[Swinging Sixties!] Audrey Hepburn: il risveglio alla luce della luna

di Luca Giudici

Massimo Giuliani
RadioTarantula
5 min readJan 9, 2022

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Sessant’anni nel mondo della musica possono essere un’eternità, da un lato consacrare un determinato genere come fosse una colonna portante, oppure nello stesso tempo mostrarci la dissolvenza di altri momenti, scomparsi dall’archivio della memoria. L’attualità, il ricordo, la nostalgia, il recupero e la riproposta sono tutti momenti del caotico meccanismo che relaziona l’ascoltatore (che è anche fan e acquirente) con i musicisti, attraverso quel canale mediatico sia culturale che economico rappresentato dal music business. Nel 1968 le Supremes, completamente aliene da qualsiasi analisi marxista, cantavano T.C.B. , ovvero Takin’ care of business, salvo contestualmente diventare bandiera delle rivendicazioni razziali e delle lotte del Rev. Martin Luther King, assassinato quello stesso anno. Posizioniamo però il cursore della nostra macchina del tempo qualche anno prima, in quel 1962 da cui sono appunto passati sessant’anni e almeno tre generazioni. Per non parlare di quanti generi sono nati, scomparsi e risorti, per scomparire di nuovo e diventare dei sequel di sé stessi, o una sorta di chimere, ibridate nei modi più impensabili. Con questo articolo prende il via un percorso attraverso ciò che accadde nella musica in quell’anno, mantenendo una certa tolleranza sia temporale che tematica. L’obiettivo potrebbe essere mostrare come i percorsi in cui si incontra musica di qualità, indipendentemente dall’etichetta appiccicata dal merchandising, restano vivi e fluidi, trasportando temi e contenuti attraverso il tempo.

Questo articolo è già una prima eccezione alla limitazione temporale, infatti, si parla di un brano registrato l’anno precedente, ma la cui influenza sul pubblico raggiunse i suoi vertici solo nel 1962, con la vittoria dell’Oscar.

“Moon River”, di Henry Mancini e Johnny Mercer, cantata da Audrey Hepburn in “Colazione da Tiffany”

Nel 1958 lo scrittore Truman Capote pubblica un romanzo piuttosto duro e cinico, ambientato negli anni ’40, in cui racconta il disperato tentativo di scalata sociale di alcuni giovani provinciali, arrivati a New York in cerca di fortuna. Capote di suo realizza già un successo, poiché riesce a vendere i diritti alla Paramount. Questa però rispetta poco sia la trama, ampiamente modificata in senso moralistico, sia le richieste dello scrittore, che avrebbe voluto Marilyn Monroe a interpretare il personaggio di Holly. Con il senno di poi non possiamo che riconoscere la validità delle scelte della produzione, sia per il regista (Blake Edwards) sia per la Hepburn come attrice principale. Analogo discorso vale per la conosciutissima colonna sonora di Henry Mancini, in cui spicca la canzone di cui stiamo parlando. Il film prese l’oscar sia come soundtrack sia per la miglior canzone, ma mancò tutti i riconoscimenti cinematografici. Il film uscì in Italia il 20 gennaio del 1962, e ottenne per l’epoca un ottimo risultato di pubblico, con un incasso al box office del corrispondente di 283.000 euro, ovvero più di cinquecento milioni delle lire dell’epoca. A livello mondiale il film fu un grande successo sia per la Paramount che per la Hepburn. Il vero grande successo fu però per il brano, costruito da Mancini “su misura” per l’estensione vocale dell’attrice. Oltre all’Oscar, Moon River può vantare centinaia di cover e interpretazioni, alcune famosissime, come Frank Sinatra, Perry Como, Luis Armstrong, Sarah Vaughan, Judy Garland, Barbra Streisand, ma nessuna di queste giunge nemmeno a sfiorare l’intensità evocativa della Hepburn che canta sulla scala di servizio, con un asciugamano in testa.

In quella scena vi è una carica erotica che ha visto pochi eguali, e soprattutto vi si incarna l’intero flusso empatico ed emotivo del film, compresa quella agognata ascesa sociale che per tutti i personaggi è il valore di riferimento. L’ascensore padronale, che parte dell’ingresso principale. è off-limits per i nostri poveri derelitti, ma, ci spiega la Hepburn, anche chi sale la rampa della scala antincendio, può avvicinarsi, almeno nell’immaginario dello spettatore, al simulacro di un successo. In un mondo in cui il benessere e la ricchezza si rivelano illusioni irraggiungibili, la verità infine appare in un retrobottega, in una uscita di servizio, in un asciugamano nei capelli, e si mostra come ciò a cui lo spettatore può realmente ambire: la brava ragazza del paesello da cui provieni. A questo si somma l’infinito appeal della Hepburn, che anche da un punto di vista sensuale non fa certo rimpiangere la Monroe desiderata da Capote.

Tutto ciò non era certo facile da comprendere nell’Italia del 1962, e la canzone, senza capire la differenza che risiede nel cambio di genere, viene fatta cantare a Nico Fidenco, salvo inserire l’iconica figura della Hepburn nella cover del 45 rpm. Probabilmente, bisogna dire, in Italia in quell’anno non vi erano voci (e volti) femminili disposti a misurarsi con il brano. Lo fece Mina, unica, e da par suo, qualche anno dopo (a Canzonissima, nel 1968). La Hepburn invece, con una lungimiranza senza pari, proibì per decenni la pubblicazione della versione cantata da lei, così che la si poteva ascoltare solo nel film. In quegli anni, quindi furono le prime cover a favorire la diffusione il brano, ed erano di fatto tutte maschili. Certo è che la canzone giunse in Italia nel pieno della passione per il Twist, e anche nella autarchica italietta, dove si traduceva qualsiasi brano, nelle parti basse delle classifiche si potevano trovare brani originali di Chubby Checker e di Elvis Presley. E così accadde che anche nella periferia dell’impero, piuttosto di un puritanesimo indirizzato verso una totalizzante etica del lavoro e della ripresa post-bellica, il desiderio di incrociare le gambe (e non solo) divenne dominante nelle balere e nei locali: Johnny Dorelli, Rita Pavone, Celentano, Peppino di Capri e molti altri erano la Hollywood di casa nostra, qualcuno che potevi anche incontrare al bar. Ed era solo l’inizio. Gli anni sessanta stavano iniziando.

Ma di questo parleremo più approfonditamente nella prossima puntata.

See you later, alligator!

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Massimo Giuliani
RadioTarantula

La cura e la musica sono i miei due punti di vista sul mondo. Sembrano due faccende diverse, ma è sempre questione di suonare insieme.