Outbreak: Pandemic Evolution e la voglia di non essere più solo contro tutti

Pietro Ranieri
Ready Player One
Published in
5 min readOct 27, 2016

Voglio partire da un aspetto positivissimo: ho installato Outbreak: Pandemic Evolution ormai quasi tre settimane fa e gli update sono giunti con una cadenza regolarissima, quasi due alla settimana. Confrontando il dato con un No Man’s Sky, indie spacciato e venduto come un tripla A che a tre mesi dall’uscita avrà beneficiato di quattro patch in croce, viene automatico pensare che la sparizione dai social del buon Sean Murray non sia solo una coincidenza. Ma comunque.

Outbreak: Pandemic Evolution è un gioco in early access (non disponibile in italiano) realizzato da TurnTec Studios per Octagon Interactive, già acquistabile su Steam a 19,99€. La concomitanza dell’accesso anticipato con la pubblicazione di molteplici aggiornamenti è un fattore molto incoraggiante, che lascia intendere un lavoro serio e intenso da parte degli sviluppatori: quando — e se, direi, visto l’andazzo generale — il gioco verrà pubblicato in versione definitiva vedremo probabilmente un prodotto molto diverso da questo, con feature aggiuntive e con quelle già implementate ancora più funzionali, motivo per il quale alla fine di questa preview non troverete un voto vero e proprio. Basti pensare che il sistema di crafting del cibo e il menu obiettivi sono stati aggiunti solo di recente, negli upgrade tra il 6 e il 12.

La base non è certo un capolavoro di level design.

Insomma, abbiamo questo gioco a cui, giustamente, gli sviluppatori tengono parecchio. Ma cos’è esattamente Outbreak: Pandemic Evolution? Sicuramente a primo acchito l’impressione che abbiamo è quella di un survival game, ambientato in un mondo post-apocalittico in cui una razza di mutanti pseudo-zombi sta lentamente ma inesorabilmente sciamando e sterminando l’umanità. Ma, leggiamo nella descrizione, questi elementi sono solo delle distrazioni da ciò che davvero il gioco ci chiede di fare.

Il nostro personaggio è l’unico sopravvissuto di una base scientifica — dal mobilio molto, molto scarno — costruita nel fianco di una montagna. Qui, il team di virologi e ricercatori stava lavorando incessantemente per trovare una cura alla misteriosa mutazione che ci sta sterminando. Ma il mondo di gioco è ben più complesso di così: i Mutanti sono una vera e propria fazione con i suoi ritmi e i suoi modus operandi, contrapposta all’altra fazione dei Militari, anch’essa regolata da precisi meccanismi. Le due parti sono in guerra continua tra loro, e si contendono porzioni di mappa, completamente open world, oltre a punti d’interesse con un interessante sistema dinamico e un’AI molto varia. Noi siamo presi nel mezzo, non solo in quanto estranei ad entrambe le fazioni ma anche come veri e propri aghi della bilancia. A seconda delle nostre necessità, infatti, possiamo fare in modo che le azioni delle rispettive fazioni (come e quando i militari compiano un raid aereo in una zona); spingere i mutanti a muoversi verso una struttura rispetto ad un’altra e si adattino alle nostre azioni, in modo da favorire una delle due a nostro vantaggio.

Il tutto mentre cerchiamo di capire come risolvere la minaccia dei mutanti: avremmo bisogno di catturarne esemplari, studiarli nel laboratorio, compiere degli esperimenti per guarirli o creare un vaccino, tenendo al contempo a bada i militari e i loro continui shutdown alla nostra rete elettrica. Questo è forse l’aspetto più impegnativo del gioco, ovvero tenere la nostra base sempre operativa ed efficiente pena un calo di tensione in piena notte, l’apertura delle porte di sicurezza e quindi l’immediata invasione da parte delle orde di mutanti che nottetempo, attirati dall’elettricità, tenteranno di compiere dei veri e propri raid a nostro danno. Lo storytelling dinamico è un bel punto di forza del meccanismo: le nostre azioni avranno delle conseguenze che influenzeranno l’andamento della nostra partita in maniera totalmente diversa per ciascun giocatore.

La grafica, pur essendo abbastanza datata, non è affatto male.

Tenere tutto in equilibrio non sempre è facile: influenzare il combattimento tra le due fazioni, mentre il computer esegue delle ricerche, mentre cerchiamo una nuova fonte d’energia più stabile del nostro generatore potente ma con poca autonomia, mentre ci guardiamo le spalle dai militari appostati di giorno, mentre teniamo uno sguardo all’orologio con l’ansia della notte che incombe e del non allontanarci troppo prima delle fatidiche ore 21:00 è un bel po’ di carne al fuoco. Non sempre gestita benissimo, c’è da dire: l’interfaccia è estremamente scarna, e padroneggiare tutto richiede un po’ di tempo e dedizione. Inoltre, non sempre si ha la sensazione di star davvero manipolando gli eventi come un terribile burattinaio occulto. È più per caso che le cose accadono, e se da un lato è interessante dall’altro può essere problematico quando si pianifica un’azione per diverso tempo e poi le cose non vanno come dovrebbero andare. Interessante in tal senso la possibilità di giocare in co-op sul nostro server con la nostra partita, dove possono raggiungerci i nostri amici di Steam in qualsiasi momento per aiutarci a realizzare un particolare obiettivo o semplicemente per rendere l’esperienza meno solitaria.

Il sistema di crafting riprende quello già visto in altri titoli come Far Cry 4, con un ricco parco di “ricette” per realizzare di tutto, da armi a medicinali a utili strumenti che ci aiutano a sopravvivere (senza il rilevatore di movimento sarei stato spacciato diverse volte). Niente di eccessivamente complesso, anche se i materiali alle volte possono essere difficili da procurare, mentre l’interfaccia scarna rende il tutto un po’ troppo macchinoso per i miei gusti. Nella norma il combat system, legnoso nelle animazioni e quasi totalmente privo di modi per capire come, quando e perché siamo stati colpiti: questo da un lato può essere entusiasmante, dall’altro si trasforma in un altro grumo nel frullato di elementi da tener d’occhio di cui sopra.

Outbreak: Pandemic Evolution è un gioco ad accesso anticipato interessante e per certi versi impegnativo, con un hummus molto ricco su cui far crescere qualcosa di davvero bello. Questo, amalgamando meglio il tutto e costruendo un prodotto che somigli più a un gioco finito che a un cantiere aperto. Purtroppo, è lo scotto da pagare per l’early access.

--

--

Pietro Ranieri
Ready Player One

Lawful Good doesn’t necessarly mean Lawful Nice. I write for The Shelter Network