Subprime: questo sconosciuto… e tanto maltrattato

Raffaele Lillo
Homonovus: RL Blog
Published in
4 min readAug 24, 2007

Tanti ne parlano, molti lo insultano, pochi ne comprendono la semplice efficacia…

Da un po’ di tempo a questa parte, il termine subprime è entrato a far parte del vocabolario italiano per la frequenza con cui gli strumenti finanziari associati a questo none bizzarro sono stati tacciati d’essere la causa di tutti i mali dell’economia moderna. Ai non addetti ai lavori il termine risulterà sicuramente famigliare, al contrario, magari, del suo significato e funzionamento. Per rendere giustizia ad uno strumento così bistrattato (come, in realtà, avviene per molti altri strumenti che legano la loro fama a particolari periodi di instabilità finanziaria), cominciamo col definire un subprime una semplice operazione di finanziamento concesso da banche o altri istituti finanziari a soggetti con una affidabilità creditizia “inferiore al normale”. Ciò non significa che tali soggetti siano pericolosi o inaffidabili, ma che magari non abbiano una storia creditizia sufficientemente lunga, siano giovani padri di famiglia alle prese con le spese di “start up” familiare, e così via. Per dirla in parole semplici, se siete un giovane neo assunto che decide di investire per il proprio futuro acquistando una piccola casa, il vostro mutuo sarà classificato come un subprime. Nulla di particolarmente complesso, dunque, e qualcosa di lontano da casa nostra, dato che il relativo boom è stato un fenomeno tipicamente americano. Come mai, allora, una cosa così limpida sembra stia mettendo in ginocchio il mondo della finanza? Perché una crisi prettamente statunitense sta allarmando in modo generalizzato i mercati internazionali?

Sebbene il semplice ragionamento appena effettuato sembri portare a considerare il problema come una tipica isteria di mercato, quantomeno per i mercati non direttamente interessati come il Vecchio Continente, la realtà non è così scontata. La ragione del propagarsi della crisi verso contesti apparentemente lontani deve essere cercata nei progressi dell’ingegneria finanziaria fatti negli ultimi decenni e nel suo sviluppo esponenziale. Così come internet ha reso il mondo decisamente più piccolo, è corretto affermare che i progressi effettuati nel campo della finanza hanno ridotto la diversità internazionale dei mercati ad una semplice “questione di quartiere”. L’integrazione e il multiculturalismo finanziario ha fatto si che in America non voli foglia che l’Europa non patisca (e ormai sta diventando sempre più valido il vice versa). Il che non è affatto un male in quanto risultato dell’efficienza dei mercati che garantiscono un veloce e conveniente scambio delle attività e del relativo rischio. Per capirci meglio, riportiamo il semplice esempio esplicativo suggerito da Il Sole 24 Ore. Si pensi ad un tale, Mr. Smith, giovane padre di famiglia alle prese con l’acquisto di una casa. Non avendo i soldi per coprire per intero l’acquisto dell’immobile, decide di rivolgersi ad una società americana specializzata in finanziamenti, l’American Mortgages (AM, nome di fantasia) per accendere un mutuo (cosiddetto subprime). La nostra AM, in periodi di ciclo economico relativamente positivo, si trova ad affrontare una mole rilevante di richieste di mutui, per affrontare la quale può seguire due strade: 1) rifiutare parte delle richieste di finanziamento per contenere il rischio; 2) continuare a concedere prestiti, cedendo contemporaneamente parte del relativo rischio. In assenza di mercati efficienti ed efficaci, l’unica strada per la AM sarebbe la prima, con conseguenti ripercussioni sulla crescita economica. La seconda strada, che è stata seguita nella realtà, consente di soddisfare sia le richieste dei soggetti disposti ad indebitarsi, sia di altri soggetti disposti ad investire accollandosi parte del rischio legato ai mutui. Seguendo questa seconda alternativa, la AM decide di cedere parte del proprio portafoglio mutui sul mercato (per esempio, effettuando un’operazione di cartolarizzazione), emettendo tramite un cosiddetto special porpouse vehicle degli strumenti di debito garantiti dai flussi finanziari degli stessi mutui (Asset Backed Securities, ABS). Tali strumenti sono di solito acquistati da investitori istituzionali di tutto il mondo, comunemente fondi comuni ed hedge fund, verso i quali sono destinati i risparmi dei piccoli investitori.

Dov’è l’inghippo, visto che la seconda strada sembra così bella ed efficiente? Purtroppo alcuni nodi della catena che regge il meccanismo appena esposto si sono dimostrati deboli, e la catena si è (o si sta, così per non essere troppo pessimisti) spezzando. Affinché tutto funzioni alla perfezione, è necessario che le società come la AM sappiano e siano incentivati a riconoscere il rischio delle proprie operazioni, che le società preposte a valutare gli strumenti finanziari incorporanti il rischio ceduto dalle società finanziarie sappiano (e vogliano) fare il loro lavoro, e che gli acquirenti di tali strumenti siano soggetti che siano pienamente coscienti del rischio che dovranno affrontare e abbiano le risorse necessarie per farlo. Ancora una volta, me ne vergogno un po’ a ripeterlo perché sembrerà petulanza, il contesto regolatorio non si è dimostrato in grado di indirizzare l’operato dei soggetti nella direzione più conveniente al benessere sociale, consentendo il materializzarsi di comportamenti razionali di per se (e quindi non biasimabili) ma incompatibili con la crescita economica e la stabilità finanziaria.

--

--

Raffaele Lillo
Homonovus: RL Blog

Curious, optimist, interested in data algorithms, and their applications in business and management. I feel like a Business Scientist , currently CDO at Axa ITA