Dal Greenwich Village a via Paolo Fabbri 43: Deborah Kooperman (intervista)

Nel ’68 era una studentessa americana che arrivò a Bologna con la chitarra e diventò la chitarrista di Francesco Guccini. Avrebbe suonato con lui fino a “Eskimo”. Ma la storia è molto più lunga, e — oltre ad essere stata importante per l’evoluzione del cantautorato bolognese — Deborah ha anche una vicenda musicale propria…

Massimo Giuliani
RadioTarantula
17 min readJan 2, 2022

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La storia della chitarra acustica in Italia passa per alcuni personaggi che approdarono da altri paesi negli anni ’60 e decisero di piantare le tende da noi. Deborah Kooperman oggi gestisce il suo negozio di musica a Villafranca, a due passi da Verona, dove l’ho incontrata per farmi raccontare tutta la storia.
Questa è una parte della nostra conversazione. L’altra, più “storica”, la conservo nel cassetto non solo perché altrimenti il pezzo sarebbe stato ben più lungo di così, ma anche perché quello che è successo in quegli anni meriterà un racconto a parte…

Max Giuliani: Deborah, quando sei arrivata in Italia studiavi musica, pianoforte…

Deborah Kooperman: Sì, formalmente i miei studi classici erano di pianoforte. Ma a sedici anni scoprii la chitarra e così piantai il piano. Non ho avuto lezioni formali, semplicemente vivevo in mezzo alla gente che suonava e imparavo. Fu importante. Solo che quando dovevo venire in Italia al conservatorio mi iscrissero sia per pianoforte che per chitarra classica. Mi interessavano tutt’e due e alla fine scelsi il piano perché adoravo l’insegnante, era molto dinamica. Dovevo scegliere e non ero appassionata della classica, era anche questione di unghie, eh. Lunghe o corte… e l’insegnante di piano era talmente dinamica che decisi che, almeno al conservatorio, sarei tornata al pianoforte.

Dal sito www.pernondimenticare.net/

MG: Così a Bologna sei entrata in contatto coi cantautori del periodo, Guccini e Dalla…

DK: …e anche Claudio Lolli.

MG: Con Guccini hai fatto tutti i dischi degli anni Settanta…

DK: A parte il primo, che era Folk Beat n. 1 e che fece quando non ero ancora in Italia. Ho suonato da Due anni dopo fino alla canzone “Eskimo”; che era in Amerigo del 1978.

MG: Suonavate anche dal vivo…

DK: Sì, abbiamo fatto tantissimi concerti.

MG: E con Dalla e Lolli?

DK: Con Claudio ogni tanto si faceva qualche concerto insieme. Lucio fece “4 marzo 1943”, la canzone famosa di Sanremo, poi doveva fare la tournée e mi chiese di accompagnarlo come sua chitarrista acustica. Eravamo io e Rosalino Cellamare. Intendo Ron, aveva diciotto anni ed era appena maggiorenne, io lo chiamo ancora Rosalino... Siamo andati fino a Roma, in giro, a presentare quell’album (Storie di casa mia, 1971, nota mia).

MG: Rosalino veniva anche lui dalla canzone americana, suonava la chitarra…

DK: Sì sì, suona e anche bene. Tutti in quel periodo erano influenzati dagli americani. C’era il filone De Andrè che guardava più verso i francesi, gli europei. Però gli altri, come De Gregori, erano influenzati dall’America. Così Guccini, tantissimi…

Foto di Paola Contavalli

MG: Però loro quando sei arrivata hanno sentito te che suonavi il fingerpicking, era una cosa nuova!

DK: Sì, era nuova. Ero una dei pochi in Italia. A dire il vero, non so dove sia ora, forse in Inghilterra, c’era Stefan Grossman. Grande fingerpicker, anche lui stava in Italia.

