Diego Deadman Potron, blues “deviato” per raccontare storie

Massimo Giuliani
RadioTarantula
Published in
7 min readMar 1, 2020

Avevo incontrato Diego “Deadman” Potron al Bloom di Mezzago dove era organizzatore di un evento di cui ho scritto qui. Poi ho scritto di recente su questo blog poche righe al volo mentre ascoltavo il suo “Winter Session”, un album che mi ha colpito per il suo lato buio e per quello più solare.
Dopo quel primo incontro e dopo l’ascolto dell’album ho deciso che dovevo saperne di più, e così ecco qua. Lo ringrazio davvero di cuore per lo scambio che abbiamo avuto e che vi riporto qui.

Radio Tarantula: Diego, so che stai lavorando a un prossimo CD dopo “Electro Voodoo” e “Winter Session”. Il primo un album elettrico (e, come fa capire il titolo, dal suono bagnato nel Mississippi), il secondo più acustico, ma a modo suo ugualmente “scuro”…

Diego Potron: Dunque, “ElectroVoodoo” l’ho registrato (mi pare) nel 2013 in piena attività da One Man Band vero e proprio.
Partendo da un blues comunque ”deviato” ero arrivato a un set up abbastanza definitivo dove suonavo l’elettrica (dalla quale proveniva anche una linea separata di basso, quindi con due amplificatori), batteria completa ai piedi (cassa rullante, charly e piatti, con un sistema di pedali) e naturalmente voce.

Folkenublo

Questa cosa l’ho fatta per undici anni, alla fine avevo veramente necessità di cambiare radicalmente l’approccio a quello che facevo, e quindi ho messo tutto da parte e mi sono messo a scrivere pezzi con un’anima folk più marcata, usando praticamente solo un guitarlele (nota mia: il guitarlele, o guitalele, è un ukulele a sei corde, dunque un ibrido fra chitarra e ukulele).
Da questo lavoro è uscito “Winter Session”, che riprende e omaggia anche un po’ il sound di una band che avevo alla fine degli anni ’90 con Aronne Dell’Oro e Giovanni Chiericati, i Folkenublo.

RT: “Winter Session” ha un suono bellissimo. Sono partito da “Blind Sister’s Home” e sono rimasto di sasso. Una grande canzone. Ma… parlavi del guitarlele: dunque non è una resofonica lo strumento che suoni in quella canzone?

DP: No, Massimo, io non uso resofoniche; quello che senti in ”Blind Sister’s Home”, ”Song for Willy Bungler” eccetera, è un guitarlele.

RT: È sorprendente il suono che ne tiri fuori… Senti, ascoltavo l’album mentre cercavo informazioni su di te, interviste eccetera. Ho pensato che “Winter Session” assomiglia al suo autore. Pensavo alla tua simpatia per la dimensione “one man band” e ascoltavo le tue canzoni (compreso il video di “Blind Sister’s Home”) che mi sembravano attraversate da un senso di solitudine. È una definizione che ti trova d’accordo?

DP: Si, sicuramente tutto il disco è pervaso da un sentimento solitario e forse nostalgico, per quanto ci siano anche dei momenti più buffi o aggressivi.
“Winter Session” è nato proprio per dar sfogo a tutta una produzione di brani folk e dai toni un po’ dark che nella mia forma precedente non poteva avere spazio.

RT: Quanto c’entra “Carnhate” con tutto questo? È un gioco di parole, suppongo…

DP: Il Brano “CarnHate” è uno sguardo sul posto dove vivo, Carnate appunto, sulla Brianza, e per estensione su tutta quella provincia italiana un po’ desolata e decaduta (che sono comunque i posti che preferisco in assoluto), ma dove puoi comunque trovare una tua dimensione.

RT: Ecco, e dunque dopo questi due lavori, cosa ci aspettiamo?

DP: Il prossimo disco, che si chiamerà ”Ready To Go’‘, è un altro passo verso una dimensione, se vogliamo, da ”storyteller’‘.
Si tratta di nove pezzi più una cover (pesantemente riarrangiata!) che partono tutti da chitarra acustica o ukulele baritono e sui quali ho costruito in studio degli arrangiamenti un po’ più ragionati e completi rispetto a “Winter Session”.
L’ambiente è sempre quello del folk dai toni un po’ cupi, e con l’aiuto di Alessio Capatti (Mexican Chili Funeral Party, Treccani…) al pianoforte, c’è anche una spolverata di western un po’ alla Westworld.
Anche qui i testi sono orientati verso una certa desolazione, ma ci sono anche brani per sorridere, tra i quali una canzone per bambini.

RT: …per bambini??

DP: Si, ho voluto scrivere un pezzo per bambini proprio in stile Muppet Show, per capirci. Ho cercato di unire una musichina con un ritornello infantile a un testo stupido e simpatico (che però ovviamente parla di ammazzamenti, mutilazioni e cose orribili!)
È la storia di questo Mr. Choppy, bonario omone boscaiolo che corre in aiuto dei bimbi quando subiscono delle ingiustzie da parte degli adulti.

RT: Fantastico!… E senti, io ci provo… della cover ci puoi dire qualcosa?

DP: Ehhhh, la cover è una sorpresa! Diciamo che ho pensato a qualcosa che aveva davvero poco a che fare col folk e l’ho fatta folk.

