sbatte contro il tavolo prima che ella possa pensare una risposta. Una mano in mezzo alle sue gambe, la forza.
- Aprile. Aprile ti ho detto, troia.
Quella parola la investe, la eccita, le da un nuovo ruolo. Un ruolo di potere. Le stringe ancora più forte.
Luca la apre a forza, infila l’indice e il medio dentro l’ano e una gamba in mezzo alle sue.
- Cosa pensavi di poter fare? Sei solo una lurida schiava. Ti piace, e lo sai.
- Non sono una schiava. Sono una puttana e tu sei il mio cliente. Stronzo.
Il sangue lo irrora.
- Guarda come ti incula questo stronzo.
Rachele geme mentre si sente aprire, piena. La sua mano destra va alla fica, senza chiedere alcun permesso. Sente le palle che la sbattono, le accarezza. La eccita, ha il controllo.
È lei che si muove con lui, che viene penetrata e si fa penetrare al di là dei ruoli e delle parti.

Arianna si riavvicina, guarda il volto sudato di Luca. Lo guarda mentre penetra il culo e la fica di Rachele. Lo afferra, gli stringe il cazzo, impedendogli di entrare nella figliastra. Di nuovo, la colpisce in mezzo ai glutei. Questa volta soffermandosi quanto basta per sfiorare quello sfintere dilatato, con le unghie. Si rivolge a Luca:

- Ed è così che ti scopi mia figlia?
La sculaccia ancora. Rachele è immobile, il suo incubo si è realizzato. Trema. Non riesce a parlare. Ha i buchi aperti, si sente pulsare, diviene un battito.
- Se tuo padre ti vedesse, come ti fai inculare. Puttana. Pensi che piacerebbe a tua madre? È morta dando vita ad una troia.
Stringe il cazzo di Luca. Il suo tono diventa di nuovo lezioso, mellifluo:
- No, no, no. Ragazzo, non si fa così. La devi stuprare una ingrata del genere. Lurida.
Lo tira fino a farlo entrare dentro l’ano di lei.
- Prendile i polsi e spingila verso di te, come fossero delle redini. È solo una vacca da monta.
Luca obbedisce e ruota verso la portafinestra. Ora Rachele non poggia più a nulla: trema come una foglia attaccata ad un ramo, una sera d’inverno.
- Mi chiamerai Madre da ora in poi. Abbiamo un segreto io e te.
Scopala ti ho detto! La devi inculare a sangue. Hai capito tu?
Un calore improvviso colora le guance di Rachele. La sua matrigna la sta prendendo a schiaffi. A ciò si aggiunge un calore molto più tenero, si accorge di stare piangendo.
- Non sarete più solo tu e tuo padre. Adesso siamo solo te ed io. Se tuo padre sapesse tutto questo…Cosa penserebbe di te? Cosa pensi che direbbe di sua figlia? Prima gli hai ucciso la moglie e adesso…?
Rachele ha il viso in una fornace. Il suo cuore batte forte senza fermarsi, il calore la penetra dal viso alle ossa al culo. Il cazzo di Luca dentro che si gonfia: non ha pietà di me? Perché non ha detto nulla? Il suo corpo stesso la tradisce: ella gode e non riesce a trattenersi, quelle mani sulla sua fica, senza chiedere il permesso, sono le sue.

Luca la sente pulsare, la vena all’entrata del suo ano e che si estende dentro fino ad imporgli un ritmo. La sente e gode.
Arianna lo sa, e dal tavolo prende la pesca morsicata.
- Da bambina non volevi mai mangiare la frutta. Vediamo se sei cambiata.
La afferra per i capelli, riportandola al tavolo — in quella stessa inquadratura in cui prima compariva libera. Afferra il cazzo di Luca e lo masturba dentro la pesca. Luca è complice, vuole sottomettere Rachele ed umiliarla. Prende il frutto e si masturba guardandola. Arianna non esiste per Luca. Il suo seme si raccoglie in quella pesca.
- Apri la bocca. Mangia.

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