Davy Graham e “Anji”, i primi passi di un genere musicale

Massimo Giuliani
RadioTarantula
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7 min readNov 15, 2019

Sull’album c’era una strumentale chiamata “Anji”, piuttosto accattivante. Era suonata su una chitarra acustica non accompagnata, ma suonava come un’orchestra: un basso blues e una melodia folk emergevano per suggerire un raga orientale. Aveva una classe antica (…)
“Questo è quel che devo fare. Devo prendere una chitarra e suonare ‘Anji’.”
“Credi che sia una buona idea?” disse NJ con uno sbadiglio.”
(Will Hodgkinson, “Guitar Man. Un’odissea a sei corde”)

Market Bosworth, nel distretto di Hinckley e Bosworth nel Leicestershire occidentale, era in quegli anni un piccolo centro rurale di poche centinaia di abitanti, dominato dalla Bosworth Hall. La lussuosa costruzione, dopo essere stata per tre secoli residenza dei Dixie, baronetti di Bosworth, ed essere poi passata attraverso altri proprietari, era diventata il Bosworth Park Infirmary. Lì il 26 novembre del 1940 nacque il bambino di James McLeod Graham — uno scozzese che faceva il contabile e coltivava lo studio del gaelico — e di Winifred Mary Gordon Woolford, figlia di Sir Eustace Gordon Woolford, il primo speaker dell’assemblea nazionale della Guyana.

È un ambiente multiculturale quello in cui cresce il piccolo David Michael Gordon ( Dave per tutti). Peraltro sua madre si risposerà più volte e lui crescerà coi fratelli per parte di madre Jill, Nicolas e Jennifer.

Della convivenza fra linee di sangue differenti Dave conosce le gioie (“Ho dovuto pensare come un ibrido; non stai parlando con un inglese: stai parlando con un anglo-scozzese che ha il sangue dei Caraibi”), ma anche i dolori, vivendo in famiglia praticamente da estraneo all’ombra dei suoi fratelli (rivedrà solo a undici anni suo padre, per perderlo poi di vista nei successivi ventitré). Inoltre gran parte della sua infanzia si svolgerà a Londra nel quartiere di Notting Hill, sfondo negli anni 50 di di fermenti razziali.

Sono prima Elvis Presley, poi Lonnie Donegan col suo skiffle, a fargli scoprire la passione per la musica. Da quando, a dodici anni, ha provato la chitarra di un vicino tirandone fuori una pavane, ha in mente solo quella. È a sedici anni che ha il suo primo strumento.
Giovanissimo, trova la prima scrittura al Troubadour di Londra. A diciotto anni lascia il Liceo francese di South Kensington — dopo un incidente in cui ha perso quasi completamente la vista all’occhio destro — per dedicarsi alla musica. È del 1959 il celebre documentario di Ken Russell per la BBC sulla chitarra Hound Dogs and Bach Addicts: The Guitar Craze, in cui Graham suona “Cry Me A River”.

Comincia a viaggiare e a suonare in giro, facendosi riconoscere per il suo aspetto da raffinato gaudente, ma nello stesso tempo guardando con approccio da studioso delle culture alle diverse realtà con cui viene in contatto. In quegli anni visita il Marocco, dove comincia a studiare le musiche del Mediterraneo e gli strumenti a corde del luogo, fra cui l’oud: di ritorno da quel paese sperimenta l’accordatura DADGAD, che scopre essere particolarmente adattabile a molti generi e che utilizzerà dopo un po’ per registrare “She Moved Through the Fair”. Va detto anche che qualche anno più tardi Martin Carthy racconterà di avergli mostrato un giorno l’accordatura DGDGAD — un Sol 9 — e che qualche tempo dopo Graham se ne sarebbe uscito con la sua DADGAD: Carthy lo riferirà senza voler togliere nulla alla trovata di Graham, anzi riconoscendo che quell’accordatura di Re4 aveva “reso la vita più interessante”.