MG: Era ai Castelli, dalle parti di Roma…

DK: Sì, esatto. Partecipava al Folkstudio, il giro romano…
Adesso lo fanno tutti. E molto meglio di me, io uso la chitarra per cantare, non mi considero una chitarrista che canta, sono una cantante che suona la chitarra. Do più importanza al canto. Però è vero, quando sono arrivata io eravamo in pochissimi, io poi ho insegnato per anni, tutti i miei allievi facevano fingerpicking, perché era quello che mi chiedevano. Anche Francesco ha imparato (ride).

MG: Si racconta che tu gli abbia insegnato, ma con poca fortuna. Come è andata?

DK: In realtà ha imparato! Ma è vero che l’ha usato poco, perché avendo i suoi musicisti non aveva più bisogno, ha un chitarrista con i fiocchi, Flaco Biondini è veramente bravo. Però ha imparato.

MG: Non so se segui la chitarra attualmente, i nuovi musicisti…

DK: Qualcuno. C’è un’esplosione di gente nuova, si fa fatica a seguire…

MG: Che ne pensi di questi nuovi stili percussivi, queste nuove tecniche…

DK: Mah, è molto virtuoso. Bello da sentire. Io non amo personalmente i virtuosismi. Anche se li apprezzo. Tanto di cappello per chi riesce a muovere le dita in quel modo… ma mi piacciono le cose minimali. Penso a quei personaggi che fanno duemila note in dieci secondi. Non ne vedo la necessità, mi fa venire l’angoscia… [risate] Però è molto interessante da ascoltare. Uno come Tommy Emmanuel che batte le chitarre da tutte la parti… è molto bravo.

MG: Anche se poi, fra tutti questi virtuosi, lui è legato a uno stile alla Chet Atkins, al blues eccetera…

DK: Beh, io amo Chet Atkins! Ho una Gibson che si chiama Chet Atkins acoustic [risate] anche se non faccio le sue canzoni…

Deborah canta Buffy Saint-Marie (con la Gibson Chet Atkins!)

MG: Chi ascolti in generale?

DK: In Italia mi piace tanto Alex Britti. A parte il fatto che anche lui ha una Chet Atkins acustica, e mi è simpatico anche per questo [risate]… parli di chitarristi italiani?

MG: Non necessariamente…

DK: Sai, quelli americani, quelli nuovi, li ho persi di vista. Stando qua sono più attenta a quello che succede qua. Io sono qui da cinquant’anni…! Però mi piace un grande della 12 corde, Leo Kottke. Bravissimo, lo ascolto volentieri perché è difficile suonare la 12 corde come la suona lui. Però sì, sono più attenta alla musica che si fa in Italia.

MG: Ti piace cantare le canzoni italiane?

DK: Guarda, faccio fatica a cantare in italiano, faccio fatica a esprimermi bene. Però lo faccio: faccio parte di un gruppo di donne che si è dato il nome “Le Bocche di Rosa” perché è successo che lo scrittore Enrico De Angelis — molto conosciuto a Verona, organizza varie iniziative — ha organizzato un concerto per l’università sull’album di De Andrè dedicato a “Spoon River”. Ha chiamato tutte donne, eravamo una decina di donne e ognuna ha fatto una canzone, poi delle lettrici leggevano le poesie di Spoon River. È stata un’esperienza bellissima, dove ho cantato in italiano.

MG: Esistono ancora le “Bocche di Rosa”?

DK: Ci ha fatto cantare anche a Ivrea, dove è venuta Dori Ghezzi ad ascoltarci. Abbiamo fatto altri concerti, non su quell’album ma abbiamo fatto concerti per l’8 marzo, per la pace. Ma è molto costoso questo genere di concerti, quando hai tante persone sul palco, anche se dai un gettone di cento euro a chi canta, e poi i musicisti, e poi la parte tecnica che è molto complessa, costa troppo. Non ci sono soldi. Il primo lo pagò l’università di Verona, che organizzava…

MG: Quando hai cominciato a suonare che riferimenti avevi?

