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ASSEMBLEA PD: IMPRESSIONI A CALDO

Daniele Amatulli
Rassegna Stanca
Published in
3 min readMar 18, 2019

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Vi riportiamo integralmente un contributo di Adriano Failli — che ovviamente ringraziano. Da componente dell’assemblea nazionale del PD, di ritorno in autobus a casa, ci ha voluto scrivere un’impressione a caldo sull’assemblea che si era appena svolta.

Buona lettura!

Impressioni a caldo dopo la (mia) prima assemblea nazionale e dopo un'ora di sonno. In treno.

L’esperienza chiaramente è elettrizzante, appassionante. C’è un popolo democratico che si raduna e questo di per sé è un fatto che visto con i propri occhi fa una certa impressione. Così come tutto il contorno. Ma queste sono primissime considerazioni.

Sono capitato casualmente accanto a Giachetti e Ascani, nell’area giachettiana. L’assemblea infatti si divide in settori, ognuno si colloca vicino al candidato di riferimento.
Tipo allo stadio.

Se per le altre mozioni questa cosa era meno visibile (c’è da dire che il dibattito è stato piuttosto blando, ma ne parleremo), per Giachetti mi ha sorpreso da un lato la compattezza radicale, ostinata e irrazionale del gruppo (119 persone che seguivano appassionatamente ogni minchiata detta da quell’uomo facevano una certa impressione).
Sostanzialmente l’immagine era proprio quella che temevo: un pezzo di partito già diviso. Il candidato che sceglie di non sedersi nelle prime file, ma accanto ai suoi. I suoi che provocano con vociare, litigate fra loro.

Durante l’ora e mezza della lunghissima relazione di Zingaretti, Giachetti era nervoso, si mangiava le unghie, fissava con preoccupazione la platea.
Poi la pagliacciata.
Si vota la presidenza.
Candidato Paolo Gentiloni.
I delegati si astengono compattamente, alzano il cartellino con una potenza inusuale, manco si stesse votando per una legge attesa da anni.

Si conta, un tizio urla ridendo: “Siamo 119 tranquillo!”. Tutti ridono.

La locura di Boris. Boh, mi ha infastidito quel momento e non l’ho nascosto, non trattenendomi ho detto: “Che triste pagliacciata”. Non ero l'unico a pensarlo.

Non è finita qua.
Si alza Giachetti. È il suo momento.
Spara a zero dicendo le solite robe senza senso logico.
“Siamo lontani dal PD veltroniano”.
“Noi non sputeremo sul nuovo segretario”.
“Saremo minoranza leale”.
Il solito farfugliato e illogico ragionamento di chi sembra proprio con mezzo piede fuori.
E lo svela con quel “baracca”, ripetuto più volte.
Dalla platea, applausi, gente urlante ed esultante. Manco avesse segnato la Roma. Tifo da curva nord, che in nessun altro momento, ben più appassionante e ricco di contenuti di tutta l’assemblea, si è ripetuto.

Grazie a Dio c’è stato Maurizio Martina.
Grazie a Dio c’è stato Maurizio Martina che ha deciso di mostrare un po’ di attributi e salendo sulla pedana ha urlato: “Sono orgoglioso di essere in un partito... non in una baracca”. Ovazione. In quel momento l’88% della platea lo avrebbe abbracciato.

Sulla relazione di Zingaretti c’è molto da dire, è stata molto lunga, complessa, strutturata, salvo molti punti e ne boccio decisamente altri.

Il più deluso oggi mi è sembrato Carlo Calenda.
Una scena simpaticissima all’ora di pranzo.
Ci allontaniamo per andare al ristorante, lui ci passa accanto in auto, finestrino abbassato, faccia sconsolata, sigaretta (ho scoperto che fuma), ci vede con il cartellino e solleva la mano per salutarci. Io alzo la mano senza dire “ciao”, tipo vecchi amici. Aveva una faccia afflitta. Poveretto.

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