Nel giro londinese comincia a suonare con Alexis Korner in tour con altri musicisti, si farà notare al Nick’s Diner fino ad ottenere una parte — nei panni di un chitarrista che suona in un club — nel film The Servant di Joseph Losey con Dirk Bogarde. Lavora nei primi Blues Incorporated, ha una breve esperienza con John Mayall che però sembra non ne apprezzi il suono. Ma soprattutto pubblica con Korner nel 1962 il 7 pollici 3/4 AD, per il quale registra un pezzo apparentemente semplice ma difficilmente classificabile, dai colori blues e flamenco, e non solo. Che è il punto della storia in cui aspettavamo di arrivare.

Angi (o Anji, o Angie, o Angelina)

Wizz Jones ricorda di averlo ascoltato nel 1960 al Continental Coffee Bar a Soho, suonare un pezzo che portava il nome della fidanzata del barista, “Anji”. “Altre persone hanno affermato di essere la Anji per cui è stata scritta la canzone, ma mentono” assicura Jones (anche se altre fonti fanno riferimento ad una Angela che era la ragazza di Dave, con cui viaggiava quando suonava per strada nel sud della Francia).
Nel 1962, dunque, appare per la prima volta “Angi” (diventerà in seguito Anji, o Angie, a seconda degli interpreti e delle diverse edizioni dei dischi).

A dispetto dell’apparente semplicità, il brano ispirerà moltissimi artisti in virtù di una struttura che lascia spazio sia al virtuosismo che a connessioni fra generi diversi. Come scrisse Acoustic Guitar, rifare Anji separa quelli che ci sanno fare dai dilettanti.
È composto da una progressione di quattro accordi, La minore, Sol maggiore, Fa maggiore, Mi maggiore, che rimandano neanche tanto vagamente alla Spagna. Vira poi sul blues in minore, con il basso che insiste sulla tonica La e le prime due corde che si prestano a una linea melodica molto semplice sulla scala pentatonica (e infine un passaggio sul Mi maggiore seguito da un La minore che riporta tutto a casa).

Bert Jansch la reinterpreta (col titolo “Anji”) nel suo album di debutto del 1965. Nel 1966 Simon e Garfunkel inseriscono “Anji” nell’album Sounds of Silence, in una versione che non si distacca di molto dai due autorevoli precedenti. L’uno e gli altri la pubblicano anche negli Stati Uniti (per il mercato americano Jansch darà alle stampe Lucky Thirteen, raccolta di brani dei suoi primi due album) e le danno un lustro molto più ampio di quanto non sia riuscito a fare Graham (tanto che spesso verrà identificata con Simon o Jansch più che col suo vero autore).
Jansch in particolare ne coglie molteplicità di richiami e compie un intervento che sarà poi ripreso dalla versione di Paul Simon. Vi innesta cioè una ampia citazione di “Work Song”, un brano di Nat Adderley, in un assolo centrale in cui la linea melodica è giocata sulla quinta e sulla sesta corda, cioè sui bassi — in ciò rendendo molto bene l’ambientazione soul jazz del pezzo originario. “Work Song” dà il titolo all’album del Nat Adderley Quintet del 1960, ed è ispirata ai ricordi di quando Nat e Julian (il fratello di Nat che sarebbe diventato il sassofonista noto col nome di Cannonbal) ragazzini vivevano in Florida e spesso vedevano lungo la strada gruppi di galeotti legati da catene (“chain gang”) che spaccavano pietre.
A caratterizzare ancora di più la versione di Jansch, un rasgueado sull’accordo di Mi maggiore che ne esalta l’ispirazione flamenca.
Della versione di Paul Simon esiste una registrazione live del brano suonato col fratello Ed (quest’ultimo aggiunge delle coloriture suonando in posizione di Mi minore col capotasto cinque tasti più avanti). Elemento di curiosità del video è la presenza del giovane fratello del più famoso Paul, due gocce d’acqua, tanto che se non si trattasse del 1968 ci domanderemmo con quale mostruosa tecnica digitale gli autori del video abbiano duplicato l’immagine del cantautore di Newark.