Avevo 15 anni, un amico mi aveva insegnato questi tre accordi, così ho rotto le scatole a tutti per una settimana con quei tre accordi finché mia madre mi ha detto “ora, per favore, impara qualche altra cosa!”. Poi andai all’università a New York. Intendo la mia prima esperienza all’università, perché quando sono venuta in Italia ero alla seconda. La prima volta avevo lasciato la scuola per cantare. A 17 anni, appena diplomata, ero a New York, abitavo al Greenwich Village. Era proprio il punto di riferimento per tutti gli artisti, soprattutto allora. È lì che ho imparato a suonare.

MG: Quando, dopo Bologna, sei venuta a Verona, avrai trovato un clima diverso, in fondo era un periodo differente…

DK: Era l’85. Sì, era molto diverso. Poi ero sposata, avevo una figlia di 13 anni… Verona è molto più… uhm… chiusa? Era difficile, forse, entrare nella vita veronese. Poi ci sono entrata, eh. Chi era più in crisi era mia figlia, trovare nuovi amici è stato complicato. Ma Verona è una bellissima città, sto bene. Poi abbiamo questo negozio che mi tiene in piedi…

MG: Dal negozio è nata anche una scuola di musica…

DK: L’abbiamo ceduta un paio di anni fa, perché era gestita da mia figlia. È andata a vivere in Trentino, e io da sola non riuscivo a seguire tutto. Però la scuola c’è ancora, funziona benissimo. Oggi si chiama Art Lab. Ha l’impronta della nostra storia, l’abbiamo creata noi…

MG: Quindi molta chitarra…

DK: Soprattutto. Ma insegnano di tutto.

MG: Secondo la tua esperienza di insegnante i ragazzi adesso cosa cercano dalla chitarra? Che riferimenti hanno, cosa vogliono suonare?

DK: Mmh, dipende. I bambini alle prime armi imparano gli accordi con una chitarra classica. Imparano a muovere le mani, poi cercano la chitarra elettrica. Sono passaggi, i quindicenni adorano l’heavy metal, poi quando hanno diciott’anni basta, chiudono col metal e vanno sul rock. Sono passaggi della vita, secondo quello che ascoltano. Ma ci sono molte famiglie che non ascoltano la musica non hanno la musica in casa: allora in quei casi devi partire da zero, insegnare l’ascolto. Non hanno mai sentito i Beatles, non conoscono la differenza tra un blues e una canzone pop e allora insegnare vuol dire molto ascolto.

MG: E in tutto questo continui a suonare!

Deborah Kooperman al Busker Recording Studio per il nuovo disco di Mora & Bronski (foto di Antonio Boschi)

DK: Sì, ho un concerto qui a Villafranca in gennaio. Hanno fatto un nuovo teatro delizioso e mi hanno invitato. Hanno appena aperto, ogni due settimane c’è una serata e il 15 gennaio ci sono io con un mio concerto. C’è una cosa da dire, sono sempre stata autonoma musicalmente, ho avuto dei gruppi ma in questo periodo che non ci sono soldi vado da sola. Ma uno dei miei problemi è… [mi mostra l’indice sinistro]. Ho un po’ di problemi di artrosi con la mano sinistra allora quella sera avrò un amico pianista che mi dà una mano. Qualche volta faccio fatica, questo vuol dire invecchiare. D’altra parte finché tengo botta vado avanti, la voce c’è ancora e al massimo prendo un bravo chitarrista [risate].

MG: Allora una domanda per i lettori chitarristi: tu suoni soprattutto in accordatura tradizionale?

DK: Oh no, no, uso anche accordature aperte.

MG: E ti aiutano dal punto di vista della diteggiatura della mano sinistra?

DK: Mah… ma sì, a dire il vero, ma dipende comunque dalla canzone. Scelgo l’accordatura in base alla canzone.

MG: Quali preferisci?

DK: L’accordatura di Re modale, o Re maggiore, o Sol. Qualche volta anche l’accordatura di Do. Mi piace molto la tonalità di Sol forse perché va bene per la mia voce, faccio un sacco di canzoni in Sol.

MG: Re modale, vale a dire quella sospesa…?

DK: Quella così eterea, strana, aperta, con un sacco di Re e un sacco di La. Dal basso Re, La, Re, poi il Sol, poi La e Re.

