Lino Straulino canta Folgòre
“A la brigata nobile e cortese”: quasi un concept album dai versi del poeta del XIII secolo
Qualcuno ricorderà che Francesco Guccini nella “Canzone dei dodici mesi” citava Folgòre di San Gimignano dando il benvenuto al mese di maggio: “…ben venga la rosa che è dei poeti il fiore, mentre la canto con la mia chitarra brindo a Cenne e a Folgòre” (dove Cenne, per la precisione, è quel bellimbusto di Bencivenne de la Chitarra, estroso giullare aretino). Ma se Guccini dedicava una strofa a ciascuno dei mesi, molto tempo prima Folgòre li aveva celebrati con dodici interi sonetti — più un “Preludio” e una “Conclusione” a incorniciarli.
Folgòre (Giacomo o Jacopo Di Michele, poeta senese vissuto a cavallo del 1300) è insieme a Cecco Angiolieri, al già citato Cenne de la Chitarra e ad altri compagni di scorribande alcoliche, rappresentante di una poesia “comico-realistica” che fa da burlesco contraltare al Dolce Stil Novo, esaltando i piaceri terreni e raccontando una vita quotidiana popolata di uomini guasconi e di donne non sempre angelicatissime. E in quella chiave canta i mesi, ciascuno portatore di nuovi godimenti da scoprire.
Che la musicalità della lingua volgare si trovasse perfettamente a proprio agio con certe forme musicali, Lino Straulino l’aveva capito già da “S’i’ fosse foco” di De Andrè (dai versi di Cecco Angiolieri, appunto), e a un certo punto ha trovato che i Sonetti di Folgòre sembrassero fatti apposta per un concept album. Così, uno dei frutti musicali dei mesi del distanziamento è il suo splendido A la brigata nobile e cortese (*).
Friulano della Carnia e grande cultore della musica e della cultura della sua terra (cliccate qui per leggere una conversazione che ebbi con lui qualche tempo fa), come chitarrista e autore Lino Straulino è un credibile prosecutore dello spirito di John Renbourn, dei Pentangle e di quella tradizione britannica che ebbe la fortunata allucinazione di una connessione fra la propria tradizione e il blues acustico.
Qui ha scritto le musiche per i quattordici sonetti e per altrettanti brevissimi intermezzi che separano e collegano i componimenti, “piccoli temi di chitarra”, dice Lino, “che ho composto per ricreare assieme ai rumori d’ambiente scorci di vita quotidiana”. È così che il concept album assume quasi il passo di una lunga suite, “un viaggio nel tempo”, come dice l’autore.
L’ambientazione musicale è quella a lui congeniale, fra musica antica e folk, ma l’intento non è quello di simulare una relazione fra parole e musica filologicamente attendibile, quanto piuttosto creare un contesto immaginifico in cui il rapporto fra musica, parole e cornice geografica e culturale sia narrativamente efficace.
Ha registrato nella sua casa di Udine chitarre, violini, violoncelli, flauti e percussioni per affidare poi le tracce sonore alla cura di Bruno Cimenti, da anni compagno di strada e di contaminazioni.
Dagli anni 80 ad oggi la sua produzione musicale è davvero un ventaglio di generi, ma stavolta “niente blue note, niente riferimenti anglosassoni”, dice: solo melodie che vengono dalla tradizione medioevale. E però diciamolo: quello spirito irriverente, quel modo di irridere certi canoni estetici, quel realismo impudente che celebra la convivialità e il corpo, costituiscono il filo conduttore di tanta musica (bianca e nera) che ci piace e che piace a Lino Straulino. Per conto mio, considerato il fatto che è così difficile reperire un ritratto di Folgòre, perdonatemi se mi va di immaginarmelo come una specie di Shane MacGowan del Basso Medioevo.
(*) Per acquistare il cd contattate Lino Straulino alla pagina Facebook “Lino Straulino Words & Music Page”