Cremona, avanti con prudenza

Grandi chitarre in piazza (col permesso del Covid)

Val Bonetti, Alberto Lombardi e Beppe Gambetta (insieme a molti altri) per colmare il vuoto di Acoustic Guitar Village

Massimo Giuliani
Published in
8 min readSep 27, 2020

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A Cremona, l’ultimo fine settimana di settembre, finisce ufficialmente l’estate per gli appassionati della chitarra acustica. Per tre giorni, Armadillo Club di Sarzana (semper laudetur), diretto da Alessio Ambrosi, in collaborazione con Cremona Fiere anima Acoustic Guitar Village, una immersione nella musica per chitarra fra stand di produttori e liutai, live set che si susseguono serrati dalla mattina alla sera, convegni e iniziative culturali, in mezzo ad appassionati e giornalisti del settore.
Sebbene a un certo punto ci si fosse convinti che il Covid non avrebbe avuto la meglio sul “Villaggio” e che ci si sarebbe ritrovati anche nel 2020, come sempre dentro il più ampio contenitore di Cremona Musica, nel bel mezzo dell’estate arriva la notizia (che non ha sorpreso): come non detto, ci si vede nel 2021.

Alessio Ambrosi

Ma sebbene la grande macchina resti parcheggiata in attesa dell’anno prossimo, gli organizzatori non hanno fatto mancare la musica a quella che ieri sera Val Bonetti ha definito la “capitale degli strumenti a corde”. E così fra ieri 26 e oggi 27 settembre un certo numero di eventi, all’aperto e ad ingressi controllati, sta animando il centro di Cremona sotto lo stemma di “Acoustic Guitar Village”. Adelante con juicio, dunque, avanti con prudenza senza la parte fieristica e con le seggiole a un metro e mezzo l’una dall’altra.

Dunque ieri sera 26 settembre, nel Cortile Federico II, Val Bonetti ha cercato di riscaldare la prima vera serata autunnale dell’anno (iniziata a 13 gradi e finita intorno a 7–8). Gli è toccato di farlo in un orario un po’ infausto, mentre la piazza immediatamente fuori era affollata per l’apericena. Chi frequenta questo blog sa un po’ di cose dell’artista, che ha appena pubblicato “Hidden Star” ma che ieri ha suonato un repertorio che pescava in gran parte dal blues e dal jazz delle origini — e come sempre la scelta è stata assai originale: Mance Lipscomb, Clarence Williams, e una poderosa versione del classico “Big Bad Bill is Sweet William Now” fra le altre cose. Val ha annunciato poi il varo del progetto di cui si parla da un po’: un album di arrangiamenti di ninne nanne dal mondo, per il quale partirà ben presto una chiamata ad appassionati e a chiunque sia interessato, a partecipare tramite acquisto di copie e altri tipi di contributi. A giorni credo che ne sapremo di più.

Anche ieri ha offerto un paio di assaggi del progetto: “A siminzina”, che credo sia stata divulgata soprattutto da Rosa Balistreri, e la coreana “Ja jang”, entrambe arrangiate sulla resofonica che nelle mani di Val produce suoni che sembrano arrivare dal Mediterraneo e dall’Estremo Oriente (la seconda sta anche in un video che trovate su questo blog, precisamente qui).
A margine segnalo che per un paio di pezzi Val ha provato sul palco una chitarra in fibre di carbonio, costruita dalla Ennegi. Uno strumento interessante a scocca unica, a quanto pare molto suonabile e dal manico scorrevole, dal quale magari non aspettarsi che riproduca i suoni del legno ma che sappia accompagnare il musicista pesando poco sul bagaglio e mantenendo bene l’accordatura (su maneggevolezza e resistenza all’umidità probabilmente il carbonio vince sui materiali tradizionali).

Il tempo di sanificare palco e microfoni, e sale Alberto Lombardi. È un musicista che calca spesso i palchi delle manifestazioni chitarristiche e non solo. Da anni sta lavorando sodo per un suo posto al sole nel mondo della musica: ci sta riuscendo mettendo a frutto un talento non comune nello scrivere arrangiamenti per chitarra fingerstyle. Fra gli appassionati sono ormai popolarissime le sue versioni del repertorio dei Beatles, di “Nel blu dipinto di blu”, di “Tu vuoi’ fa’ l’americano”, la formidabile rilettura di “Georgia on My Mind” e così via. Anzi, proprio la canzone di Modugno lo impose all’attenzione di Stefan Grossman, ed oggi Alberto Lombardi è uno dei docenti del suo catalogo di lezioni di chitarra. Di recente ha lavorato sugli arrangiamenti dei classici Motown e, a giudicare dalla “You Can’t Hurry Love” che abbiamo ascoltato — deliziosa col buon vecchio basso alternato — quel repertorio sulla chitarra apre un mondo alla tecnica del fingerpicking.
Nel frattempo sta promuovendo “Home”, un album autoprodotto di proprie canzoni più elettriche e di ispirazione pop rock (al quale ha collaborato al mixaggio Bob Clearmountain).
In tutto questo sarebbe interessante rivederlo prima o poi nella veste di compositore sulla chitarra, perché quello che conosciamo dei pezzi solisti che scrive per l’acustica è interessante e fa venir voglia di saperne di più. “The Fermi Paradox”, che intitola il suo primo album (2018), resta un gran pezzone e uno dei momenti più belli dei suoi live. Che comunque sono sempre divertenti e molto coinvolgenti: se lo trovate in giro, andate ad ascoltarlo.
Non siamo riusciti a cogliere il nome della cantante che l’ha raggiunto sul palco per duettare su “Roma non fa’ la stupida stasera”, ma insomma bel finale.