MG: Ecco, già che stiamo parlando della tua musica: so che poco dopo che sei arrivata in Italia hai fatto un 45 giri, “Settembre a Roma”: di che si trattava?

DK: [ride] Allora… era appena uscito quel film, “Nell’anno del Signore”, e “Settembre a Roma” di Trovajoli era nel film. C’era una versione orchestrale. Quando sono arrivata Francesco Guccini mi ha portata alla EMI, la sua casa discografica, e loro erano interessati a me. Mi hanno detto “ti facciamo fare questa canzone!”. Io ero arrivata da poco, avevo il mio accento e mi hanno fatta cantare in italiano! Un vero dramma! Per l’altra facciata Francesco aveva tradotto “E tornò la primavera”, che poi sarebbe una poesia inglese del poeta Rupert Brooke. Io l’avevo musicata, lui l’aveva sentita e aveva detto: che bella! Così me l’ha tradotta in italiano e l’abbiamo messa sull’altro lato.
Quella canzone fu incisa anche da Patty Pravo, questa è una una storia stranissima! Ero su a Milano in sala d’incisione per dare una mano a Lucio Dalla perché quell’anno per Sanremo Rosalino Cellamare aveva fatto la canzone “Il gigante e la bambina”, e io suonavo sul suo disco per Sanremo. Insomma eravamo in sala di incisione ed è arrivata Patty Pravo chiedendo un piacere, aveva un’emergenza doveva sistemare una registrazione. Allora ci siamo messi tutti fuori ad aspettare che lei finisse, e con le chitarre in mano ci siamo messi a cantare. Quando è uscita dalla sala io stavo cantando “E tornò la primavera”, così, seduta in mezzo agli altri, e lei: “che bella, la voglio sul mio prossimo album!”. Io ho detto va bene, fantastico, e così l’abbiamo fatta, e lei mi ha chiesto di suonare la chitarra con una grande orchestra. Mi sono divertita moltissimo, non mi era mai capitato di suonare con un’orchestra! E l’ha messa sull’album.
Ecco la storia di questa canzone. Oddio, non è la cosa migliore che abbia mai fatto, anche la pronuncia è obbrobriosa…

MG: Ecco, a un certo punto fai un disco con la musica che piace a te, che si chiama These Are My People… 1977, giusto?

DK: Sì, era un disco della Fonit Cetra, una casa discografica che non esiste più. Voleva un disco di canzoni popolari e io allora non suonavo più molto popolare, usavo basso e batteria e la casa discografica non fu contentissima perché voleva un disco nudo e crudo, voce e chitarra e basta. Invece io ho fatto una versione a modo mio perché non riesco a cantare le cose che non sento. Le trasformo come lo sento io, e fare quel disco è stato divertente. Ora è un album introvabile, figurati! (nota mia: è possibile ascoltarlo qui)

MG: Chi c’era con te?

DK: A dire il vero non avevo ancora un gruppo, così dopo che per l’occasione ho conosciuto questi musicisti, tutti di Bologna, abbiamo formato il gruppo che per anni è venuto con me a suonare. Alla batteria c’era Vincenzo Palermo, al basso c’era Ciccio Tassoni. Poi il personaggio più importante era Paolo Giacomoni. Paolo è un ragazzo non vedente che ho conosciuto a Bologna, lui suona tutto! Ci siamo conosciuti che suonava il violino, poi le cornamuse, poi il mandolino. Gli ho detto “dai, vieni con me a suonare”, e ci siamo divertiti per anni, io e lui ad andare da soli a fare i concerti. Ci siamo veramente divertiti. Lui è davvero molto bravo, fa parte di un gruppo che si chiama il Gruppo Emiliano, non so se ne hai mai sentito parlare. È un gruppo abbastanza demenziale, fanno comicità cantando con canzoni popolari. Sono tutti bravi musicisti e allora la cosa viene fuori molto bene. E Paolo ancora canta e suona. Lui fu il mio partner musicale per anni a Bologna.