Dal confronto con queste prime gemmazioni si vede bene come il brano dia una grande libertà interpretativa e creativa (lo stesso Graham ne realizzerà altre versioni piuttosto differenti). E parlando di queste prime versioni, che restano in fondo quelle davvero “classiche”, dirà Wizz Jones: “Ammettiamolo, è solo una sequenza di accordi standard. Ma era il timing e il suo attacco alla chitarra che erano assolutamente unici. Puoi suonarla come Bert, ma è difficile suonarla come Davey. Il suo ritmo era fantastico.”

Una versione registrata nel 1962 da John Renbourn è disponibile su un’antologia di registrazioni storiche del chitarrista, The Attic Tapes del 2015. È una delle versioni più brillanti, e Renbourn la porterà spesso sui palchi, talvolta in medley con la sua “Judy”. Entrambe formano una suite che mostra come il virtuosismo chitarristico sia non soltanto una questione di velocità e abilità tecniche, ma ancora di più la capacità di trarre complessità da forme apparentemente asciutte e “folk”.

Nel 1969 uno dei gruppi più rilevanti della scena del british blues, i Chicken Shack, pubblica una “Anji” di un minuto e mezzo nell’album 100 Ton Chicken, con una linea discendente dì organo che segue quei quattro famosi accordi, e di nuovo siamo in uno scenario differente.

Delle innumerevoli versioni generate dall’originale, mi limito ancora a segnalarvi quella, pregevole, di Gordon Giltrap (che la intitola a una certa Angelina) e una curiosità: il campionamento del brano ad opera dei Chumbawamba in “Jacob’s Ladder”. Ma soprattutto qui trovate la mia playlist “Anji (Radio Tarantula)” con decine di versioni.

Negli anni successivi i buoni amici che Graham aveva nel giro dei musicisti si sarebbero adoperati senza grande successo per dargli una mano nei periodi in cui l’ eroina e la cocaina sarebbero diventati un problema per la sua salute e per la sua musica. Lo avrebbero riconosciuto come un maestro e come fonte di ispirazione artisti come Ray Davies, Roy Harper, Ben Jansch, John Martyn, Ralph McTell, Jimmy Page e John Renbourn.

Di lui Martin Carthy avrebbe parlato come di “un musicista straordinario e devoto, quello che tutti seguivano e a cui guardavano”; aggiungendo: “non potevo credere che qualcuno potesse suonare così”. Bert Jansch lo avrebbe definito coraggioso e controverso, “uno che non ha mai seguito le regole”.
Negli anni in cui in America John Fahey e gli eroi dell’ American Primitive Guitar lavorano sulla possibilità di creare un repertorio strumentale per chitarra, in continuità con la tradizione ma senza esserne una replica, e soprattutto sganciato dall’accompagnamento di canzoni, Graham dall’altra parte dell’Oceano pone le basi per quello che sarebbe successo di lì a poco nel campo della chitarra con la complicità del folk revival.

Graham morirà nella sua casa all’11 di Lyme Street, Camden Town, Londra, il 15 dicembre 2008 per un cancro ai polmoni, a 68 anni.
Lascerà in eredità alcuni album importanti, ma ancora di più una mappa di territori da esplorare ad uso dei futuri chitarristi.

Fonti: Acoustic Guitar, Oxford Dictionary of National Biography 2005–2008, The Great Rock Bible, Colin Harper, Paste Magazine, The Guardian.

Originally published at http://www.radiotarantula.net on November 15, 2019.

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Massimo Giuliani
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La cura e la musica sono i miei due punti di vista sul mondo. Sembrano due faccende diverse, ma è sempre questione di suonare insieme.