LA MUSICA DEI POVERI

Radio Monastier
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4 min readOct 11, 2021

Marco della nostra redazione ci invia una recensione di un disco di qualche anno fa. Il titolo è La musica dei poveri, del gruppo Mercanti di liquore… un titolo che dice molto sul contenuto dell’album, canzoni dedicate ai dimenticati, agli ultimi, agli emarginati e soprattutto a tutti coloro che si sentono tali. Per ricordare che non tutto ci può essere tolto. Buona lettura, e buon ascolto!

Qualche settimana fa ho letto la notizia che un gruppo da diversi anni diviso si riuniva per un tour insieme ad altri artisti: i Mercanti di Liquore!

Ho conosciuto questo gruppo nei primi anni del nuovo millennio grazie alla trasmissione radiofonica Caterpillar che mandava spesso in onda la canzone Mai Paura, ma oggi voglio parlare del primo album dei Mercanti di Liquore che ho acquistato ancora studente universitario nel 2003 (l’album è uscito nel 2002): la Musica dei Poveri. Raramente acquisto un album solo perché il titolo mi incuriosisce, ma devo ammettere che uno dei motivi principali per cui quel giorno ho scelto proprio quello tra molti papabili fu quella copertina con l’espressione semplice e provocatoria che viene poi ripresa dalla quarta canzone del disco.

Una formazione essenziale perché composta da soli tre elementi (Lorenzo Monguzzi alla chitarra e voce, Simone Spreafico alla chitarra e basso, Piero Mucilli alla fisarmonica e tastiere), ma che tuttavia, avendo attinto a piene mani (soprattutto alla nascita) da un repertorio cantautorale italiano di altissimo livello (De André in primis) riesce a non essere mai banale e anzi a stuzzicare l’intelletto con brani stimolanti anche dal punto di vista dei testi.

Per gli appassionati del folk d’autore La Musica dei Poveri è un album da ascoltare e riascoltare, ma lo consiglierei a chiunque! Parliamo di un disco godibilissimo e molto vario dal punto di vista delle sonorità (lo si può ascoltare interamente senza uscirne annoiati). Ma magari questi aspetti potrebbero essere soggettivi… Passiamo a qualcosa che colpisce senza ombra di dubbio!

La canzone che è il suo manifesto cerca di trasmettere un’idea riassunta poi nell’ultima strofa:

Molti ne reclamano partenità
Ma lei non appartiene neanche a chi la fa
Non l’avranno i venditori di dischi
O i pagliacci camuffati da grandi artisti
Non l’avranno i criminali… distinti
Lei non è dei vincitori, lei è dei vinti

Vale a dire che la musica (come molte forme d’arte) per la sua universale comprensibilità e fruibilità non è patrimonio esclusivo di nessuno, nemmeno di chi la compone… sfugge a chiunque tranne a chi non ha nulla e quindi non ne reclama proprietà (i poveri appunto!). Direi di più, sembra quasi che, come molte forme artistiche, essa preferisca addirittura farsi comporre e ascoltare dai vinti della storia umana, coloro che portano in valigia dolori, sofferenze o umiliazioni di vario tipo. Come ogni forma di linguaggio umano si carica di empatia e profondità quando parla delle nostre sconfitte, della nostra fragilità (pare un aspetto banale ma non lo darei per scontato, raramente l’ho sentito affermato così esplicitamente).

Ecco perché adoro questo disco che presenta una carrellata di ultimi, vittime apparenti di una storia umana che macina vite e sentimenti senza pietà. Di più: le sconfitte sono solo apparenti perché ascoltando bene ogni canzone non ha un tono di commiserazione, al contrario parla di riscatti, di rivincite date proprio dal fatto che ogni personaggio si oppone ad un mainstream, ad un modo comune e allineato di pensare il mondo e l’esistenza (e spesso la sconfitta è diretta conseguenza di questo). La musica in questo album quindi rivaluta, mette in luce, dona il giusto palcoscenico a coloro che la storia stessa decreterebbe perdenti. Credo che ognuno di noi possa riconoscersi in almeno uno dei versi qui contenuto e sentirsi in qualche modo consolato dalla musica.

Unico brano che sembra fare eccezione è Lombardia, che tra l’altro è una delle canzoni più belle, pezzo autobiografico che presenta il gruppo come i “figli storti” di una terra apparentemente votata ad un’economia schiacciasassi pronta a demolire chi resta indietro o non fa della produttività il proprio scopo primario (i figli storti nascono in un’osteria… non in una fabbrica). Anche in questo caso quindi un’opposizione, una ribellione, di chi canta nei confronti della durezza della terra di origine.

Un’ultima sottolineatura sulla canzone Santa Sara, che parla della grande festa degli zingari in Camargue, alla foce del Rodano (Francia): la diversità di chi vede il mondo da un altro punto di vista rende la terra migliore, più colorata. Recita infatti un verso quasi iconico:

Son troppi i colori del mondo,

non li puoi chiudere in una bandiera…

Detto questo non mi resta che augurarvi un buon ascolto!

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