MG: Qui siamo già in pieni anni ‘70, questi musicisti italiani suonavano già questo genere?

DK: Paolo suonava nei vari gruppi di musica popolare, Vincenzo era un batterista non professionista, però molto bravo. Ci sentiamo ancora, sono persone che sento ancora molto volentieri. Ciccio era un rockettaro. Suonava il contrabbasso al conservatorio ma ogni tanto era un rockettaro, così dovevo anche un po’ frenarlo perché partiva con degli assoli non adatti [ridiamo].

MG: Te lo domandavo perché mi sembra che sia suonato in modo abbastanza credibile, cioè da gente che il genere lo maneggia… però capisco che c’era anche la tua regia “severa”...

DK: No, severa no… Perché le cose nascono così, quando si suona insieme poi le idee vengono fuori. Qualche volta non sono idee mie, sono degli altri ed è chiaro che vedo che se andiamo fuori binario lo dico, ma non direi che sono una guida severa. Anche perché molti di questi arrangiamenti sono davvero nati insieme… suonando insieme sono venute fuori delle idee da tutti, insomma.

MG: La scelta dei brani è molto bella, come avvenne?

DK: Ah non lo so, chi si ricorda? Io so che molte erano canzoni che amavo molto. Mi avevano chiesto tutte canzoni popolari, io scelsi quelle che mi piacevano di più, e infatti su quel disco c’è “The House of the Rising Sun”…

MG: …appunto! Poi un bel po’ di anni dopo arriva The Last Dove. Fine anni ‘80, giusto?

DK: sì non sono molto prolifica discograficamente, devo proprio sentirmi pronta. Infatti c’è questo spettacolo che ora sto preparando, “New York Tales”, vorrei farne anche un’incisione ma sono ancora in una fase… Insomma, non è facile per me… Non è facile perché ci sono anche canzoni mie, e anche scrivere una canzone non è facile, dev’essere proprio il momento giusto, dev’essere quello che sento in quel momento. Non ho facilità con le parole, non sono come Guccini che sforna parole bellissime… deve essere qualcosa che viene da dentro. Comunque The Last Dove contiene molte canzoni mie. Alcune le ho scritte con Flaco Biondini, alcune sono mie. E poi ci sono altre cose.

MG: Flaco Biondini è molto presente negli arrangiamenti, giusto?

DK: Sulle canzoni nostre fatte insieme sì, per forza, perché la chitarra era sua. E alcuni di questi pezzi qui non riuscivo neanche a suonarli. Lui invece è davvero un chitarrista di prima classe e allora lasciavo suonare lui. Sono canzoni a cui sono molto affezionata, ma difficilmente le faccio in concerto. A parte “Domingo Aguilar”…

MG: Ecco volevo chiederti di quella canzone che peraltro ritorna anche nell’ultimo album. Mi racconti di Domingo Aguilar?

DK: Fu Flaco a raccontarmi la storia. La canzone è mia ma è colpa sua se l’ho scritta [ridiamo] perché mi raccontò la storia di questo pugile che è esistito per davvero in Argentina. Si chiamava Pascualito Perez, pensa! La storia di Pascualito mi ha affascinato, mi piaceva questo personaggio che è finito male in mezzo alla strada pur essendo diventato famosissimo, ricchissimo! È stato sfruttato fino all’osso ed è stato lasciato morire in mezzo alla strada. E così ho fatto la canzone perché mi piaceva la storia…

MG: Ecco, Domingo Aguilar quindi è un nome di fantasia?

DK: Eh sì, come fai a scrivere una canzone su un pugile che si chiama Pascualito Perez? Così l’ho cambiato, è diventato Domingo Aguilar [ridiamo]. Probabilmente chiesi consiglio a Flaco, “come lo chiamiamo? Non si può cantare Pascualito Perez!”

MG: Come avevi incontrato Flaco Biondini? Dove vi eravate conosciuti?

