Tutti abitanti di un paese di carta

Massimo Giuliani
Le storie di Tarantula
5 min readSep 6, 2016

Per cominciare dichiaro la mia totale inadeguatezza a scrivere una vera recensione di questo libro: troppe sono le cose passate e presenti (molte delle presenti sono in quelle pagine) che mi legano all’autrice e in vari modi alla storia che racconta.

Non è casuale, per esempio, che soltanto oggi riesca a raccontarvi del libro, dopo averlo smarrito e ritrovato, e poi smarrito ancora e ritrovato un’altra volta, nei miei spostamenti fra una città e un’altra. E non solo per deformazione professionale tendo a pensare che le vicissitudini del volume che ho avuto fra le mani per la prima volta poco più di un anno fa c’entrino con quello che lega me ad alcuni dei personaggi della storia, tesi fra due luoghi e fra appartenenze molteplici.
La storia si svolge fra Bethesda (Maryland), Moab (Utah) e L’Aquila. Sara, figlia inquieta di Jane e nipote di Alice, vola in Italia per esaudire l’ultima volontà della nonna, che era nata nel capoluogo abruzzese. L’Aquila è quella del 2010, è la città post sismica, e il teatro abruzzese della storia è costituito dalle palazzine del celebrato “Progetto C.A.S.E.” e dal centro storico cintato e militarizzato. Di qui è possibile pensare che il “paese di carta” del titolo sia anche il paese fragile che si lacera sotto la forza del terremoto. Ma è soprattutto il paese in cui l’appartenenza e il riconoscersi conterranei si affidano all’essere formati da una lingua e da una letteratura — con la Divina Commedia come passaporto. Nonna Alice, non essendo propriamente una letterata, aveva però una passione sconfinata per i libri e per gli scrittori: quando si accapiglia con la figlia Jane è sui verbi e le coniugazioni. Quella passione intransigente è il legame che non si scioglie fra Alice e la sua terra lontana, perché chi conosce le parole sa che esse non sono soltanto il mezzo col quale ci scambiamo informazioni, ma sono la materia che costituisce le nostre vite: fu la caduta dell’impero romano a determinare il disuso del tempo futuro, o fu piuttosto la disabitudine all’uso del futuro che tolse nutrimento all’idea dell’impero e dunque all’impero stesso? Se siano le parole a disegnare la vita o la vita a modificare le parole, è la questione su cui madre e figlia sono continuamente in disaccordo.

Sara, dunque, col suo zoppicante italiano vola fino a L’Aquila per compiere una missione. Ma passerà un po’ di tempo prima che esaudisca il desiderio della nonna: quel viaggio si caricherà di altri significati che le richiederanno di aspettare. Da una parte Sara, tornata nei luoghi delle radici, riuscirà a riempire i buchi di una storia di tre generazioni che ora acquisirà sorprendentemente dei sensi inattesi; Sara la ribelle scoprirà come la sua inquietudine e la sua insofferenza a certe catene hanno un’origine antica. Dall’altra parte, mettendo una distanza fra sé e i luoghi della sua vita di tutti i giorni, vedrà un po’ più chiaro nei propri legami e nelle proprie appartenenze. La nonna, “morta, si era trasformata in romanzo”; e la stessa vita di Sara, vista da fuori (vista dall’Aquila), diventa una storia che si può meglio comprendere. Perché le vite sono un po’ come un libro che, solo una volta chiuso e lasciato sul comodino, e una volta che ne hai preso una certa distanza, ti rivela le cose importanti. E così anche Sara, quando tutto diventa più chiaro (quando di giorno, direbbe Karen Blixen, la forma della cicogna disegnata dai passi sulla sabbia si fa evidente), si sente pronta a concludere la sua avventura aquilana.

Da tempo dico come, dal terremoto in poi, L’Aquila si sia scoperta teatro ideale di storie da raccontare. Anche qui, è come se la città in movimento e in trasformazione (la trasformazione dei primi tempi, quando la città cercava di salvare se stessa non solo dalle conseguenze di un terremoto grave, ma anche dall’imposizione dall’alto di una storia che non era la sua) fosse l’unico sfondo possibile per la ricerca di Sara e, attraverso di lei, di tre generazioni di donne. Sara, a un certo punto, si lascia anche coinvolgere, forse senza comprendere bene, nell’attivismo di chi contesta un modello tossico di ricostruzione e di città: e forse, pure senza aver vissuto il terremoto e l’imposizione di un “miracolo” fasullo, in quella battaglia intuisce un bisogno di salvare un po’ di verità e di innocenza, che è il suo stesso bisogno (e perdonate se mi trattengo dal dirvi di più, ma vi invito a scoprire da voi, pagina dopo pagina, i temi e gli interrogativi centrali del rapporto fra Sara e la propria storia familiare).
Non so se era nelle intenzioni dell’autrice, ma anche qui la distanza si fa chiarificatrice: attraverso gli occhi stranieri e increduli di Sara, anche a noi il trionfalismo del “miracolo aquilano” si rivela quanto mai assurdo.

Laura Benedetti (foto da news-town.it)

Laura Benedetti, l’autrice, è lei stessa aquilana in America, e abitante di quel “paese di carta”: insegna letteratura italiana alla Georgetown University di Washington e arriva al suo primo romanzo dopo una bella serie di saggi importanti. La scrittura è rigorosa, l’intreccio della storia narrata con eventi non solo della cronaca recente, ma anche della storia passata della città, è perfetto e sempre sorprendente.

Però avevo anticipato che non sarei stato capace di scrivere una recensione del “Paese di carta”, perché forse non è possibile parlare con un minimo di distanza di una storia dei cui luoghi quasi riconosci gli odori, o che in certi momenti ti sembra di sentire raccontata da una voce che conosci; e comunque mi assumo la responsabilità di consigliarvene col cuore la lettura. Perché è un libro che parla di appartenenza e di identità in un modo non banale e per niente “identitario”. Perché è una bella storia di donne che non riguarda solo le donne. Perché è un libro sulle cose che si scelgono e quelle che non si scelgono: non ti scegli la famiglia nella quale nascere, non ti scegli la città e soprattutto non ti scegli il terremoto; ma nelle cose che non hai scelto puoi scegliere chi essere e dove stare (e in fondo tutti i personaggi della storia combattono per scegliere da che parte stare). E infine lo consiglio anche per conoscere un po’ di più una città della quale da anni si parla molto ma che si scopre soltanto percorrendone le strade e la storia; se non avete modo di farlo a breve, intanto portatevi avanti con questo libro.

L’Aquila, 3 settembre 2016

Originally published at massimogiuliani.wordpress.com on September 6, 2016.

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Massimo Giuliani
Le storie di Tarantula

La cura e la musica sono i miei due punti di vista sul mondo. Sembrano due faccende diverse, ma è sempre questione di suonare insieme.