Le grandi mani di Ralph McTell
RALPH McTELL “Water of dreams”
(1982, Mays Records, l.p. TG 005)
Autore e chitarrista di culto, Ralph McTell appartiene a quella piccola cerchia di rari musicisti che, se per meriti artistici si sono guadagnati l’attenzione del pubblico più sensibile, per l’onestà e la sincerità con la quale hanno attraversato mode e tendenze ne hanno conquistato il cuore. Ogni suo nuovo lavoro è salutato non solo con l’apprezzamento che si riserva ad un artista di rilievo, ma anche con il rispetto e la riconoscenza che si devono ad un uomo che non ha mai tradito sé stesso.
McTell scelse la strada della musica quando, adolescente, ascoltò i classici del blues, a partire da Ramblin’ Jack Elliott. Attraverso di lui conobbe Woody Guthrie, Sonny Terry, Blind Boy Fuller, Blind Blake, Rev. Gary Davis, e decise di darci dentro con la sua chitarra fino a che non fu in grado di dare, come dice egli stesso, “una passabile idea di Woody Guthrie e una passabile idea di Ramblin’ Jack Elliott”: del primo apprezzava i testi e l’impegno, del secondo la “deliberata indisciplina” nel modo di suonare. Negli anni 60 arrivarono la prima chitarra vera ed una permanenza a Parigi, dove conobbe Gary Petersen, un chitarrista di Los Angeles che gli insegnò i propri segreti e gli permise il salto di qualità.
Di lì a qualche anno McTell avrebbe iniziato ad incidere alcuni album tra i più significativi del songwriting d’oltremanica, ed avrebbe trovato un amico ed un estimatore in Christy Moore — folk singer irlandese di grande carisma e di rigoroso impegno politico — con cui condivide radici musicali e rigore intellettuale.
“Water of dreams” sin dalla copertina (disadorna ed essenziale, con una bella foto scattata da Guido Harari al cordiale faccione di McTell) possiede la magia di quei dischi che non hanno bisogno di grandi budget per entrare per sempre nel cuore di chi sa ascoltare. Una primadonna della musica inglese (Richard Thompson), un chitarrista coi controfiocchi (Albert Lee) e perfino una vecchia volpe del music business (Phil Collins!) forniscono il loro contributo all’album senza protagonismi, mettendosi umilmente al servizio del progetto di un autore al quale, mi piace immaginare, si avvicinano con lo stesso affettuoso rispetto che da sempre nutre nei suoi confronti chi vi scrive. Le dodici canzoni dell’album, che vivono della voce profonda e calda di McTell e della sua perizia strumentale, sono le tappe di un itinerario dell’anima tra l’ amore e l’amicizia, tra la gioia ed il rimpianto, tra ballate folk e passione per il vecchio blues.
Ci sono tutti i suoi amori musicali: la cover di I Want You, privata delle spigolosità dylaniane, mostra tutta la sua accorata dolcezza; Hands of Joseph è ispirata alla figura di Joseph Spence — chitarrista verso cui molti, da Ry Cooder allo stesso McTell, nutrono un grande debito di riconoscenza — e delle sue grandi mani: mani callose da carpentiere, mani di chi lavora duro tutto il giorno, di chi ha imparato bene il proprio mestiere, ma con altrettanta padronanza suona la chitarra per trasmettere gioia e fiducia a chi lo ascolta (tale è la venerazione di McTell nei confronti del vecchio chitarrista delle Bahamas che nel ’94 sarà scontata la sua partecipazione ad “Out on the rolling sea”, sfaccettato disco tributo dedicato alla musica di Spence).
Geordie’s on the road again è un delicato omaggio ad un amico che viaggia per il mondo e lavora dove può. La tromba di Howard Evans la impreziosisce e accresce l’effetto nostalgico; è una canzone sul viaggiare, su quell’incontenibile bisogno che porta l’uomo a muoversi, sulla lontananza e sull’attesa di incontrarsi di nuovo.
Ancora un amico, questa volta con qualche grattacapo, è quello cui è dedicata la conclusiva Song for Martin (“…non lasciate Martin da solo, stasera, solo perché sembra che stia bene…”), ma non c’è spazio per la malinconia: l’amicizia può lenire qualche piaga. E d’altra parte, meglio di chiunque altro lo spiega lo stesso Ralph McTell parlando di sé: “non mi piacciono le tonalità minori… anche se le mie canzoni trattano talvolta di tristezza, c’è sempre una nota di ottimismo”. Che è, in poche parole, la lezione di Woody Guthrie e del blues.
Cosa aggiungere? Se non vi siete ancora imbattuti in Ralph McTell, e se dopo aver letto queste righe vi viene la voglia di recuperare quello che vi siete persi, cercate in giro i suoi dischi o cd, provate ad avvicinarvi all’arte di un cantore che, se non siete fatti di travertino, in più di un momento della vostra vita avrà qualcosa da dirvi. Perché ciò che ce lo fa sentire vicino è il grande dono di quei poeti (piccoli o grandi: la differenza, in fondo, sta soprattutto in chi ascolta) davanti ai quali ti capita di pensare con sorpresa e con gioia: “ehi, ma sta parlando di me!”.
Originally published at http://www.radiotarantula.net on August 21, 2018.