DK: A un concerto. Facevamo una Festa dell’Unità dove c’ero io che cantavo, poi c’era Paola Contavalli… bravissima! Se non la conosci, è una tipo Milva, come repertorio, ma fa anche canzoni di lotta, canzoni popolari… È molto brava, veramente. E poi c’erano Los Santos di cui faceva parte Flaco. Erano tre musicisti, c’era c’era Flaco, c’era Gianni Coron che era il bassista originale dei Nomadi però era nato in Argentina ed era completamente a suo agio con le canzoni argentine, e poi c’era un ragazzo che veniva credo dal Paraguay o dal centro America, non ricordo, che si chiamava Eric ma non ricordo il cognome. Erano Los Santos.

Guccini con Juan Carlos “Flaco” Biondini

Flaco era appena arrivato in Italia e frequentava a Parma e la scuola di chitarra jazz perché aveva una sorella in Italia (sua sorella era in Liguria o da qualche parte) e lui aveva questo appoggio. Poi è andato a Parma dove vive tuttora, è sempre rimasto lì. Studiava chitarra jazz, era giovanissimo, forse aveva 25 anni... Formò questo gruppo, Los Santos. E poi fui io a presentarlo a Francesco.

MG: Come andò?

DK: Francesco mi criticava per il mio gruppo, mi diceva: le tue canzoni devono essere solo voce e chitarra! Dissi: scusa, Francesco bisogna andare avanti e fare cose diverse. Tu suoni solo la chitarra, ma adesso basta, trovati un bravo chitarrista! Dopo varie discussioni gli presentai Flaco, che avevo incontrato anche in altri concerti, ci eravamo conosciuti ed eravamo diventati amici. Tanto che quelle canzoni forse le abbiamo scritte anche prima che lo conoscesse Francesco, non ricordo. Comunque Francesco finalmente trovò un bravo chitarrista. Poi Vince Tempera che era produttore della casa discografica, e Tavolazzi e Bandini, quelli storici.

MG: Tu chi avevi con te in The Last Dove?

DK: Allora, sono passati tanti anni… Come musicisti avevo alcuni dei vecchi, non tutti, ma non mi ricordo neanche più… Del primo mi ricordo perché fu il primo, mi è rimasto impresso. The Last Dove l’ho fatto a Reggio Emilia in una sala d’incisione di un bravo musicista e mi ricordo che chiamai le mie amiche per fare i cori c’erano molti cori. C’era sempre Paolo Giacomoni. Ciccio al basso, sì, ho sempre chiamato lui e come batterista non c’era più Vincenzo, c’era qualcun altro ma non ricordo…

Foto di Paolo Molteni, Premio Tenco 2015.

MG: Guarda, a me risulta un certo Alan Peterson alla batteria…

DK: Ah ah ah, attenzione, abbiamo scherzato sui nomi, anche con Khira Kane!

MG: …Khira Kane, accreditato come bassista. Spiegami…

DK: È andata che abbiamo registrato digitalmente, non c’erano musicisti dal vivo, e allora abbiamo inventato dei nomi. Il proprietario della sala d’incisione aveva un cane si chiamava Khira, per cui Khira Kane! E anche Alan Peterson è un nome inventato. Ogni tanto bisogna scherzare…

MG: Ma è bellissima questa storia, posso scriverla, sì?

DK: Oh certo, ormai sono passati tanti anni, non importa! In quel momento era una cosa un po’ nascosta, ci siamo divertiti anche molto a farla!

MG: “The Last Dove” vuol dire l’ultima colomba…

DK: Beh, è una canzone sulla pace. Dopo tutte le guerre che gli esseri umani hanno fatto, dopo che hanno sterminato tutto, animali, persone, è rimasta una colomba sola a volare. La canzone parla di tante colombe che volano per cercare la pace, per riposare un posto che non sia distrutto, e nel volo vengono ammazzate. Questa è l’ultima rimasta che cerca di portare la pace in tutto il mondo. In ogni strofa c’è una colomba diversa: la colomba bianca, quella nera, la colomba grigia, e ognuna ha la sua storia. E infine c’è l’ultima.