RT: Aspetteremo… Senti, so che è piuttosto riduttivo chiamare “blues” quello che fai attualmente, ma usiamolo per capirci. Il blues è solo l’ultimo dei tuoi approdi musicali. Da dove vieni, e come mai hai deciso (per ora, almeno) di fermarti qui?

DP: Si, quello che io reputo blues l’ho scoperto relativamente tardi, e per la precisione accompagnando al contrabbasso Mauro Ferrarese
Ho suonato con i Folkenublo, come ti dicevo prima, e, sempre il contrabbasso ho suonato per molto tempo con un amico cantautore, Stefano Vergani. Ho suonato anche a lungo desert e lo stoner rock (che amo e ascolto moltissimo, e dove effettivamente le radici blues sono fortissime).
Mi sono fermato qui perchè amo moto raccontare storie e trovo questo tipo di musica particolarmente adatto a farlo.

RT: Vieni dal contrabbasso, suoni il guitarlele e la cigar box… non mi sembri una specie di feticista della chitarra ma piuttosto uno che cerca un suono e usa quello che gli serve. Però suoni la chitarra fingerpicking e slide e con le accordature aperte…

DP: Sono una sorta di feticista anomalo in realtà; a parte un’elettrica veramente ottima, una Bo Diddley style costruitami ”su misura” da Paolo Lardera e una bella SG Gibson (che però, sempre con Paolo ho pesantemente modificato) ho tutta una serie di strumenti distrutti e marci con cui suono e ai quali non so rinunciare. Per esempio quando registro uso sempre e solo una Yamaha Pacifica Telecaster che ho comprato usata a metà degli anni ’90 alla quale ho cambiato manico 2 volte e pick up 3, e che ormai è tenuta assieme con nastro telato, e lo stesso vale per l’unico basso elettrico che ho, un Electromatic scala corta che mi è costato meno del pieno del furgone, ma che per me è perfetto!
Ho anche un Marshall MKII e un Fender Deluxe 212 ma comunque uso quasi esclusivamente un Roland Cube 40W seconda serie a cui ho montato un cono per basso proveniente da un vecchio cabinet distrutto che avevo a casa.
Ho una sola acustica, che è una bella parlor Washburn e una steel Gold Tone e tutta una serie di ukulele decenti che ho usato nel disco.
A parte in un pezzo, dove ne faccio un uso ritmico tradizionale, anche l’ukulele lo uso un po’ in maniera snaturata, fingerstyle.
Si, la chitarra la suono solo in accordatura aperta, di solito open D. Accordata standard so praticamente a malapena le posizioni degli accordi, e suono veramente male.

RT: Hai chitarristi di riferimento, fra i bluesman e quelli che sono arrivati dopo?

DP: Per quello che riguarda il blues mi piace moltissimo il modo di suonare di R.L. Burnside, Mississippi Fred McDowell e del primissimo John Lee Hooker, o, più moderni, Marc Ribot e Kelly Joe Phelps (che è praticamente l’unico ”smanettone” che non mi fa venire l’orticaria). Per il resto, boh, penso a John Martyn, Willy Tea Taylor e Brant Bjork (questi ultimi due sono praticamente i miei ascolti maniacali!)

RT: Dicevi che il blues ti permette di raccontare storie. Quando scegli storie di altri come le scegli? Ho presente una tua versione di “Can’t Find My Way Home” di Steve Winwood, bellissima. Sorprendentemente diventa proprio una cosa tua, perfettamente nelle tue corde…

DP: La versione di “Can’t Find My Way Home” in particolare è nata assieme a un amico con cui ho suonato molto, Giovanni Segattini. il pezzo, neanche a dirlo, ci piaceva molto, ma a tutti e due faceva ribrezzo quel passaggio in maggiore, che ci siamo limitati a togliere completamente. Questa di massacrare i classici intoccabili del blues è una tradizione antica che con Aronne Dell’Oro abbiamo sempre portato avanti con stoicismo!
Le cover vere e proprie le scelgo più che altro per affetto verso il brano, magari è roba che ho ascoltato da bambino, o pezzi che ho comunque ascoltato tanto, che poi appunto subiscono un trattamento di tortura medievale.

RT: Fra i songwriters, in senso ampio, c’è qualcuno che ti interessa? A proposito di “Winter Session” si è parlato di Tom Waits…

DP: Beh, Tom Waits lo amo moltissimo. I testi sono incredibili e le suggestioni sonore vanno sempre al di la del brano in sé; sono praticamente sonorizzazioni di storie, quasi fiabe sonore. Ti parlavo di Willy Tea Taylor, che secondo me come song writer meriterebbe di essere citato al pari del migliore Dylan e Townes Van Zandt, e di Brant Bjork, che pur provenendo da ambienti completamente differenti scrive benissimo e riesce anche lui a portarti altrove durante l’ascolto.
Dall’underground dell’underground italiano, proprio nell’ottca ”delle canzoni” vorrei citarti/segnalarti due validissimi musicisti che ascolto tantissimo, che sono Gipsy Rufina e Phill Reynolds; roba extra.

Originally published at http://www.radiotarantula.net on March 1, 2020.

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Massimo Giuliani
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La cura e la musica sono i miei due punti di vista sul mondo. Sembrano due faccende diverse, ma è sempre questione di suonare insieme.