E poi, fatemi dire, assistere al set di Beppe Gambetta (col contrabbassista Riccardo Barbera) è stato una esperienza particolarmente emozionante.

Lo avevo visto per la prima volta a metà degli anni 80 in una serata in un locale (il leggendario “Sing Out!” di Roberto Salvatore, cui si fa cenno anche qui). Quella sera avevo avuto modo di parlarci a lungo per registrare una intervista per la radio da cui trasmettevo in quel periodo. Era molto simpatico, forse timido, ma più probabilmente univa a quel carattere schivo che di solito si attribuisce ai genovesi un grande amore per le cose che faceva e per ogni possibilità di condividerle. Era un grande tecnico della chitarra flatpicking, che alternava anche con qualche ragtime suonato in fingerpicking. Lo rividi in qualche occasione all’inizio del decennio successivo. Aveva una tecnica eccellente, era uno studioso dei padri come Doc Watson e Norman Blake ed era noto come didatta dello strumento (aveva scritto buoni manuali, teneva seminari e collaborava con la rivista “Chitarre” di Andrea Carpi). Emerso con l’ondata dei gruppi folk e country dell’inizio degli anni 80 (era stato il chitarrista dei genovesi Red Wine), aveva un tocco invidiabile ed era in grado di dare del tu ai colleghi americani.

E infatti andò come era naturale che andasse: delle buone esperienze negli Stati Uniti (dopo il periodo di scambi proficui iniziati con i Red Wine) gli portarono stima e rispetto dei musicisti di lì, poi un album di duetti e delle collaborazioni più o meno stabili (Tony Trischka, Dan Crary…), fino a farne un musicista di culto che si divide fra Genova e gli USA.

Sembra quasi un paradosso il fatto che, proprio mentre diventava un artista davvero internazionale suonando musica americana, gradualmente Beppe Gambetta studiasse modi di applicare la sua tecnica strumentale alla musica tradizionale genovese e del Mediterraneo. È del 1997 l’album “Serenata”, inciso col mandolinista Carlo Aonzo. Di lì verrà la rilettura del repertorio di De Andrè, dalla Genova di “Crêuza de mä” a ritroso fino alle canzoni dei primi tempi.

L’artista che abbiamo visto sul palco ieri sera è un signore che ha esaudito il desiderio di incontrare tutti quelli che nella vita lo hanno ispirato (dallo stesso De Andrè ai maestri americani) e, da straordinario strumentista ed esecutore che era, oggi è un Musicista che si racconta e che ha inventato un mondo musicale originale che va da “Black Mountain Rag” a “Jamin-a” passando per “Ma se ghe pensu”.

Nei giorni del lockdown, per contrastare la paralisi che si era abbattuta sulla musica, Beppe Gambetta ha inciso un album ( “Where the Wind Blows / Dove tia o vento”, doppio titolo inglese e genovese) che è lo sguardo di un uomo che è testimone e poi protagonista di una storia importante. Sguardo che è per forza lo sguardo di uno della sua generazione, ma senza nostalgia né rimpianto, piuttosto con tanta gratitudine. È un disco del quale Gambetta ha scritto anche i testi e si apre con “La musica nostra” che è la dichiarazione d’amore, anzi la rivendicazione orgogliosa di quei suoni e di quella storia che lo hanno portato on the road fino a incontrare Pete Seeger, Doc Watson, lo stesso De Andrè: cioè quei “wise old men” che una delle tracce del disco racconta come portatori di pace. Pace, libertà e tenerezza (nella bellissima e giocosa “Hide and Seek” in chiusura) sono gli stati d’animo ricorrenti (e abbondantemente chiamati per nome) nell’album, che ci restituiscono un’innocenza che appartiene alla musica di anni lontani e davanti alla quale quasi ci scopriamo spaesati. E che fanno dell’uomo che abbiamo visto ieri sera sul palco un autore a cui non si può non voler bene.

Grazie a Beppe Gambetta per come sa offrirsi sul palco e per quello che ha saputo diventare.

Insieme a un plauso per Riccardo Barbera, contrabbassista di lunga e varia esperienza che si vede spesso al suo fianco, ci mettiamo anche un cenno grato ad Alessio Ambrosi, ad Armadillo, a tutti quelli che hanno salvaguardato questo raro momento di incontro con la musica. In tutto tre orette indimenticabili (si batteva un po’ i denti, ma pazienza).

Originally published at http://www.radiotarantula.net on September 27, 2020.

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Massimo Giuliani
RadioTarantula

La cura e la musica sono i miei due punti di vista sul mondo. Sembrano due faccende diverse, ma è sempre questione di suonare insieme.