MG: Nel 2008 arriva Yesterday… Tomorrow.

DK: Sì, è un disco che viene dopo vari cataclismi nella mia vita privata. C’è qualche canzone che ho scritto io, qualcun’altra l’ho ritirata fuori… Comunque il disco è su Spotify e può essere ascoltato. Forse è il mio preferito. Anche se poi, come si fa a dirlo, tutti sono nati con molta emozione e ogni disco è diverso dall’altro… Forse è solo il primo che ho fatto per puro divertimento perché la casa discografica mi ha chiesto di farlo, mentre gli altri due sono nati davvero davvero dalla mia interiorità…

MG: È un disco bellissimo soprattutto dal punto di vista vocale, fai un lavoro ottima…

DK: Però da quel disco lì la mia voce è cambiata molto…

MG: Cambiata come?

DK: Secondo me è una questione di età, non ho più quelle note alte. Però mi arrangio in un altro modo, sono diversa, non parlo di meglio o peggio. Lì avevo una estensione molto elastica arrivavo su, giù, senza problemi, oggi faccio un po’ più fatica…

MG: L’interpretazione di “God Bless the Child” è fantastica…

DK: Ti è piaciuta? Sono canzoni che amo molto… poi per gli arrangiamenti ho avuto il pianista Paolo Campagnola che per me è geniale! Adesso non suoniamo più insieme, ma mi ha accompagnato in tantissimi concerti, eravamo io e lui da soli. Poi però preso un’altra strada, e allora… Non suona quasi più e mi dispiace un sacco perché era molto bravo. Aveva un grande gusto, il gusto di fare poche note dove poche note servivano. Lo dicevamo prima, questa tendenza di tanti musicisti a fare virtuosismi e fare tante note… non è una cosa che amo.io sono piuttosto minimalista. Mi piace poche note giuste. E in “God Bless the Child” di Billie Holiday — grandissima donna! — il piano era fondamentale.

MG: È vero, sì. Un’accoppiata bellissima, il suo piano e la tua voce.

DK: Infatti lui non suona più con me ma ho sempre un pianista, che si chiama Federico Fuggini. Molto bravo, mi accompagnerà nel prossimo concerto. Comincio ad avere bisogno di un po’ di aiuto perché tenere botta per un’ora e mezza, beh, le mie mani fanno un po’ fatica. Si chiama età, cosa vuoi che ti dica [ridiamo]. Federico è di Verona, anzi di San Giovanni Lupatoto e questo sarà il mio primo concerto con lui. Era il pianista del mio coro che adesso è defunto, però ci siamo divertiti per tanti anni. Era un coro di rock, pop, jazz e lui era il nostro pianista. Lo conosco bene e lui mi conosce bene.

MG: Insieme a “God Bless the Child” mi piace molto la tua versione di “Suzanne” di Leonard Cohen, è bellissima si sente che quella canzone ti ispira molto.

DK: Oh, mi piace molto.

MG: la scelta dei brani è molto interessante: ci sono cose tue, ritorna “Domingo Aguilar” ma poi c’è anche il Bob Dylan di “Tomorrow is a Long Time”…

DK: È una delle mie canzoni preferite, la faccio sempre. È un po’ sconosciuta, si fanno sempre “Masters of War”, “Mr. Tambourine Man” eccetera. Questa invece è una canzone d’amore. Dylan non è noto per la sua dolcezza, e invece questa canzone è dolcissima, mi piace tantissimo…

MG: E dimmi di “Codine”, la canzone finale…

DK: È di Buffy Saint-Marie! Lei è fantastica, io l’ho conosciuta quando abitavo a New York. Abbiamo fatto serate insieme nei locali, mi è sempre piaciuta. Poi ha avuto questo momento difficile con la droga, e dopo che ne è venuta fuori la scritto questa canzone, “Codine” che parla di droga, è una canzone molto interessante…

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Massimo Giuliani
RadioTarantula

La cura e la musica sono i miei due punti di vista sul mondo. Sembrano due faccende diverse, ma è sempre questione di suonare insieme.